I numeri che emergono dal sondaggio fatto dalla Ispo-Confartigianato mostrano come la Riforma Fornero, che avrebbe dovuto sistemare il mondo del lavoro in Italia, non sia riuscita nel suo intento, anzi, sembra davvero che abbia peggiorato la situazione.
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Ovviamente non tutto può essere attribuibile a quanto il ministro Fornero ha deciso di fare: la crisi economica è un fatto che accomuna tutto il mondo, a parte i paesi in via di sviluppo, ma, se anche dopo che è stata varata una riforma che avrebbe dovuto apportare qualche miglioramento, i risultati continuano a peggiorare, è una chiara indicazione che nella riforma stessa c’è qualcosa che non va.
A confermare questa intuizione c’è il sondaggio della Confartagianato, che mette in evidenza come, soprattutto tra le piccole imprese, il malcontento è molto diffuso: il 65%, infatti, ha bocciato in pieno la riforma, dichiarando che ha avuto solo effetti negativi sia sull’occupazione che sulla crescita.
Giorgio Merletti, presidente della Confartigianato, ha così commentato i dati:
Le nostre rilevazioni confermano quanto avevamo temuto e denunciato: la riforma Fornero ha frenato la propensione ad assumere e ad utilizzare contratti flessibili, ha aumentato il costo dell’apprendistato e dei contratti a tempo determinato, senza peraltro alcuna riduzione del costo del lavoro dei cosiddetti contratti standard. Inoltre la confusa formulazione delle norme su partite iva e associazioni in partecipazione, sta determinando un freno anche rispetto al lavoro autonomo genuino e, conseguentemente, al sistema produttivo. Ed ha ulteriormente complicato la normativa sul lavoro. Insomma, tutto il contrario rispetto a ciò che serve.
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La Riforma Fornero aveva tra gli obiettivi primari quello di ridurre la precarietà tra i giovani, introducendo dei disincentivi per i contratti a termine, soprattutto in termini di costo. Anche se secondo i dati rilasciati dal Ministero del Lavoro i contratti a termine sarebbero passati dal 63,1 % al 65,8% dopo la Riforma, gli artigiani intervistati, nel 59% dei casi, dicono il contrario, affermando di non aver intenzione di rinnovare i contratti a termine già attivi.
I dati concordano, invece, per quanto riguarda i contratti a chiamata (chiamati anche a intermittenti o job on call): nel primo semestre di applicazione della riforma si sono ridotti del 37,4 % rispetto al secondo semestre del 2011. Stesso discorso per i contratti parasubordinati: – 15,3 %. In media entrambe le tipologie scendono del 24,4 %.