In questi giorni di avvicendamento di Governo sono state tante le notizie, più o meno confermate, sulle prossime mosse di Renzi e della sua squadra. Tra queste, una di quelle che ha fatto maggiormente discutere è stata la possibilità di un aumento della tassazione di Bot e Btp lanciata da Graziano Delrio.
I motivi della polemica sono due: da un lato il gettito che questo aumento potrebbe portare nelle casse dello stato e, dall’altro, chi sarà a pagare le spese di questo aumento.
Prima di analizzare questi due aspetti, parliamo della tassazione su questi strumenti: l’idea lanciata da Delrio prevede un livellamento della tassazione dei Bot e dei Btp con quella delle altre rendite finanziarie, ovvero portarla dal 12,5% al 20 al 25%, in pratica quasi il doppio. Va specificato che questa tassa incide sulla rendita, non sul valore del titolo in sé, il che rende questo aumento non particolarmente pesante.
Va da sé, quindi, che questo aumento non porterebbe nelle casse dello stato un gettito aggiuntivo significativo in quanto si tratterebbe di meno di mezzo milione di euro all’anno, il che non farebbe molta differenza per le finanze complessive.
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Si potrebbe obiettare che, anche se poco, sarebbe già una risorsa in più a disposizione dello Stato, ma questo si scontra con il fatto che questo aumento della tassazione sulle rendite di Bot e Btp andrebbe tutto a gravare sui piccoli risparmiatori che possiedono una piccola parte dei titoli di Stato in circolazione: si stima che le famiglie italiane posseggano solo 183 miliardi di titoli di Stato su un totale di 1.735 miliardi di debito circolante.
La restante parte è in mano a banche, assicurazioni e fondi che però non sarebbero interessati dall’aumento delle aliquote: questo tipo di istituzioni, infatti, non ha una tassazione diretta, ma le rendite di questi titoli entrano a far parte del reddito imponibile e, come tali, tassate.