La Commissione europea indaga sulla distribuzione degli iPhone

 Dopo lo scandalo della presunta elusione fiscale sollevato dal Congresso americano, che riguardava in particolare l’ esistenza di controllate estere in Irlanda, la Apple, il colosso di Cupertino, torna all’ attenzione della cronaca e nel mirino dei commissari europei.

Per Apple un’elusione fiscale da 74 miliardi di dollari

La Commissione Europea ha infatti recentemente aperto una inchiesta sugli accordi di distribuzione relativi al noto smartphone prodotto dall’ azienda, a causa del sospetto dell’ esistenza di imposizioni di politiche di vendita e di scelte tecniche volte a tagliare fuori dai giochi la concorrenza.

> Elusione tasse, il documento che inchioda Apple

La notizia, riportata oggi dal Financial Times, riguarda cioè, da parte di Apple, la stipula di accordi con le società di telecomunicazioni che garantirebbero alla azienda di Cupertino, nel mercato europeo, le migliori condizioni di vendita.

Per il momento, quindi, l’ indagine dei Commissari europei ha prodotto un questionario indirizzato agli operatori di reti mobili, i quali sono stati chiamati a precisare i termini di distribuzione degli smartphone e la presenza di eventuali accordi di marketing o di restrizioni tecniche o contrattuali.

E dai primi risultati dei questionari la Commissione Europea ha potuto quindi evincere che da parte di Apple vi sono stati dei comportamenti, che, se confermati, potrebbero costituire una violazione delle leggi sull’ Antitrust.

Letta non dà tregua agli evasori fiscali

 Il tema dell’elusione delle tasse, nel giorno in cui un rapporto del Senato Usa inchioda Apple, il Premier Enrico Letta ha voluto dire la sua sulla questione. E lo ha fatto illustrando ai parlamentari che domani si parlerà anche del grande tema della lotta alla frode e all’evasione fiscale internazionale.

Così il Premier: “In questa difficile stagione in cui tutti i Paesi membri chiedono sacrifici pesanti ai propri cittadini per il risanamento delle finanze pubbliche, la lotta all’evasione e alla frode fiscale è anzitutto imperativo morale, dovere ineludibile, senza dimenticare che si tratta di un elemento essenziale per assicurare l’equità e la fiducia nell’efficienza del sistema fiscale”.

Il nodo focale della discussione di domani verterà sull’affermazione del principio dello scambio automatico d’informazioni fiscali come standard di trasparenza nelle relazioni tra Stati membri all’interno dell’Unione e tra l’Unione e i Paesi terzi. Si tratta di estendere in questo campo la collaborazione tra autorità fiscali, includendo tutte le tipologie di redditi attraverso una revisione della direttiva del 2011 sulla cooperazione amministrativa.

Il Consiglio europeo dovrà fornire alla Commissione il mandato ad avviare negoziati con Paesi terzi per rafforzare gli accordi in materia di cooperazione fiscale.

Letta ha sottolineato che il Governo vuole che il Consiglio opti per una serie di priorità d’azione per il futuro nel campo dell’evasione e della frode fiscale.

Elusione tasse, il documento che inchioda Apple

Continuano a gravare su Cupertino le accuse da parte del Senato americano. Apple avrebbe eluso le tasse per 74 miliardi di euro. In giornata è arrivato un rapporto di quaranta pagine che mette seriamente nei guai l’azienda californiana, rea di non aver ottemperato alle sue responsabilità fiscali. Dettagli, dati, riferimenti e statistiche sembrano inchiodare Tim Cook e i suoi.

Il documento illustra il modo in cui la società fondata dal compianto Steve Jobs sarebbe riuscita a gabbare il Fisco.

Meccanismi ai confini della legalità le hanno consentito di pagare meno tasse.

In breve, Apple è una società Apolide. Come tutte le società Apolide non paga le tasse. Tim Cook, probabilmente, lo sa benissimo ma ha cercato di rispondere colpo su colpo alla commissione del Senato senza far capire che il suo è stato un vero e proprio escamotage.

Nel contempo, dinanzi ai suoi capi d’accusa, Cook ne ha approfittato per chiedere un regime fiscale più equo Apple vorrebbe un’aliquota non superiore al 10%.

