Calano i consumi di petrolio

 Il petrolio ha da sempre subito con delle oscillazioni imprevedibili, l’incertezza del panorama di crisi. Tendenzialmente, in questo momento, i mercati evidenziano un rallentamento nella domanda di petrolio che rischia di essere al di sotto delle aspettative di medio periodo.

Questa situazione si lega alla scarsa fiducia nella crescita economica globale che seppure dovesse iniziare nel 2013, sarà comunque graduale.

Tutte queste indicazioni fanno parte del rapporto annuale World Oil Outlook, preparato dall’Opec. Il documento indica che la domanda complessiva di petrolio sarà in aumento, passando dagli attuali 88,7 milioni di barili, fino ai 91,8 milioni di barili al giorno nel 2015.

All’inizio si pensava che nello stesso arco di tempo ci sarebbe una produzione di petrolio con un milione di barili in più all’anno, ma l’Opec ha ridotto le quotazioni. In generale, il prezzo del petrolio si è assestato sui 100 dollari al barile nel medio termine.

Soltanto per avere un’idea dei rincari e per suggerire qualche investimento, ricordiamo che l’Opec un anno fa parlava di prezzi medi tra gli 85 e i 95 dollari. Oggi è sceso di 1,08 dollari.

Il petrolio, tra l’altro, oggi deve fare i conti anche con nuove forme energetiche, per esempio lo shale gas, il cosiddetto gas non convenzionale che rischia di rivoluzionare il sistema, visto che si estrae da argille e scisti.

Cambio del duale per Intesa Sanpaolo

 L’Assemblea straordinaria degli azionisti di Intesa Sanpaolo è stata convocata a Torino e insieme hanno affrontato i problemi della loro banca individuando uno dei capisaldi del sistema.

Nel dettaglio, dal prossimo consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, si potranno avere più poltrone e un maggior numero di manager. Oggi, ad esempio nel sistema c’è solo il Ceo mentre in futuro questa persona potrebbe trovare aiuto anche in altre “professionalità: il numero dei manager sarà incrementato.

Oltre al consigliere delegato ci saranno da due a quattro manger attorno al tavolino. E’ molto probabile che si arrivi a quota tre se il nuovo organo “dirigenziale” sarà composto da nove membri. La proposta di cambiamento è stata praticamente approvata all’unanimità: hanno detto sì il 99,4 per cento di presenti che rappresentano il 56% del totale dei convocabili.

Bazzoli, presidente di Banca Intesa Sanpaolo ha ribadito che l’attenzione al suo gruppo deve esserci perché stanno sperimentando un nuovo metodo. Anche se più di un cliente vorrebbe rientrare nei ranghi, oggi sembra che il sistema duale sia apprezzato anche all’estero e quindi la banca di Bazoli non può farne a meno.

L’obiettivo resta sempre quello di servire il cliente garantendo maggiore efficienza e snellezza a tutta la struttura. Il 2013, sotto questo punto di vista, resta un anno decisivo.

Bancari sotto accusa

 Il sistema bancario è considerato alla base della crisi economica che, scoppiata diversi anni fa con una bolla finanziaria in America, adesso ha investito anche il Vecchio Continente assumendo una portata “globale”.

Oggi il sistema bancario, soprattutto quello italiano, è sotto accusa in seguito alle rivelazioni di alcuni documenti legati ad un’inchiesta della Procura di Milano che ha approfondito il tema dell’attività d’intermediazione che le banche offrono a chi decide d’investire in borsa.

In base al coinvolgimento di alcuni istituti di credito si può ipotizzare una modifica del mercato. In pratica è stato individuato un sistema che, nella compravendita di titoli quotati e non, consentiva alle banche di speculare sul prezzo facendo la cosiddetta cresta.

Il denaro in surplus sembra sia stato usato spesso per aggiustare i bilanci di alcune banche. Tutto è partito dall’analisi delle attività di una finanziaria svizzera. Oggi l’inchiesta si è allargata a macchia d’olio e presto sarà chiesto di svolger un processo contro 18 persone che oggi lavorano in Svizzera ma che in passato hanno ricoperto il ruolo di funzionari in alcune banche italiane.

Al momento sembra che sia a rischio la reputazione della Banca popolare di Lodi, della Bnp Paribas, della Royal Bank of Scotland, dell’Unicredit, della Bassa Cassa Lombarda e della Banca di credito cooperativo di Roma.

Investire nell’oro oggi

 L’oro nei secoli manterrà il suo fascino di bene rifugio per eccellenza. Nonostante ormai tutto il bello della finanza sia racchiuso nella compravendita di titoli e valute, in un periodo di crisi il chiodo fisso sono i lingotti. Anche se oggi le opportunità d’investimento hanno portato in piazza il cosiddetto “oro di carta”.

Nell’ultima settimana di contrattazioni appena archiviata l’oro ha raggiunto e superato la soglia dei 1790 dollari l’oncia che è grosso modo il valore che il metallo giallo aveva alla fine del 2011, poco prima che esplodesse la bolla del debito pubblico che ha investito totalmente i bilanci di Spagna e Italia.

