Dopo i dubbi sollevati a inizio mese, il Consiglio di Stato ha dato il via libera al decreto ministeriale che rende operativa la riforma del canone tv, da luglio incluso nella nostra bolletta elettrica.
Tuttavia, il ministero dello Sviluppo Economico – che ha scritto il decreto – e il Consiglio di Stato mandano in scena un vero e proprio duello all’ultimo sangue. Il ministero recepisce infatti solo in parte e a denti stretti i rilievi che il Consiglio di Stato gli ha comunicato il 7 aprile scorso.
Il 7 aprile, ad esempio, il Consiglio di Stato aveva chiesto al ministero una definizione certa di apparecchio tv, il cui possesso è la base per il pagamento del canone. Bene, il ministero rifiuta di scrivere nel decreto una definizione rigida di apparecchio televisivo perché – spiega in una relazione – una norma “ingessata” rischia di invecchiare rapidamente alla luce delle costanti novità tecnologiche in atto. Il ministero fornisce la definizione richiesta dal Consiglio di Stato solo in una sua nota esplicativa, che è un atto molto più debole sul piano giuridico. Per l’uomo della strada oggi non cambia niente. Paga il canone Rai solo per l’apparecchio tv e non anche per il tablet, lo smartphone o il computer. Ma il governo – che dunque precisa la cosa soltanto nella sua nota esplicativa – non cambia la legge e il decreto. In altre parole si tiene le mani libere per il futuro.
Il ministero rifiuta anche di ribadire nel decreto che il canone si versa una sola volta anche se abbiamo più televisori in casa. Questo punto – dice il ministero al Consiglio di Stato – si deduce con chiarezza dalla Legge di Stabilità del 2016 che ha varato la novità del canone in bolletta. Dunque non serve riaffermare la cosa anche nel decreto applicativo.