Dall’Irlanda a Singapore: la ‘ragnatela’ intorno alla mela morsa

In risposta, però, è arrivato solo un pesante rapporto da parte del Senato. Un diagramma a pagina venti illustra la tessitura delle società Apple. Una vera e propria ‘ragnatela’ cucita ad hoc per non pagare tasse. Dalla maggiore Apple Inc. con sede negli Stati Uniti si passa immediatamente alla Apple operations international (AOI), con sede in Irlanda e nessuna residenza fiscale dichiarata. Nell’attività della Aoi confluirebbero – sempre secondo la ricostruzione del Senato – almeno altre quattordici società.

Tutte operanti in Irlanda (con o senza residenza fiscale), tranne Una, la Apple South Asia Pte Ltd, che ha sede a Singapore. Forse non un caso, visto che uno studio recente ha sentenziato che, in fatto di paradisi fiscali, entro il 2020 Singapore sarà la nuova Svizzera.

Per Apple un’elusione fiscale da 74 miliardi di dollari

Neanche il tempo di gioire per il primo posto nella classifica dei marchi con più valore al mondo, che Apple deve fare i conti con il Fisco.

Tra il 2009 e il 2012, infatti, l’azienda di Cupertino avrebbe utilizzato una serie di ‘trucchi’ per pagare meno tasse arrivando ad eludere il Fisco per un totale di 74 miliardi di dollari.

E’ questa l’accusa che proviene dalla commissione parlamentare istituita dal Senato degli Stati Uniti al fine di indagare sulle aziende che sfruttano i paradisi fiscali e altri mezzi in modo tale da evadere il pagamento della tasse.

Secondo i dati resi noti nel corso dell’inchiesta, il marchio creato da Steve Jobs ha messo in moto numerosi “trucchetti” così da non versare le tasse al governo Usa.

In primis, Apple avrebbe trasferito una fetta dei suoi profitti in paradisi offshore. Nel contempo, Apple avrebbe anche generato delle “finte” filiali all’estero, in Paesi dove la pressione fiscale è minore rispetto agli Usa.

Per esempio, negli ultimi anni Apple ha aperto alcune filiali in Irlanda. In teoria, Cupertino avrebbe dovuto pagare le tasse come le altre aziende lì residenti.

Nella pratica, però, le cose non sono andate così. In base alla legge irlandese, infatti, un’azienda è considerata residente nel Paese (e dunque è tenuta a pagare le tasse come le altre) solo se il suo managment principale in loco. Tali filiali di Apple, invece, sono gestite direttamente dalla sede centrale, che si trova come tutti sanno in California. Non hanno nessun dipendente in Irlanda, sono “vere” solo di nome.

Seguendo questa metodologia, è come se la filiale non stesse in nessun luogo dal punto di vista della residenza(non in Usa, non in Irlanda) e dunque non paga le tasse in nessun luogo (o le paga meno, come un’azienda non residente).

Lo stesso meccanismo è stato messo in atto in altri Stati del mondo, le cui leggi lasciano spazio a questo tipo di trucchi. Si tratta di meccanismi legali, ma certo non onesti.

Classifica dei brand che valgono di più al mondo

Per l’ottavo anno di fila è disponibile la classifica “BrandZ Top 100“, stilata da “Millward Brown OPtimor“. Al primo posto si piazza Apple, proprio nel giorno in cui il Senato americano ha attaccato l’azienda fondata dal compianto Steve Jobs accusandola di evasione fiscale.

Apple è ancora il marchio che vale di più al mondo. Il suo valore è pari a 185,07 miliardi di dollari. Dietro si piazza, invece, Google. 113,66 miliardi di dollari. Medaglia di bronzo per Ibm, con 112,53 miliardi. Si segnala l’ottima tendenza al rialzo da parte di Samsung, che ha guadagnato posizioni su posizioni rispetto allo scorso anno. E’ ancora presto per arrivare tra le prime 10 posizioni, ma di questo passo i presupposti ci sono tutti. Attualmente, dopo un aumento di valore del 51%, quello del colosso coreano è pari a 21 miliardi di dollari.

L’escalation di Samsung

Proprio Nick Cooper, il managing director di Millward Brown Optimor, si è soffermato sull’escalation del marchio in questione. “La competizione per la leadership nel mercato smartphone ha consentito a Samsung di ottenere una crescita significativa nel valore del suo brand, bilanciando uno straordinario periodo di innovazione con un aumento della quota di mercato”.

Due italiane tra le prime 100 aziende

Tra le prime 100 posizioni ci sono anche due aziende italiane: la prima è Gucci, al sessantottesimo posto. La seconda è Prada, al novantottesimo.

