Un manoscritto, un documento scritto a mano, può essere usato come prova che le scritture contabili non finiscono ai registri e che la situazione patrimoniale dell’azienda ha qualcosa in più. Insomma, la contabilità in nero, annotata a mano, può essere una prova dell’evasione dell’imprenditore. A prescindere dalla sussistenza di altri elementi, gli appunti scritti a penna sono da considerarsi probatori.
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A stabilire questo principio dando un colpo deciso all’evasione, ci ha pensato la Corte di Cassazione con la sentenza 4126 del 20 febbraio. Tutto è nato chiaramente da un fatto: ad una società che operava nel campo del commercio delle opere d’arte, è stato inviato un avviso di accertamento. Sul posto, durante l’esame della Guardia di Finanza, sono stati rinvenuti degli appunti scritti a mano dal rappresentante legale della società.
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Negli appunti si scriveva di diverse opere, dal valore di miliardi di lire, commerciate senza alcuna notazione contabile. Secondo l’amministrazione tributaria, questo manoscritto doveva esser considerato un indizio per l’accusa di evasione, da corroborare poi con una serie di indizi e con altri accertamenti sulla contabilità della società.
La Corte suprema, invece, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate ed ha considerato che questi appunti fossero parte di una contabilità in nero e quindi validi a livello indiziario.