Enrico Cerreto: analisi pianificazione del patrimonio

Consulente patrimoniale, iscritto all’albo dei consulenti finanziari da aprile 2001 con mandato Fideuram, Banca per la quale lavora presso al sede di Napoli, Enrico Cerreto identifica i punti centrali nell’attività di pianificazione del patrimonio.

“I patrimoni delle famiglie, delle aziende e dei professionisti – dice l’esperto – necessitano di una maggiore tutela patrimoniale, soprattutto a fronte della crisi economica e di uno scenario economico-finanziario incerto. Quando parliamo di pianificazione del patrimonio dobbiamo innanzitutto considerare che andiamo ad occuparci di persone e non solo del loro denaro”.

“Il processo di pianificazione – spiega Enrico Cerreto – inizia con l’analisi della situazione economica e patrimoniale del cliente, vengono individuati i bisogni e gli obiettivi su cui intervenire e viene anche valutato il profilo di rischio. Nella fase di pianificazione le risorse vengono ripartite sulle aree di bisogno. Si definisce quindi una strategia che sia coerente con le necessità messe in evidenza in ciascuna area di bisogno e obiettivo. Vengono poi individuati gli strumenti in grado di realizzare la strategia definita nella fase di pianificazione. A tutto questo si aggiunge la fase di monitoraggio, che vuol dire di verifica dell’andamento nel tempo del patrimonio del cliente e che monitora l’evoluzione degli obiettivi”.

È necessario quindi comprendere i bisogni e gli obiettivi del cliente verificando attentamente ogni esigenza così da guardare al futuro con tranquillità.

“Il mio primo obiettivo – evidenzia Enrico Cerreto – è di aiutare a riconoscere le necessità dei miei clienti, ordinarle ed organizzarle, individuando anche le priorità personali. È importante far emergere i bisogni reali del cliente aiutandolo a non attuare comportamenti irrazionali e assistendolo nel tempo, monitorando il suo portafoglio e, se il caso, consigliandolo secondo le necessità”.

“Il patrimonialista – prosegue Cerreto – può aiutare il cliente nell’utilizzo corretto e strategico delle risorse a disposizione, solo dopo una visione corretta e completa dell’intero patrimonio. Bisogna tenere in considerazione elementi finanziari, fiscali e successori, ma anche lo stile di vita del cliente, il controllo del bilancio familiare, la gestione del conto corrente e della liquidità in genere. Solo così si può proteggere il proprio patrimonio e mettere in campo le strategie migliori per raggiungere gli obiettivi che il cliente si è prefissato”.

Importante utilizzare una comunicazione efficace attraverso un linguaggio che non sia troppo tecnico ma che risulti di più immediata comprensione per il cliente e l’intero nucleo familiare.

“Con il cliente è necessario utilizzare un linguaggio semplice e comprensibile – conclude Enrico Cerreto -, ma bisogna mettere in campo anche altre qualità, come professionalità, capacità di ascolto ed empatia. Fondamentale il rapporto con il cliente, senza fiducia reciproca cessa di esistere il ruolo del consulente, la cui attività viene messa in campo nell’esclusivo interesse del cliente”.

La Banca Popolare di Bari respinge le contestazioni della Consob

La Banca Popolare di Bari che tramite un comunicato respinge le contestazioni avanzate dalla Consob e diffuse dai media nei giorni scorsi.

“La Consob – precisa – non ha ‘bloccato la vendita di azioni’ e le sanzioni non sono state comminate alla famiglia Jacobini e all’ex dg De Bustis, ma a circa 20 esponenti ed ex esponenti e alla Banca stessa e si riferiscono a due distinti procedimenti”.

Qualche giorno fa è infatti circolato il contenuto di due delibere della Consob approvate il 13 settembre, giorno delle dimissioni dell’ex presidente Mario Nava, relative a presunte violazioni riscontrate presso la Popolare di Bari nei periodi tra il 2014-16. Si parla di sanzioni pari a 2,6 milioni per irregolarità sulle operazioni di aumento di capitale e omissioni di informazioni nei prospetti informativi.