Top 10 

Ecco le prime dieci aziende con più valore al mondo:

1 – Apple 185,07 miliardi dollari

2 – Google 113,66 miliardi dollari

3 – Ibm 112,53 miliardi dollari

4 – McDonald’s 90,25 miliardi dollari

5 – Coca Cola 78,41 miliardi dollari

6 – At&T 75,50 miliardi dollari

7 – Microsoft 69,81 miliardi dollari

8 – Marlboro 69,38 miliardi dollari

9 – Visa 56,06 miliardi dollari

10 –China Mobile 55,36 miliardi dollari

Un cartello Apple sul mercato degli ebook?

 Continuano in questi giorni negli Stati Uniti le indagini sulla possibile formazione, nel lontano aprile 2010, di un cartello Apple, guidato e sottoscritto dal Steve Jobs, per tenere alto il mercato degli ebook in occasione del lancio del primo iPad. Sulla questione, venuta a galla già nel 2012, continua infatti ad indagare il Dipartimento di Giustizia statunitense (DoJ).

In Francia una tassa sugli smartphone per finanziare la cultura

Secondo gli inquirenti Jobs avrebbe cercato, ai danni di Amazon, a quel tempo leader di mercato nella vendita dei libri digitali, un accordo con cinque dei maggiori colossi editoriali americani, e cioè Harper Collins, Macmillan, Hachette, Penguin e Pearson, in modo da convincerli ad innalzare il prezzo di 9,99 dollari praticato dall’ Amazon Store.

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A quel tempo, infatti, Amazon riusciva a vendere le novità editoriali in formato digitale e in formato cartaceo, esattamente in contemporanea, oltretutto praticando per le prime un prezzo inferiore alle seconde – quello di 9,99 dollari appunto.

La giustizia americana accusa dunque Apple di aver manipolato ad arte il mercato, convincendo i cinque editori a sbarcare per primi sull’ iBookstore e tenendo alto il prezzo degli ebook. A testimonianza degli accordi con Jobs ci sarebbe anche una email chiarificatrice pubblicata dal New York Times. Ora, ad ogni modo, gli editori hanno già patteggiato, mentre Apple, che sostiene di non aver mai indotto accordi collettivi, si difenderà in tribunale.

Apple torna sul mercato con gli iBond

 E’ la prima volta dal 1997 ma non sembra che la Apple abbia dimenticato come si fa. Dopo tutti questi anni l’azienda di Cupertino si rimette in gioco sul mercato delle obbligazioni e si prepara all’emissione di una bella fetta di debito con i cosiddetti iBond, obbligazioni che alla Apple servono per pagare i dividendi degli azionisti.

► Come farà a sopravvivere Apple

Dati i termini dell’operazione, della quale si occupano Deutsche Bank e Goldman Sachs, l’interesse è molto alto e sono state già raccolte richieste per il collocamento del debito pari a circa 40 miliardi di dollari.

Il recupero atteso per la Apple si aggira intorno ai 15/18 miliardi di dollari che saranno poi redistribuiti tra gli azionisti delusi dal calo dei rendimenti della società che sono stati evidenziati nel primo trimestre del 2013.

Dall’altra parte, ossia dalla parte di coloro che vogliono comprare una parte di questo debito con gli iBond, non si prospettano, però, rendimenti entusiasmanti: secondo gli analisti, infatti, il rendimento atteso non dovrebbe essere superiore al 2,8%, quanto attualmente rendono i titoli azionari con le loro cedole.

► Calano gli utili di Apple

Grazie alla richiesta di questo prestito la Apple potrà provvedere alla restituzione dei 100 miliardi di dollari promessa ai soci entro il 2015: una mossa strategica che permetterà a Cupertino di lasciare dove sono i fondi depositati all’estero – stimati in circa 145 miliardi di dollari – e non pagare, così, le tasse per il rientro dovute al governo degli Stati Uniti.

L’iBond di Apple piace agli investitori

 La società di Cupertino, la famosa Apple, legata il suo successo non solo alla vendita dei prodotti della Mela morsicata ma anche alla capacità di presentare questi prodotti al pubblico, tipica di Steve Jobs. Non è un caso che alla morte di uno dei suoi leader più carismatici, sia la società che il titolo abbiano iniziato a perdere quota.