Il massimo storico delle quotazioni era stato toccato nell’estate del 2011, con il picco dei 1895 dollari l’oncia. Oggi le vendite di oro continuano ad essere sostenute e non è venuta meno la domanda, anzi possiamo affermare che c’è stato un incremento vero e proprio delle richieste. In primo luogo dalle banche centrali e dalla cinese in particolare, e secondo poi dagli investitori privati.

I piccoli risparmiatori affascinati da questo mercato possono acquistare oro attraverso fondi e certificati specializzati, o attraverso altri strumenti come l’Etc che consentono d’investire nelle materie prime. Il problema dell’oro di carta risiede soltanto nella possibilità d’insolvenza dell’emittente.

Wall Street, continuano le vendite

 A metà della settima i listini di Wall Street sono finiti molto in basso, la borsa americana ha ceduto due punti percentuali e sembra che il Dow Jones abbia toccato i livelli peggiori dell’anno. In pratica la spinta alla vendita negli States non accenna a diminuire.

E’ vero, è stato rieletto Obama e almeno l’incertezza sul futuro politico dell’America è venuta meno ma gli investitori sono ancora scettici sul solco tracciato nell’entusiasmo della campagna elettorale perché l’inquilino della Casa Bianca, niente può contro la crisi dell’Eurozona.

Rieletto Obama, dunque, gli investitori americani non si danno pace e si chiedono cosa ne sarà dell’Europa dopo che la Grecia ha approvato in Parlamento l’ennesimo piano di austerity, dopo il discorso di Draghi sulla situazione dell’Europa e soprattutto dopo che il Congresso americano ha manifestato il suo scetticismo all’indirizzo del fiscal cliff.

Tutti questi elementi che rendono il panorama economico degli States molto difficile da gestire, potrebbe determinare una nuova ondata di tagli alla spesa e una spinta verso l’alto della tassazione. Se ciò dovesse verificarsi sarebbero a rischio molti investimenti attualmente diretti verso gli Stati Uniti.

I listini, in questi giorni, non hanno fatto altro che manifestare con una serie di ribassi, la perplessità sulla situazione americana.

Fiscal Cliff, Obama: “Più tasse ai ricchi”. E il Dow Jones crolla.

Per evitare il Fiscal Cliff  i cittadini statunitensi maggiormente benestanti saranno costretti a dover pagare più tasse. Ad annunciarlo è il neo-rieletto Presidente americano Barack Obama. La dichiarazione era prevedibile ma immediatamente il Dow Jones è sceso giù a quota -0,05%.

Ma perché il Fiscal Cliff è così importante per l’amministrazione di Obama?

Lo United States Fiscal Cliff  si riferisce agli effetti di una serie di leggi recenti che, se non modificate, si tradurranno in aumenti delle tasse, tagli alla spesa e una corrispondente riduzione del disavanzo di bilancio a partire dal 2013. Queste leggi includono l’aumento delle imposte dovute della scadenza dei tagli fiscali di Bush e tagli alla spesa ai sensi della Budget Control Act del 2011.

Tradotto in numeri, il Fiscal Cliff sarà una scure sul popolo americano, che comporterà un aumento delle tasse e tagli automatici alla spesa per un totale di 600 miliardi di dollari solo nel 2013.

Ma il rischio non è solo per la popolazione, il Fiscal Cliff, se non giunge ad un accordo in tempi brevi, porterà l’amministrazione di Obama alla perdita della tripla A.

In questi giorni l’America di Barack Obama sta vivendo uno scontro interno accesissimo per fare in modo che questo non accada.  Le due controparti della politica americana, purtroppo, sono in completo disaccordo sulla questione legata alla riduzione del deficit di bilancio del paese (che è arrivato a toccare 1,09 miliardi di dollari), e quindi difficilmente riusciranno a trovare una intesa sul mezzo che porterà l’America a superare questo delicato obiettivo.

La proposta di Obama è quella di tagli alle spese (soprattutto sulla Difesa) compensati dall’aumento del prelievo fiscale sui redditi più alti:

«Non possiamo tagliare la nostra strada verso la prosperità. Se siamo seri sulla riduzione del deficit dobbiamo combinare i tagli alla spesa con le entrate e questo significa chiedere agli americani più ricchi di pagare un po’ più di tasse».

Di avviso contrario i repubblicani che per risparmiare propongono lo smantellamento del welfare.

Le trattative al Congresso inizieranno il 13 novembre e, se non si arriverà ad un accordo, non si potrà evitare il Fiscal Cliff e, come previsto dal Congressional Budget Office, l’economia cadrà in recessione nel 2013.

I rendimenti della gestione attiva del portafogli

 Quando si decide per una gestione professionale del portafogli, la scelta si riduce a due opzioni opposte: la gestione attiva del portafogli, basata su azioni e decisioni che mirano ad avere un rendimento migliore di quello del benchmark, e la gestione passiva, ossia una gestione per cui la massimizzazione del profitto equivale ad eguagliare i rendimenti del benchmark.

Per quanto riguarda le potenzialità di rendimento della gestione attiva del portafogli, la questione è ancora aperta e discussa tra gli esperti del settore, che stanno studiando quale sia la variabile che incide di più.