La Banca barese non accetta queste accuse e chiarisce molti passaggi riportati negli articoli di stampa. Primo fra tutti che la contestazione è di 1,8 milioni anziché 2,6 milioni. Precisa inoltre le sanzioni non riguardano i componenti del collegio sindacale, il presidente Marco Jacobini, i manager Luigi e Gianluca Jacobini e anche l’ex direttore generale Vincenzo De Bustis.

Inoltre la Banca contesta l’applicazione integrale dei nuovi parametri sanzionatori: la normativa è entrata in vigore a marzo del 2016 e non potrebbe essere applicata a irregolarità avviate sin dal 2013.

Un’altra importante precisazione riguarda il fenomeno dei “finanziamenti baciati” che non esiste e questo è confermato anche dalle risultanze delle approfondite verifiche effettuate nell’ispezione della Banca d’Italia.

In merito ai “finanziamenti baciati” la Banca Popolare di Bari evidenzia: “Le indagine interne hanno autonomamente rilevato un numero molto contenuto di fenomeni che la Banca stessa ha ritenuto di evidenziare, come peraltro riportato anche nel fascicolo di bilancio 2017. I 10 fenomeni, come detto rilevati dalla Banca, si rapportano ad oltre 16.000 operazioni perfezionate nell’ambito dei due aumenti di capitale. Non è inoltre vero che tali operazioni riguardavano soggetti con profili di rischio non adeguato”.

Sull’operazione di acquisizione del Gruppo Banca Tercas, la Popolare di Bari chiarisce: “Gli aumenti di capitale 2014 e 2015 sono stati messi a punto a seguito di un costante confronto e interlocuzione con le Autorità di Vigilanza e condotti assumendo tutti i presidi previsti dalla normativa di riferimento, nella necessaria salvaguardia dei diritti di opzione riconosciuti dal codice civile”.

Anche sulle carenze segnalate da Consob sulla profilatura dei clienti gli ispettori (nel 2016) scrivono: “La Banca, come anticipato a giugno 2015, ha adottato un nuovo schema di questionario adeguandosi alle indicazioni dell’Esma in tema di adeguatezza”.

La Banca Popolare di Bari ricorda inoltre di aver subito una ispezione da Banca d’Italia, su mandato della stessa Consob, tra giugno e novembre 2016, con esito positivo tanto da aver rassicurato la Banca sulla sostanziale correttezza delle proprie prassi operative.

Brexit no deal: Geneve Invest analizza le conseguenze sui mercati finanziari

 Il 29 marzo 2019 il Regno Unito, in virtù della Brexit, sarà definitivamente fuori dall’Unione Europea. A sei mesi dall’uscita un punto d’incontro fra governo britannico e Bruxelles non è ancora stato trovato ed in molti cominciano a considerare sempre più possibile l’ipotesi di un cosiddetto “no deal”, vale a dire una chiusura delle trattative senza accordo. “Una prospettiva di questo genere – spiega Neri Camici di Geneve Invest – sarebbe uno shock ancora più pesante di quello già vissuto dai mercati nel giugno 2016, quando la Gran Bretagna votò per distaccarsi dall’Unione Europea, e le Borse registrerebbero grandi manovre su valute, azioni e obbligazioni. Innanzitutto – continuano da Ginevra gli esperti di Geneve Invest, società indipendente di gestione patrimoniale – la sterlina britannica soffrirebbe un crollo verticale, almeno a giudicare dall’andamento che il pound ha tenuto nel corso degli ultimi 18 mesi: ogni volta che si intravede la possibilità di una Brexit più controllata, la moneta inglese sale di valore; al contrario, ad ogni accelerazione per un “no deal”, corrispondono perdite di punti molto consistenti. La sensazione – chiudono il ragionamento da Geneve Invest – è che, continuando con questo ritmo, la sterlina scenderà di oltre il 10% dai livelli attuali nei prossimi mesi, arrivando, secondo le stime non solo nostre, ma di tutti gli analisti internazionali più importanti, sino a un minimo di $ 1,15 entro la fine di marzo: non dimentichiamo che il giorno dopo il referendum, nel 2016, la sterlina perse addirittura l’8% nei confronti del dollaro.”

