Dopo quattordici giorni e un «negoziato» non semplicissimo tra Palazzo Chigi e il Colle, Napolitano ha firmato i due decreti approvati dal consiglio dei ministri del 13 giugno, uno per la riforma della pubblica amministrazione e uno per la competitività e lo sviluppo.
I provvedimenti sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale, per cui sono entrati ufficialmente in vigore. Qualcosa è cambiato ma sostanzialmente il disegno riformatore del governo è restato inalterato. Lo «scambio generazionale», quel congegno di staffetta che servirà a far andare fuori i lavoratori più anziani per far posto a nuove assunzioni di giovani, non ha avuto sostanziali cambiamenti. Per gli statali, da ottobre, non esisterà più il trattenimento in servizio. Non sarà possibile prolungare per altri due anni, come avviene oggi, la presenza in servizio dopo che si sono raggiunti i requisiti per il ritiro.
> La riforma della Pubblica Amministrazione dimezzerà gli uffici
La misura libererà, stando ai calcoli del governo, 15 mila posti in tre anni e farà coppia con un’altra norma introdotta nella riforma con l’intento di «svecchiare» le amministrazioni. È la norma che autorizza ministeri, Comuni, Regioni, e tutte le altre segmentazioni della Pa, ad obbligare chi ha raggiunto il massimo dei contributi previdenziali, ossia 42 anni e 3 mesi, a lasciare il lavoro.
Stando alle stime del ministero della funzione pubblica, questa norma potrebbe rendere liberi fino a 60 mila posti in un triennio. Nella relazione tecnica viene ammesso che la «staffetta generazionale» avrà in ogni caso un costo per le casse dello Stato.
Peserà per 354 milioni, la cui copertura, ancora una volta, sarà in sostanza a carico del commissario alla spesa pubblica Carlo Cottarelli che dovrà aumentare la sua dote di tagli.