Marchionne e molti altri manager ritengono che oggi per sopravvivere nel mercato dell’auto e nel settore industriale, è necessario essere aziende molto grandi. La storia giapponese indica che è possibile anche il contrario.
I piccoli produttori di auto giapponesi stanno rovesciando il pensiero riguardo la sopravvivenza delle aziende. A differenza di quanto credono quelli come Marchionne, i piccoli produttori giapponesi stanno ottenendo profitti molto elevati.
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E in Giappone i produttori di auto vanno forte: ci sono Toyota, Nissan e Honda che ogni anno vendono dai 4 (Honda) ai 10 (Toyota) milioni di modelli di auto. In più, fino a questo momento, i tre grandi marchi in questione sono riusciti ad andare avanti senza fare acquisizioni di rilievo, quindi senza impensierire i brand come Mazda, Suzuki, Subaru, Mitsubishi e Daihatsu. Questi marchi, più piccoli per fatturato, si fermano ad una produzione di 1 o 2,5 milioni di unità.
Per fare profitto nel settore automobilistico, quindi, non serve necessariamente essere grandi e produrre almeno 6 milioni di unità all’anno. Le fusioni come quella Fiat con Chrysler sono superflue. Basterebbe vedere i dati del semestre aprile-settembre 2015 di Mazda per capirlo.
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Il territorio giapponese, in più, è molto particolare perché da due anni sta dietro a perdite incredibili ma dalla prima metà dell’anno fiscale 2014-2015 qualcosa è cambiato: il reddito operativo di aziende come Fuji Heavy Industries è cresciuto anche del 23,2% su base annua così come sono aumentate le vendite del 14,2%. Il segreto non è nelle politiche economiche giapponese, che pure ci sono state se si pensa alla svalutazione dello yen voluta da Shinzo Abe, ma il segreto è piuttosto nella realizzazione di modelli di successo che sono efficienti e redditizi e trascurano la variabile volume, assecondando maggiormente le esigenze degli automobilisti.