A partire da queste valutazioni, non è difficile immaginare come l’FTSE 100, l’indice azionario delle 100 società più capitalizzate quotate al London Stock Exchange, che gode di una relazione inversa rispetto alle prestazioni della valuta, aumenterebbe a livelli record. Una sterlina debole significa un mercato azionario forte, dal momento che l’indice FTSE 100 è sbilanciato verso aziende che operano in verità fuori dal contesto monetario britannico: compagnie petrolifere e giganti farmaceutici, ad esempio, compongono circa i due terzi di tutti i ricavi delle società incluse nell’indice e che ricevono ricavi dall’estero. “Secondo le stime più credibili – spiegano ancora dalla società di gestione patrimoniale Geneve Invest – l’FTSE 100 potrebbe facilmente andare ben oltre la barriera degli 8.000 punti in caso di Brexit no-deal, con un rialzo compreso fra il 5 e il 10% rispetto alle medie dei primi nove mesi del 2018”.

Più complessa l’analisi per quanto riguarda il mercato obbligazionario. Il rendimento dei titoli di stato inglesi potrebbe infatti scendere sino allo 0%, una percentuale legata non tanto alla percezione delle obbligazioni britanniche come sicure, ma alle mosse cui sarebbe costretta la Banca d’Inghilterra. “Dopo aver aumentato i tassi di interesse due volte da novembre 2017, raggiungendo lo 0,75%, – spiega in chiusura Neri Camici di Geneve Invest – l’istituto potrebbe infatti trovarsi nella situazione di dover tagliare i tassi allo 0%, oltre a programmare almeno 100 miliardi di sterline di investimenti in quantitative easing, per mantenere il sistema in equilibrio, il che, appunto, farebbe crollare i rendimenti dei gilt, le obbligazioni di stato.”

La speranza, inevitabilmente, è che Theresa May riesca a trovare un accordo e non ceda all’ala forte del partito conservatore, sempre più decisa a rischiare il tutto per tutto e ad uscire dall’Unione Europea sbattendo la porta.

Enrico Cerreto spiega chi è il consulente patrimoniale

Con Enrico Cerreto, dal 2001 Private Banker presso la Banca Fideuram S.p.a. di Napoli, abbiamo cercato di capire meglio la figura del consulente patrimoniale. L’esperto ci spiega chi è e cosa fa questo professionista.

“Il consulente patrimoniale – afferma Enrico Cerreto – affianca il cliente in tutto il percorso di identificazione degli obiettivi e di pianificazione dei propri investimenti. Si instaura un rapporto di natura strettamente fiduciaria. È necessario definire con il cliente quali sono gli obiettivi concreti che si vogliono raggiungere e le strategie migliori per riuscire a raggiungere le mete prefissate, evidenziando anche percorsi alternativi in caso di intoppi”.

Il consulente patrimoniale è un professionista specializzato nel fornire una consulenza finanziaria ad ampio raggio che consenta ai clienti di agire in maniera prospettica, a partire dal contesto familiare, patrimoniale e professionale attuale, per ottimizzare azioni di pianificazione finalizzate alla gestione, allo sviluppo, alla tutela e alla trasmissione del patrimonio.

La consulenza patrimoniale è un servizio però estremamente complesso: occorre instaurare un rapporto professionale e fiduciario con il cliente; fare una analisi esaustiva del patrimonio e dei bisogni correlati all’interno del sistema di relazioni familiare e imprenditoriale del cliente.

Proporre inoltre il mix più adeguato di soluzioni finanziarie, assicurative, previdenziali, fiscali e di asset protection, muovendosi su un terreno in costante mutamento in termini di regolamentazione, servizi e prodotti, condizioni socio-demografiche, mercati e lavoro.

“Professionalità, capacità di ascolto ed empatia – evidenzia Enrico Cerreto – sono qualità per svolgere al meglio questa professione. Sono tutti elementi necessari per aiutare i clienti a trovare le migliori soluzioni per le loro singole esigenze in modo da raggiungere i loro obiettivi finanziari. Non bisogna mai trascurare il passaggio generazionale, a mio avviso di fondamentale importanza in questa attività”.

Enrico Cerreto dopo la laurea in giurisprudenza conseguita presso l’Università Federico II di Napoli, ha studiato a Londra all’Imperial College Business School. La sua attività bancaria è iniziata nel 1989 presso la Citibank Italia di Napoli, poi divenuta Banco Ambrosiano Veneto fino al 2001.

Da aprile 2001 è iscritto all’albo dei consulenti finanziari con mandato di Fideuram Spa. Negli anni ha ricoperto il ruolo di back office, addetto clientela retail, addetto clientela executive, estero merci, settorista aziende, direttore di filiale. Oggi si occupa di tutela, gestione e trasmissione di patrimoni per clienti con ricchezza finanziaria di 500mila euro di soglia minima.

“Il consulente patrimoniale – conclude Enrico Cerreto – vuole comprendere a fondo il suo cliente, per poter essere un suo punto di riferimento, affidabile nel tempo e assolutamente indipendente da criteri di vendita, nell’esclusivo suo interesse. Il patrimonialista genera valore per il cliente. Le esigenze che spingono gli investitori a rivolgersi a un consulente di fiducia sono: la pianificazione finanziaria di lungo periodo e la protezione del patrimonio”.

Cos’è e a cosa serve l’Assicurazione Donazione

 A cosa serve l’assicurazione donazione.
Ricevere una donazione o ereditare un bene è da sempre considerata una fortuna, tuttavia, se qualcosa non va nel verso giusto, c’è il rischio concreto di dover restituire quanto ricevuto o di dover risarcire eventuali eredi che decidono di rivendicarne la proprietà.
Questo vuol dire che, qualora si ricevesse in donazione un immobile, prima di affrontare le spese relative alla sua ristrutturazione o prima di procedere alla sua vendita, è opportuno verificare che tutto sia in regola e non ci sia il rischio di dover restituire in futuro quanto ottenuto.
Tale controllo può però richiedere un tempo drammaticamente lungo.
Prima che la burocrazia faccia il suo corso possono trascorrere anni e, bloccare un patrimonio consistente per tutto il tempo necessario, può rappresentare un problema serio.
Chi infatti è considerato il proprietario di un immobile ha la responsabilità fiscale di versare le imposte dovute e le responsabilità previste dalle normative per quel che riguarda le opere di manutenzione e messa in sicurezza dello stesso.
Ecco perché l’assicurazione donazione è considerata uno strumento prezioso per utilizzare fin da subito ciò che è stato donato e mettersi al riparo dai possibili rischi.

Quando è necessaria l’assicurazione donazione
L’assicurazione donazione è necessaria quando si pensa che ci siano soggetti che possano tentare di rivalere la loro proprietà parziale o totale sul bene donato.
Ci sono diversi casi in cui ciò può avvenire. Un tipico esempio è rappresentato da un immobile che viene donato e del quale i legittimi eredi rivendicano poi la proprietà.
Occorre infatti sapere che, nel nostro ordinamento giuridico, non sempre è possibile lasciare il proprio patrimonio a chi si desidera. Chi esprime le ultime volontà deve tenere conto delle leggi vigenti e ricordare che, in caso di morte, il coniuge e i figli hanno diritto ad una parte del patrimonio lasciato dal defunto a prescindere dalle sue decisioni (secondo la cosiddetta quota di legittima).
Qualora si ricevesse in donazione un immobile e gli eredi di diritto si rivalessero su di esso partirebbe un iter burocratico a valle del quale potrebbe accadere di dover restitutore l’intero immobile o comunque di dover risarcire con il proprio patrimonio gli eredi.
In casi come questo stipulare una polizza assicurativa può senza dubbio convenire.

