Le nuove norme sulla privacy lasciano intendere che la questione della divulgazione e condivisione dei dati, soprattutto di quelli sensibili e riferiti al patrimonio, non è banale. Ma ci sono dei casi in cui i dati bancari trafugati all’estero possono essere usati dal fisco. Tutto nasce da un caso pratico. In linea di principio, l’amministrazione finanziaria, durante la sua attività di accertamento e contrasto dell’evasione fiscale, può avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario. C’è soltanto un limite a tutto questo, ovvero l’accertamento e i dati che ne derivano non devono essere in contrasto o ledere un diritto fondamentale di rango costituzionale.
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I porporati a seguito di un caso pratico, si sono trovati a riepilogare la giurisprudenza in materia mettendo gli evasori con le spalle al muro. Questa la vicenda pratica riepilogata da FiscoOggi:
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, per violazione di legge (in particolare degli articoli 37 e 41 del Dpr 600/1973 e dell’articolo 191 del cpp) avverso una sentenza della Ctr di Bolzano che, in accoglimento dell’appello del contribuente, aveva annullato le riprese dell’Agenzia relative a imposte e sanzioni collegate a disponibilità finanziarie detenute all’estero.
Secondo i giudici di appello, infatti, era inutilizzabile la documentazione bancaria trafugata da un funzionario di una banca estera, poi acquisita dalle autorità tedesche e da queste divulgate ad altri Paesi Ue, ai fini del contrasto all’evasione fiscale, in virtù dell’articolo 191 del codice di procedura penale, che prevede un generale divieto di utilizzo processuale di prove acquisite in violazione di legge.
La Cassazione ha accolto le richieste dell’Agenzia delle Entrate specificando con opportuni riferimenti normativi che: