Le società approdate lo scorso anno a Piazza Affari hanno raccolto più di 2,5 miliardi di euro. Gran parte del ricavato è stato raggiunto durante il primo semestre, periodo molto positivo per il mercato.
Nel secondo semestre, invece, il vento è diventato contrario. I listini hanno subito delle grossissime difficoltà oscillando tra alti e bassi. Molte aspiranti matricole (Segafredo, Italiaonline, Rottapharm, Fedrigoni, Favini, Sisal e Intercos) hanno congelato le loro intenzioni di quotarsi in borsa.
La ‘colpa’ è da attribuire alla turbolenza finanziaria. Molte società, tuttavia, non hanno rinunciato definitivamente alla quotazione. Semplicemente, l’hanno rinviata. In compenso, altre hanno annunciato di volersi quotare. Tra queste ci sono Eataly e Banzai. Con la crisi, in sei anni la capitalizzazione del listino milanese si è pressoché ridotta a metà.
Tuttavia, negli ultimi dieci anni, il numero di società quotate è aumentato. Nel 2004 erano 225. Al tempo, l’Alternative investment Market Italia, il mercato non regolamentato dalle piccole, non esiseva. Oggi sono 305, comprse le 55 pmi dell’Aim suddetto. Tra delisting e Ipo, il saldo è pertanto positivo. Se colta al momento giusto, la borsa può essere funzionale alla crescita delle imprese e comporta alcuni vantaggi. La borsa può configurarsi come un’alternativa reale al canale bancario per patrimonializzare una società.
Nel contempo, la borsa offre una carta di identità comprovata che rinvigorisce la figura dell’azienda anche per competere sui mercati internazionali. Offre una visibilità superiore allo standing aziendale, e permette di avere un maggiore ritorno mediatico. In più la borsa offre chiarezza del valore e degli obiettivi dell’impresa. Non vi è dubbio, permette di fare un enorme salto di qualità. Per questo motivo, realtà come Ray Way non hanno rinunciato alla quotazione. Oviesse è invece in rampa di lancio.