Che cosa copre l’assicurazione donazione?
Il bisogno di stipulare un’assicurazione donazione nasce dall’idea che un soggetto, possa far valere i suoi diritti sul bene donato. Qualora il suo diritto venisse riconosciuto, il beneficiario della donazione dovrà consegnare l’immobile o, in alternativa, versare un risarcimento economico.
Se ad esempio chi si rivale sull’immbile aveva diritto ad una parte pari al 50% dello stesso potrà essere soddisfatto mediante il risarcimento di un importo pari al valore della metà dell’immobile stesso.
Per chi ha stipulato un’assicurazione donazione il versamento di questo importo sarà a carico della compagnia assicurativa.

Ma a chi è rivoltal’assicurazione donazione? Chi può stipularla?
Questo tipo di polizza può essere sottoscritta da 4 soggetti:
– chi dona il bene,
– colui che riceve la donazione,
– chi decide di acquistare un bene donato,
– l’istituto di credito che concede in prestito una somma per l’acquisto dell’immobile.
É importante sottolineare che tutti i soggetti citati possono essere considerati ‘a rischio’.
Se infatti per chi dona il bene l’assicurazione è importante per far sì che le sue volontà siano rispettate, per gli altri è fondamentale al fine di non dover risarcire eventuali aventi diritto.
Bisogna infatti precisare che, secondo la legge italiana, chi vanta dei diritti su un immobile può rivalersi su chi ha ricevuto il bene in donazione, ma se questi non fosse in grado di restituire il bene o di risarcirlo sarà chi ha comprato l’immobile a dover rispondere.
Ecco perché l’assicurazione è indispensabile anche per chi acquista un bene donato.

Quali sono i costi medi di un’assicurazione donazione?
Naturalmente i costi variano in funzione del valore del bene assicurato e possono dipendere da una moltitudine di altri fattori per cui fornire delle cifre è piuttosto difficile.
In maniera molto orientativa si può dire che mediamente un’assicurazione donazione prevede un premio pari al 3-4 per mille del valore del bene assicurato.
Salvo diversi accordi il premio viene versato in un’unica soluzione. L’importo assicurato sarà quello del valore commerciale del bene donato. Tra le condizioni della polizza può essere stabilito che tale valore venga rivalutato nel tempo.

Quanto dura una polizza donazione
La durata di questa polizza è pensata per proteggere chi la stipula fin quando sussiste il rischio che qualcuno rivendichi i beni donati. Per questo motivo ha una durata che copre i tempi di prescrizione entro cui eventuali aventi diritto possano richiedere la restituzione di quanto donato.

Adsl, trova l’offerta migliore

Lo scorso mese è stato segnato da rincari significativi sulle bollette relative alle utenze domestiche, come luce, gas e telefonia. Soprattutto quest’ultima è stata protagonista di numerose rimodulazioni contrattuali.

Tim e Vodafone hanno deciso, infatti, di rivedere i piani tariffari principali e applicare a questi un sovrapprezzo pari a 2-3 euro in più al mese. Tra le offerte coinvolte Tim Senza Limiti Internet e le tariffe Vodafone dedicate alla fibra ottica.

Molti utenti, coinvolti in questi rincari, hanno deciso di cambiare tariffa e nei casi più estremi addirittura cambiare operatore, per evitare di far fronte agli ingiusti aumenti.

Un aiuto importante per questi utenti alla ricerca di una nuova tariffa è ComparaSemplice.it, un famoso comparatore online che mette a confronto le offerte più convenienti tra le tariffe migliori proposte dai principali operatori telefonici in Italia.

