In ripresa le quotazioni del petrolio Brent, che ha visto una forte discesa del prezzo nelle prime fasi delle contrattazioni di gennaio. Ma dopo le news in arrivo da Cina e Iraq, i prezzi hanno ripreso a correre.
Dopo i 3,2 milioni di barili giornalieri pompati a dicembre, secondo miglior risultato all’interno dell’Organizzazione dei Paesi esportatori (Opec) dopo l’Arabia Saudita, la produzione irachena di greggio è di nuovo a rischio dopo gli scontri tra esercito e i gruppi legati ad al-Qaeda. Se a prevalere in Medio Oriente è l’aspetto geopolitico, le notizie in arrivo dall’Asia registrano un nuovo record per le importazioni cinesi, salite a 6,31 milioni di barili giornalieri a dicembre (anche se il dato potrebbe esser stato gonfiato dagli ordini differiti a novembre).
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Dopo l’incremento di circa 870 mila barili registrato nel 2013, l’Opec nel report mensile pubblicato a dicembre ha stimato una crescita delle richieste globali nell’anno corrente di 1,04 milioni di barili giornalieri a 90,84 milioni. La domanda in arrivo da Pechino è vista in aumento di 340 mila barili mentre le richieste dei Paesi Ocse, causa un contesto macro ancora convalescente, dovrebbero segnare un rosso di 200 mila barili (-250 mila nel 2013), spiegano a Rbs bank. Il lieve segno più della domanda statunitense (+110 mila) dovrebbe essere assorbito dalla crescita dell’offerta domestica che, secondo le stime del Dipartimento dell’Energia, nel giro di pochi anni potrebbe permettere alla prima economia di conseguire un traguardo impensabile fi no a qualche anno fa: l’autosufficienza energetica.
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L’incremento dell’output nordamericano da solo rappresenterà i due terzi degli 1,2 milioni della crescita totale dell’offerta non-Opec nel 2014, stimata a 55,32 milioni. Per quanto riguarda i Paesi facenti parte del cartello, gli ultimi dati relativi il mese di novembre rilevano una riduzione dell’output di 193 mila a 29,63 milioni di barili. Secondo la società di ricerca Oil Movements il dato nelle prossime settimane è destinato a scendere ulteriormente, e più precisamente di 390 mila unità (al netto di Angola ed Ecuador), a causa di operazioni di manutenzione alle condutture.