Secondo l’opinione maggiormente diffusa dei tre strumenti utilizzati per la gestione attiva quello che ha un’incidenza minore sui rendimenti sia a lungo che a breve termine è l’asset location (spostamento del portafogli su diversi mercati), mentre gli altri due – lo stock picking e il market timing – avrebbero un’incidenza molto limitata.

Allo stesso modo  la maggior parte degli analisti è concorde nel dire che la qualità dell’attività del gestore dell’investimento ha degli effetti importanti sul breve e medio periodo, che però si annullano quando il rendimento del portafogli viene valutato sul lungo e lunghissimo periodo. In questo caso sono le decisioni strategiche di diversificazione ad avere un maggiore impatto sulle performance della gestione attiva.

Camusso e Fornero: completo disaccordo su riforma delle pensioni

 Se da un lato c’è il Ministro del Lavoro Elsa Fornero che, rispondendo al question time al Senato, assicura che ci sono tutte le garanzie per mettere in atto la riforma delle pensioni con la creazione di una Super Inps, nella quale andranno a confluire anche Inpdap e Enpals, e ribadisce che

Non ci sono effetti sulla sostenibilità del sistema previdenziale che resta rafforzato dall’ultima riforma pensionistica.

Dall’altro lato c’è la leader della CGIL Susanna Camusso che, per niente convinta da queste affermazioni, chiede un’immediata revisione della riforma delle pensioni del governo Monti:

Dobbiamo modificare, e ci rivolgiamo al nuovo governo, la legge sulle pensioni – ha detto -. E’ sbagliata, non solo perché bisogna rimediare alle ingiustizie immediate, come il caso degli esodati, ma perché il Paese non può reggere questa riforma che così stravolge la vita di tante persone.

I problemi da affrontare, continua Susanna Camusso nell’intervista rilasciata a RadioArticolo1, sono molteplici e toccano tutto il mondo del lavoro: dalla questione produttività – l’incontro con le associazioni delle imprese italiane si è concluso con un nulla di fatto – e a quello della collocazione degli impiegati delle amministrazioni provinciali, che, a causa del taglio delle provincie, si ritroveranno presto senza un lavoro.

 

Adempimenti del datore di lavoro per usufruire degli sgravi contributivi

La circolare contiene le norme sulla gestione dell’apprendista e dell’apprendistato da part delle aziende soprattutto a riguardo delle agevolazioni previste a partire dal I gennaio 2013, di seguito gli aspetti principali.

Tutela previdenziale e assistenziale

Gli apprendisti passeranno, per quanto riguarda assicurazione e contribuzione, alla ASpI (Assicurazione sociale per l’impiego), con un piccolo aumento del carico contributivo aziendale (1,6%)

Limiti quantitativi delle assunzioni

Ogni azienda potrà assumere con contratti di apprendistato un numero di persone che deve rientrare in un rapporto numerico di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate già in servizio. Per le aziende fino a 10 dipendenti, invece, viene mantenuto il rapporto del 100%, come previsto dalla precedente normativa.

Sgravio contributivo per gli apprendisti assunti dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2016

Per le aziende fino a un numero di addetti pari o inferiore a nove, è previsto lo sgravio totale dei contributi a loro carico per i periodi contributivi maturati nei primi tre anni di contratto di apprendistato.

Condizioni e durata degli sgravi contributivi

Le agevolazioni contributive previste dall’Inps sono operative per i primi tre anni di contratto. Dopo il terzo anno, se ancora sussiste tra datore di lavoro e dipendente il contratto di apprendistato, l’azienda è tenuta a contribuire con aliquota del 10%.

Giovani e lavoro: pronti a qualsiasi impiego pur di lavorare

 I giovani fanno molto meno caso alle parole che vengono spese su di loro rispetto a quanto possano fare i giornalisti  o gli esperti del settore. In particolar modo ci riferiamo alla parola detta dal Ministro Fornero: choosy, termine inglese che letteralmente vuol dire schizzinoso, scelto per indicare quella categoria di ragazzi che non si accontentano di trovare un lavoro, ma che cercano, fin da subito, il lavoro della vita.

Ma un sondaggio rivela che i giovani italiani, nella maggior parte dei casi, sono tutt’altro che choosy, anzi sono disposti a tutti pur di trovare un lavoro. A rivelarlo è un sondaggio condotto da  Gfk Eurisko per conto dell’Osservatorio Giovani Editori.

Dal sondaggio è emerso che il 57% dei ragazzi italiani delle scuole medie superiori vuole trovare un lavoro, indipendentemente dalla sua tipologia, pur di entrare a far parte di questo mondo. E’ solo una piccola percentuale di ragazzi (il 12%) quella che aderisce di più alla definizione del Ministro Fornero e che vuole un impiego che sia il più possibile in linea con il percorso formativo affrontato.

La distinzione tra chi vuole un lavoro e chi, invece, vuole il lavoro passa proprio dal percorso formativo: il 63% dei ragazzi degli istituti tecnici e professionali accetterebbe tutto, contro il 54% degli studenti dei licei, leggermente più «choosy».