Ricordiamo che sono proprio le utenze domestiche ad avere il maggior peso sul bilancio economico mensile di ogni famiglia, che va sempre alla ricerca del risparmio. Per questo motivo più di 2 milioni di italiani si sono affidati a ComparaSemplice.it, grazie al quale si è potuto stimare un risparmio in bolletta pari a 250 euro di spese all’anno. 

Il risparmio a portata di click

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Geneve Invest analizza la guerra commerciale Usa vs Cina

 Abbiamo contattato Geneve Invest per avere un punto di vista tecnico sulla guerra commerciale che ormai da alcuni mesi vede Cina e Stati Uniti battagliare sui dazi imposti alle merci scambiate fra i due paesi. Ad oggi, infatti, non vi è all’orizzonte una soluzione alla battaglia imbastita dal presidente USA Donald Trump, mentre i primi effetti concreti delle misure cominciano a manifestarsi in maniera concreta non solo nei due paesi di riferimento, ma anche su un’economia globale che patisce i 250 miliardi di dollari di imposte cui oggi sono soggetti enormi percentuali di prodotti esportati fra Cina e Stati Uniti.

 Le tariffe agiscono come una tassa fissa sulle merci che entrano nei due paesi, il che significa che i beni in viaggio dagli Stati Uniti alla Cina, e viceversa, vengono colpiti, oltre che dalle normali tassazioni, anche da un aggiuntivo dazio del 25%. Il risultato di questo meccanismo è che i prodotti toccati dalla nuova tassazione diventano più costosi, il che, in teoria, dovrebbe spingere le aziende statunitensi, e quelle cinesi, ad acquistare merci di altra provenienza.

 “Gli Stati Uniti sono, fra i due paesi, quelli che potrebbero avere più da perdere – spiegano da Geneve Invest – dato che i prodotti cinesi rappresentavano, prima dell’inizio delle ostilità, circa il 21% di tutte le importazioni in arrivo negli Stati Uniti nel 2017. La Cina, peraltro, è un paese chiave per le importazioni di tantissimi stati americani: soltanto Nord Dakota, Lousiana e Delaware non vedono la Cina fra i primi cinque paesi delle loro importazioni. La scelta di Trump va nella direzione di contrastare il deficit commerciale fra Washington e Pechino – spiegano ancora gli esperti di Geneve Invest, società che lavora nell’ambito della gestione patrimoniale in modo indipendente – ma non è detto che il protezionismo sia la soluzione corretta: il rischio è che i dazi imposti dagli Stati Uniti vengano per lo più pagati da società e consumatori americani, mentre la Cina si sta vendicando imponendo tasse che non disturbano troppo le aziende locali. Circa il 60% delle esportazioni cinesi negli Stati Uniti – concludono il passaggio da Geneve Invest – sono prodotte in fabbriche di proprietà non cinese. Molte producono beni personalizzati per produttori americani, come ad esempio router internet, apparecchi a LED e motori per barche. Ciò significa che le tariffe imposte dall’amministrazione Trump alla Cina interessano effettivamente molte società americane (ed europee) che possiedono fabbriche in Cina”.

 Da sottolineare vi è anche come gran parte di ciò che gli Stati Uniti importano dalla Cina contiene elementi creati in altre località, inclusi gli Stati Uniti stessi. Un iPhone importato dalla Cina, ad esempio, integra un display realizzato in Corea del Sud, un chip in arrivo dal Giappone, un design e contenuti di programmazione statunitensi. Quindi, per ogni dollaro di vendite perso da una società cinese, si ha in realtà un impatto inferiore a quello stesso dollaro, sull’economia cinese, visto che bisogna redistribuire la perdita fra diverse nazioni. Nei computer e nell’elettronica, che rappresentano la maggior parte delle esportazioni cinesi negli Stati Uniti, il valore cinese aggiunto in ciascun dollaro di importazioni è di circa 50 centesimi. Di conseguenza, è improbabile che l’effetto negativo delle tariffe sulla produzione cinese sia sufficientemente ampio da avere un impatto significativo sulle pratiche commerciali della Cina. Inoltre, con l’intensificarsi della guerra commerciale, la leadership cinese sembra aver approfondito il proprio impegno nei confronti delle catene di approvvigionamento internazionali, scatenando dunque la reazione opposta rispetto all’obiettivo dell’amministrazione Trump, il cui unico risultato è al momento quello di isolare i produttori americani.

