La cedolare secca è stata introdotta nel 2011 ma è quest’anno che se ne inizia a parlare con insistenza in prossimità della dichiarazione dei redditi. Ad introdurre questa particolare tipologia dei contratti d’affitto ci ha pensato l’articolo 3 del decreto legislativo numero 23 del 14 marzo 2011.
In pratica si tratta di un’imposta sostitutiva sui redditi che derivano dai contratti di locazione degli immobili ad uno abitativo, non inferiori ai 30 giorni. Se il contratto è di durata inferiore ad un mese, infatti, la legge non ha previsto l’obbligo di registrazione.
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La cedolare secca va a sostituire tutte le tasse relative all’affitto della casa, quindi l’IRPEF, gli addizionali, l’imposta di bollo e quella di registro. Se si sceglie di applicare la cedolare secca e il canone libero, allora l’imposta sostitutiva è al 21%, se invece si opta per la cedolare secca e il canone concordato, l’imposta scende al 19 per cento.
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Se si sceglie di entrare, diciamo così, nel regime della cedolare secca al momento della stipula del contratto, non ci sono problemi ma se la scelta dell’opzione è comunicata tardivamente, bisogna prendere sul serio la remissione in bonis.
Si può usufruire di questa specie di “ravvedimento” soltanto se la violazione della normativa non è stata già contestata, se non sono iniziate le verifiche dell’autorità tributaria, se si posseggono i requisiti previsti dalla legge e se i documenti sono presentati entro la presentazione della prima dichiarazione dei redditi utile. La sanzione da versare, ad ogni modo, ammonta a 258 euro.