Adesso la Apple è costretta a lanciare la sua prima emissione di obbligazioni, la prima in assoluto dal 1997. Questo tipo di strumenti di finanziamento sono stati considerati migliori rispetto al rimpatrio dei capitali. Per Apple, portare circa 100 miliardi di dollari detenuti all’estero, in America, avrebbe voluto dire pagare moltissime tasse.

Boom smartphone premia Samsung

Da qui l’intuizione: chiedere un prestito agli investitori per riacquistare i titoli Apple e pagare il dividendo agli azionisti. In genere, infatti, basta dire che è la Apple a lanciare dei bond per incuriosire chi opera in borsa. Questi iBond però, non devono essere considerati il simbolo della fine dell’azienda, infatti la solidità finanziaria del colosso di Cupertino non è in discussione.

Come farà a sopravvivere Apple

Deutsche Bank e Goldman Sachs si stanno occupando del collocamento del prestito e fino a questo momento hanno già raccolto richieste pari a 40 miliardi di dollari. L’obiettivo è raccogliere tra i 15 e i 18 miliardi di dollari.

Come farà a sopravvivere Apple

 Dalla morte di Steve Jobs in poi, il declino dell’azienda di Cupertino è stato praticamente “totale”. Adesso il nuovo management è costretto per la prima volta a fare i conti con un titolo che in borsa tende a non crescere. Per questo non sorprende che si cerchi affannosamente una soluzione. Nel tardo pomeriggio del 23 aprile, quindi appena qualche giorno fa, la Apple ha pubblicato i dati relativi al secondo trimestre fiscale ed ha annunciato di aver ricavi per 43,6 miliardi di dollari.

Apple pronta per le ultime novità

Questo risultato è stato al di sopra delle migliori attese degli analisti, però anche se può sembrare grandioso in un momento di crisi economica, in realtà copre la riduzione dell’utile netto che ha subito una flessione del 18 per cento. In pratica per la prima volta in 10 anni l’utile ha subito un calo sensibile e non è andato oltre i 9,5 miliardi di dollari.

Apple chiede aiuto agli executive

Lo scorso anno, tanto per fare un confronto, l’utile netto della Apple era di 11,6 miliari di dollari. I dati in questione, però, non hanno impensierito gli investitori e nemmeno gli azionisti perché finora le vendite dei dispositivi continuano a restare al di sopra della soglia di sicurezza.

In più per quanto riguarda l’ultimo trimestre, l’azienda di Cupertino annuncia di aver venduto 37,4 milioni di nuovi iPhone che sono 2,3 milioni in più rispetto al 2012. Lo smartphone della Mela morsicata continua a piacere.

Calano gli utili di Apple

La notizia che Apple potrebbe licenziare Tim Cook si poggia su solite fondamenta, visto come vanno le cose a Cupertino.

L’azienda macina utili, ma per la prima volta negli ultimi dieci anni della sua storia, l’utile netto è diminuito del 18%, a 9,5 miliardi di dollari. L’anno scorso si attestava intorno agli 11,6 miliardi.

La diminuzione degli utili non produce però una flessione dei guadagni, i quali si aggirano a 43,6 miliardi di dollari, in aumento dell’11% in confronto ai 39,2 miliardi di dollari dell’anno scorso.

Dati che paiono essere migliori rispetto alle attese degli esperti, i quali si aspettavano un utile di 9,97 dollari per azione e guadagni per 42,3 miliardi di dollari.

Dati che hanno fatto fare un passo in avanti al titolo nelle contrattazioni after hour a Wall Street di quasi il 5%.

Riacquisto delle proprie azioni

Oltre a ciò Apple ha dichiarato che riacquisterà azioni proprie per un totale di sessanta miliardi di dollari e aumenterà il dividendo del 15%, chiarendo che il piano di buyback sarà aumentato dagli attuali 10 miliardi a 60 miliardi di dollari. L’estate scorsa la compagnia aveva avviato il pagamento dei dividendi, cominciando riacquistare le proprie azioni.

Tim Cook, però, continua ad essere nel mirino per via dei risultati che continuano a deludere. La società non se la passa bene e titoli di Borsa soffrono di una forte pressione al ribasso.

Fiducia a Tim Cook?

Malgrado ciò, il Ceo di Cupertino ha affermato: “Siamo molto fortunati a essere nella posizione di poter raddoppiare l’ammontare del programma di ritorno del capitale annunciato lo scorso anno. Riteniamo che il riacquisto di nostre azioni si configuri come un buon modo per utilizzare il capitale”.

Basteranno queste frasi a calmierare le numerose critiche avanzate nei confronti di Cook?