 “Alla fine di giugno, Pechino ha reso più facile per gli investitori stranieri entrare nei settori bancario, agricolo, automobilistico e dell’industria pesante – sottolinea Neri Camici di Geneve Invest – e dopo i dazi annunciati dagli Stati Uniti a fine luglio, la Cina ha ribadito l’intenzione di aprire ulteriormente la propria economia. L’esempio più nitido è legato a Tesla, la società automobilista di auto elettriche e a basso impatto ambientale, che recentemente è diventata la prima società del settore non cinese ad ottenere l’autorizzazione a operare senza un partner locale, con un accordo per costruire una fabbrica interamente indipendente, a Shangai, per produrre veicoli elettrici. Queste mosse inviano un segnale forte agli investitori, e spiegano che la Cina rimane impegnata nei confronti dei suoi partner internazionali, anche nel bel mezzo di una guerra commerciale. Certo non è tutto rose e fuori – conclude Camici da Geneve Invest – la Cina è infatti ancora impegnata in politiche che minano l’equità nel sistema commerciale mondiale e continua a non rispettare gli impegni di apertura di settori specifici alla partecipazione straniera.”

Geneve Invest: “con Manley alla guida di FCA il marchio Jeep diventerà centrale”

 “La sensazione è che il marchio Jeep acquisterà sempre più peso nelle dinamiche industriali del gruppo FCA” spiega da Ginevra/Lussemburgo/Milano Neri Camici di Geneve Invest, società di gestione patrimoniale indipendente che abbiamo interpellato per analizzare il momento della grande casa automobilistica italiana, alla prese con l’avvicendamento forzato fra Sergio Marchionne, scomparso improvvisamente poche seettimane fa, e Mike Manley.

Inglese, 54 anni, Manley è stato a capo del marchio Jeep di Fiat Chrysler Automobiles NV sin dal 2009, e il suo lavoro è stato fondamentale per l’implementazione di un piano aziendale che ha visto raddoppiare i profitti del gruppo nei primi cinque anni di operazioni. L’agenda di Manley è certamente molto fitta, a partire dalla sfida di rilancio dei marchi di lusso Alfa Romeo e Maserati, sino alla sbarco definitivo di Jeep in Cina e al progetto, già molto in ritardo, di sviluppo dell’auto elettrica.

“Quello delle automobili a basso impatto ambientale – continuano da Geneve Invest – è probabilmente l’obiettivo più duro e decisivo sul quale il nuovo amministratore delegato di FCA dovrà lavorare. Lo scenario sembra comunque positivo, soprattutto perché l’azienda ha deciso di operare una scelta di grande continuità: Manley era già stato incaricato di elaborare il piano quinquennale che prevede un salto nelle vendite del 40 per cento, già da quest’anno, per raggiungere il traguardo stabilito da Marchionne per il 2018. Il problema principale da affrontare per Manley sarà quello di riuscire a mantenere FCA a galla, nonostante, essendo la settima più grande casa automobilistica del mondo, la società potrebbe non avere le dimensioni necessarie per competere in un settore che sta virando in maniera decisa verso guida autonoma ed mezzi elettrici, due tecnologie rispetto a cui non solo il gruppo è in grande ritardo, ma per le quali sarà necessario prevedere investimenti massicci, la cui portata potrebbe non essere troppo ampia, rispetto alla forza di FCA”.

