L’aumento dell’età pensionabile diminuisce in maniera drastica i trattamenti liquidati dell’Inps. Durante i primi tre mesi del 2016, le nuove pensioni sono state 95.381 con una contrazione del 34,5% rispetto allo stesso periodo del 2015 (145.618).
L’Osservatorio Inps sul monitoraggio sui flussi di pensionamento sottolinea come nell’anno siano scattati sia l’aumento dell’aspettativa di vita (quattro mesi per tutti) sia i nuovi requisiti per le donne (passaggio da 63,9 anni del 2015 a 65,7). Crollano anche gli assegni sociali (per gli anziani privi di reddito on con redditi bassi), passati da 13.033 a 7.501 (-42,4%).
D’altro canto è solo di due giorni fa l’allarme lanciato dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, secondo cui senza una riforma del sistema pensionistico “in tempi stretti” i giovani continueranno ad avere “una penalizzazione molto forte. Il livello di disoccupazione è intollerabile. Il tema dell’uscita flessibile va affrontato adesso”.
Anche perché stando ai calcoli dell’Inps – che ha studiato la storia contributiva della “generazione 1980, una generazione indicativa” prendendo a riferimento un “universo di lavoratori dipendenti, ma anche artigiani” – è emerso come per un lavoratore tipo ci sia “una discontinuità contributiva, legata probabilmente a episodi di disoccupazione, di circa due anni”. Un buco destinato a pesare sul raggiungimento delle pensioni, che a seconda del prolungamento dell’interruzione può slittare “fino anche a 75 anni”.
Un rischio provocato dalla riforma Fornero che non premia le carriere intermittenti, penalizza i redditi bassi e considera l’aumento della speranza di vita. E’ scritto nero su bianco che chi va in pensione con il sistema contributivo (dunque chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996) può uscire in modo anticipato (a tre anni dal requisito) o per vecchiaia solo se rispetta un limite di reddito. E quanto più questo reddito è basso, tanto più tardi potrà ritirarsi.