Nella zona Ocse, l’Italia ha il tasso di contributi previdenziali più alti. A rischiare di più oggi sono i precari che rischiano di essere in grande difficoltà quando sarà il loro turno ad uscire dal mondo del lavoro. I dati diffusi dall’Ocse, dallo studio “Pensions at a glance” mettono in risalto anche come i salari italiani siano al di sotto della media Ocse.
I contributi sono a carico per 23,8 del datore di lavoro e per 9,2 punti del lavoratore. Il tasso di sostituzione lorda delle pensioni rispetto al reddito in Italia è pari al 71,2%, contro il 57,9% medio Ocse.
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Il valore pensionistico in Italia, cioè il valore corrente dei trasferimenti complessivi assicurati a un singolo pensionato in base all’attuale sistema pensionistico, basato sulle attese di vita e delle indicizzazioni, è in media a 454mila dollari per gli uomini (circa 335mila euro) e a 518mila dollari per le donne (382mila euro), contro 423mila e 483mila Ocse.
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L’Ocse fa notare che “l’adeguatezza dei redditi pensionistici potrà essere un problema” per le generazioni future, e “i lavoratori con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti sono più vulnerabili al rischio di povertà durante la vecchiaia”. Questo va ad unirsi all’accusa verso il “metodo contributivo” e l’assenza di pensioni sociali. Intanto l’Ocse sottolinea che chi entra oggi nel mercato del lavoro dovrà aspettarsi una pensione più bassa rispetto agli standard attuali, con un vero rischio di povertà per i precari. Nel rapporto viene posto in evidenza “Lavorare più a lungo potrebbe aiutare a compensare parte delle riduzioni, ma, in generale, ogni anno di contributi produce benefici inferiori rispetto al periodo precedente tali riforme, sebbene la maggior parte dei paesi abbia protetto dai tagli i redditi più bassi”.