FCA dovrà difendersi soprattutto dall’assalto industriale che le altre case automobilistiche potrebbero decidere di portare: più volte negli ultimi mesi si è parlato di un interesse, sempre smentito, del costruttore sudcoreano Hyundai Motor Group. Si tratta di indiscrezioni che, nonostante la mancanza di conferme, ciclicamente interessano il gruppo italiano già da diversi mesi e che sono legati alla capacità di Sergio Marchionne di costruire un brand ritornato attraente sul mercato internazionale. La Jeep Wrangler e il marchio Jeep in generale sono oggi un successo assoluto in tutto il mondo, così come, allo stesso modo, Fiat è ritornato in maniera prepotente a giocare un ruolo da top player con modelli come la Fiat 500, un successo straordinario non soltanto in termini di vendite, ma anche di branding.

“Manley, e con lui tutto il gruppo FCA, si misurerà principalmente con l’obiettivo di aumento delle vendite che lui stesso, insieme a Marchionne, ha delineato nei mesi scorsi – chiudono gli esperti di Geneve Invest – un piano molto ambizioso e che ha l’obiettivo di portare il profitto operativo della società a quota 15 miliardi di dollari entro il 2022, aumentando i margini di profitto globali fino all’11% entro il 2022, dal 6,3 per cento del 2017”.

Banca Popolare di Bari, autunno mese caldo: sentenza del Consiglio di Stato e cessione Npl da 800 milioni

Il 18 ottobre 2018 sarà una data molto importante per la Banca Popolare di Bari, dal momento ci sarà finalmente la sentenza di merito conclusiva che verrà diffusa dal Consiglio di Stato. L’istituto pugliese sembra proprio che possa convocare una nuova assemblea dei soci per metà dicembre, in modo tale da definire il processo di trasformazione in Spa. Nel corso degli ultimi mesi la Popolare di Bari ha lavorato molto in riferimento a tale obiettivo. Proprio per tale ragione, ha avviato il progetto per lo sviluppo del Piano Industriale 2018/2022: anche grazie al supporto garantito da Oliver & Wyman, il tutto dovrebbe essere definito prima della stagione autunnale.

Le tempistiche si stringono sempre di più, dal momento che il termine ultimo per l’adeguamento alla normativa prevista dal Decreto Milleproroghe è quello del 31 dicembre. Diverse fonti finanziarie hanno messo in evidenza come, una volta ultimato l’iter di trasformazione in società per azioni, per l’istituto pugliese potrebbe essere arrivato il momento di fare anche un altro passo importante. Infatti, in considerazione del nuovo piano industriale, potrebbe esserci spazio per iniziare un processo di quotazione in borsa. Non si tratterebbe, comunque, di un’operazione da chiudere in tempi rapidissimi, dal momento che in ogni caso servirebbe qualche mese per definirla.

Tra le altre novità legate alla Banca Popolare di Bari c’è anche quella di riuscire a concludere, prima dell’autunno, la prima operazione di cartolarizzazione multigacs/multioriginator. In che modo? Facendo leva sulla vendita di un portafoglio di Npl per una somma che si aggira intorno agli 800 milioni di euro. L’obiettivo dell’istituto pugliese, in questo caso, è essenzialmente quello di raggiungere importanti passi in avanti circa gli indici di qualità del portafoglio impieghi. Il tutto sempre cercando di rispettare la nuova modalità di gestione degli NPLs che è stata intrapresa dalla Banca Popolare di Bari.

Come cambiare Bitcoin in euro

Sapete come convertire Bitcoin in Euro?

Obiettivo: convertire Bitcoin in Euro. Alcuni post pubblicati in precedenza ci hanno permesso di conoscere meglio le possibilità offerte dai Bitcoin, le più antiche e diffuse monete virtuali del mondo online. Abbiamo infatti visto che con i Bitcoin è possibile compiere una serie di operazioni possibili anche con le valute di tipo fisico e tradizionale. Oggi infatti è possibile: