Eni cerca gas a Cipro

 Situata fra le coste di Cipro, quelle di Israele e quelle del Libano, si trova la nuova frontiera Gas. Una miniera d’oro che nel giro di un paio di anni, ha fatto si che l’area in questione si configurasse come perimetro di riferimento per tutti i colossi del comparto degli  idrocarburi.

Naturalmente, ai grandi gruppi del gas si è aggiunta anche Eni, la quale non poteva di certo fallire questa caccia al tesoro.

Il gruppo italiano si è posizionato sul posto con un evidente delay, ma ora è a tutti gli effetti operativo e presente nell’elenco delle aziende alle quali è stato dato il nulla osta per esplorare la zona preposta.

L’annuncio

Eni ha così comunicato di aver stipulato un accordo con il Ministero del Commercio, Industria e Turismo della Repubblica di Cipro. Il contratto verte testualmente su Exploration and Production Sharing, ovvero sulle attività di esplorazione e produzione nei blocchi 2, 3 e 9 situati nelle acque profonde cipriote del Bacino del Levantino.

Eni avrà a disposizione una superficie complessiva di 12.530 chilometri quadrati.

La partnership con Kogas

Eni ha guadagnato tre blocchi e si pone al comando di un consorzio composto dalla stessa azienda (che possiede una quota dell’80%, in qualità di operatore principale) e dall’azienda coreana Kogas (20%) all’interno di un bando internazionale competitivo che si è concluso a maggio 2012.

Il gruppo coreano è ormai da molto tempo un alleato nelle trattative consolidato per la società con a capo Paolo Scaroni. Le due aziende hanno già portato avanti insieme le loro attività nel giacimento in Mozambico e in Iraq (18%).

Investimenti

Eni non ha voluto dare ragguagli sull’esatta cifra prevista per effettuare le operazioni di esplorazione.

Non è stato neanche detto quanto si intende prelevare in termini di quantità di materia prima. Gli investimenti nelle attività di esplorazione nè quanto ipotozza di ricavare come quantità di materia prima.

 

Chiuse mille imprese al giorno nel 2012

 Le aziende chiudono e quelle che vengono aperte sono sempre meno. Facile dire che è colpa della crisi. Banale e scontato. Il problema è che è quasi impensabile sapere che nel 2012 ne sono state chiuse ben 1000 al giorno. Una ogni minuto e mezzo. Facendo un calcolo, c’è da mettersi le mani nei capelli.

Il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, interviene sulla questione dichiarando che il tempo è finito e che a breve la politica tornerà ad avere le redini del Paese.

Per il Presidente di Unioncamere, il primo obiettivo in lista deve essere la rimessa al centro dell’attenzione dell’impresa. Il lavoro prima di tutto, in altri termini.

Come si fa? Occorre ridurre la pressione fiscale, avvicinando in termini di tassi l’Italia e le economie europee più equilibrate.

Nel 2012 sono nate circa 384.000 imprese. Sono ben 7.427 in meno rispetto a quelle nate del 2011.

Hanno chiuso definitivamente le saracinesche, invece, 1000 imprese al giorno. 24.000 imprese in più rispetto al 2011.

I dati parlano da soli, al punto che non hanno bisogno di essere commentati.

Criteri di applicazione delle aliquote per la produttività

 Il decreto firmato ieri dal presidente del consiglio Mario Monti con il ministro dell’Economia definisce i criteri di applicazione delle aliquote per la produttività. In primo luogo, nel testo, viene alzato a 40.000 euro il limite massimo per accedere alla detassazione al 10% del premio di produttività.

Produttività: l’accordo c’è ma senza CGIL

Il valore del premio oggetto della detassazione resta invariato: 2.500 euro. Per quanto riguarda i finanziamenti,inoltre, il decreto firmato ribadisce quanto detto dalla legge di stabilità, che prevede l’applicazione dello sconto fiscale per un limite massimo di onere di 950 milioni (per il 2013) e di 400 milioni (per 2014), fissando il limite massimo del 2014 a 800 milioni.

I dati Istat sulla produttività italiana

Il decreto prevede un doppio binario per l’assegnazione degli incentivi fiscali di produttività: da un lato gli incentivi per le voci retributive individuate dai contratti che fanno riferimento ad indicatori quantitativi di produttività, redditività, efficienza, innovazione e, dall’altro, l’incentivo verrà applicato se sarà prevista almeno una misura per tre delle quattro aree di intervento individuate dal governo (ridefinizione dei sistemi di orari, distribuzione flessibile delle ferie, impiego di nuove tecnologie, integrazione delle competenze).

Questo doppio binario di assegnazione permette di non dover azzerare quanto finora contrattualizzato per la produttività tra le parti sociali e i rappresentanti del governo.

Diminuiscono aziende in perdita

 Nell’anno di imposta 2010 (quindi le dichiarazioni che vengono presentate nel 2011-2012) le aziende in perdita sono state il 33,7% del totale. A dirlo il documento risultante dall’elaborazione dei dati del Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia, che ha voluto sottolineare che, rispetto al periodo immediatamente predente, c’è stata una diminuzione delle aziende in perdita del 3,3% (nell’anno di imposta 2009 erano il 37%).

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Quindi sembra che il 2010 sia stato un anno di ripresa economica, almeno per quanto riguarda, come evidenza il Dipartimento, il gettito Irap (l’Irap – Imposta Regionale sulle Attività Produttive – unica imposta a carico delle imprese proporzionale al fatturato). I dati evidenziano come ci sia stata una generale ripresa della base imponibile nella maggior parte dei settori economici. Si distinguono in modo particolare il settore manifatturiero (+11%) ed il commercio (+5%).

► Rimborsi IRPEF per IRAP non dedotta

Male, invece, il settore finanziario che ha manifestato un decremento dell’11% e il settore delle costruzioni che continua a contrarsi (-2,1%).

In totale nel 2010 è stato dichiarato, ai fini del pagamento dell’Irap, un totale di 32,5 miliardi di euro (+1,9% rispetto al 2009), con una media per impresa pari a 10.078 euro. La base imponibile totale risulta pari a 668 miliardi di euro, che segna un incremento del 2%  rispetto al 2009, in linea con la ripresa economica riferita a quell’anno di imposta.

Apple lancia iPhone Low Cost 2013

A Cupertino preparano le grandi manovre per quest’anno.

Apple continua infatti imperterrita nel suo lavoro di creazione di un iPhone low cost, atto a inglobare nel proprio parco clienti anche i meno abbienti. Le voci di corridoio provengono dal sempre ben informato Wall Street Journal. Il quotidiano americano è da sempre abbastanza tempestivo ed efficace nell’anticipazione delle strategie dell’azienda guidata prima da Steve Jobs e ora dal Ceo Tim Cook.

Il nuovo modello di Iphone potrebbe arrivare già entro fine 2013. Costerà meno. Per abbassare i costi del cliente Apple lo sta programmando pensando a nuovi materiali meno dispendiosi in termini di denaro.

Il nuovo melafonino sarà realizzato dunque in policarbonato e non più in alluminio come era successo per l’iPhone 5, ultimo modello uscito.

Questa soluzione appare la più conveniente anche se non sono da escludere modifiche dell’ultim’ora. Sul tavolo, infatti ci sono diverse alternative. La certezza, tuttavia, è che il team di Cupertino fondato da Jobs è pronto a scatenare una nuova rivoluzione di mercato nella telefonia mobile, così da contrastare Samsung e Android.

Android è più giovane rispetto a iOs di Apple. Si è però ben piazzato sul mercato replicando il modello della mela morsa, ma cambiando strategia (la sua è più approfondita dal punto di vista della tecnologia e meglio inserita nel mercato). La sua virtù è quella di essere open source e di ‘montare’ dispositivi appartenenti a brand diversi, anche a brand low cost.

Il nuovo iPhone Low Cost nasce con il preciso intento di battere non solo Android, ma anche Samsung, così da permettere ad Apple di strappare il primo posto nelle vendite del settore al colosso coreano.

Richard Ginori fallita

Un’azienda storica italiana di porcellane è stata dichiarata fallita. L’azienda è la Richard Ginori, e di storia ne ha tanta con un passato glorioso. L’azienda di Sesto Fiorentino è stata dichiarata fallita dal tribunale di Firenze. Il curatore fallimentare identificato dal tribunale è Andrea Spignoli.

Marco Milanesio, il presidente del collegio dei liquidatori, ha affermato: “Ci sarà massima collaborazione da parte mia con il curatore per cercare di portare a termine il lavoro che il collegio dei liquidatori aveva iniziato per la salvaguardia dei creditori, dei lavoratori, e del patrimonio artistico della Richard Ginori. Mi auguro che si possa verificare la continuità aziendale”.

A Novembre i debiti della società sono arrivati alla cifra di 11,3 milioni e i liquidatori hanno deciso per la cessione della stessa a una cordata in cui c’è la società americana Lenox e la società rumena Apulum.

Tra i lavoratori della Richard Ginori c’è delusione e molti si sono uniti in protesta. Giovanni Nencini, esponente dei Cobas Ginori, lancia un accusa e ha detto: “E’ una situazione allucinante e paradossale, oggi era tutto predisposto perché i lavoratori rientrassero in fabbrica. Una decisione che induce a pensare male, a pensare che dietro questo fallimento ci siano dei giochi particolari”. La produzione della Richard Ginori si era fermata dall’1 Agosto 2012 con 325 lavoratori in cassa integrazione per dodici mesi.

 

Italia, il 70% delle imprese ha problemi di liquidità

Il male comune che affligge il 70% delle imprese italiane è la mancanza di liquidità. La causa di ciò è il ritardo dei pagamenti, che provocano perdite per mancati incassi pari a 40,5 miliardi di euro su base annua. Una prassi tipicamente italiana, presa in considerazione dalla Cgia di Mestre per spiegare l’altra faccia della crisi.

Un problema che si verifica spesso e che trova alla sua radice una particolarissima metodologia di pagamento. Le transazioni commerciali con altre imprese e con la Pubblica amministrazione hanno tempi complicati e prassi ortodosse.

Ci vogliono ad esempio 96 giorni prima di effettuare una transazione commerciale con altre imprese. Il saldo arriva dunque dopo più di tre mesi. Quando di mezzo ci sono le pubbliche amministrazioni si aspetta anche fino a 6 mesi.

Non migliora la situazione se si considera il rapporto tra aziende italiane e partner economici che afferenti all’Unione Europea.

Le imprese che ne escono peggio sono senza dubbio le piccole e le medie. Un malcostume che però dovrebbe terminare a breve, quello italiano. Giuseppe Bortolussi, Segretario Cgia, spera nella Direttiva Europea che combatte il ritardo dei pagamenti.

Questa disciplina pone il committente nel vincolo di pagare l’azienda entro trenta giorni dal momento in cui riceve la merce o dal momento in cui l’azienda emette fattura. 

Bortolussi non accetta compromessi o anomalie: “Chi lavora deve essere pagato in tempi certi e ragionevoli. Chi, invece, non rispetta gli accordi subirà delle sanzioni economiche di tutto rispetto”.

 

Proibiti alle aziende gli stage gratuiti

Dal prossimo anno le aziende non potranno più ‘assumere’ stagisti a titolo gratuito. Ormai era diventato un ‘vizietto’, tipicamente italiano, adottato da molti datori, pronti a prendere in prova una serie di collaboratori esterni (usciti da un master o da un’università), sfruttandoli con la scusa di far fare a loro esperienza.

Una legge non consentirà più agli imprenditori di continuare questa spiacevole prassi. La retribuzione sarà obbligatoria.

Il compenso minimo da garantire per assumere uno stagista sarà di 400 euro lordi. Si tratta di una cifra esigua, che è comunque superiore al non percepire nulla.

La legge che prevede questo status è ancora in fase iniziale. Per il momento, durante la scorsa settimana, il Ministro del Welfare ha infatti presentato una bozza sulle linee guida sui tirocini.

Se ne era parlato già questa estate, successivamente alla Riforma del Lavoro proposta dal Ministro Elsa Forneero.

L’intesa sui nuovi tirocini dovrà essere firmata (Insieme al compenso che potrebbe variare di Regione in Regione a patto di non scendere sotto i 400 euro) entro 180 giorni dalla Riforma Fornero.

Si attende dunque la conferenza tra Stato e Regioni.

Successivamente ogni regione potrà decidere il limite minimo del compenso che le aziende dovranno pattuire con i nuovi collaboratori.

Samsung regina della telefonia mobile

Dopo 14 anni di strapotere da parte di Nokia, il 2012 si chiude con Samsung in testa alle classifiche di gradimento e di vendita. Il colosso coreano sale al primo posto nella produzione mondiale per quanto riguarda la telefonia mobile. Un altro segnale della fine dell’impero finlandese. Le unità vendute dall’azienda coreana nel 2012 sono superiori.

L’imposizione di Samsung nel campo dei cellulari è solo un altro tassello dopo le ottime virtù nel settore dei televisori e negli altri settori dell’elettronica di consumo.

A decretare l’enorme successo di Samsung è la società di ricerca IHS iSuppli, la quale ha pubblicato in anticipo il consuntivo di fine anno. Da esso si evince che Nokia ha visto la sua quota di mercato scendere dal 30% al 24%. Samsung ha invece guadagnato ben cinque punti perentuali. Ora è al primo posto nella classifica di vendita degli Smartphone, con una quota di mercato del 29%.

Gli analisti, tuttavia, non credono che questa sia una situazione definitiva. Le due aziende hanno sempre avuto alterne fortune nel settore degli smartphone, vero e proprio traino dell’industria hi-tech. Il settore è soprattutto guidato dalla vendita di cellulari, che rappresentano il 47% delle vendite. Si registra a tal proposito un incremento del 35% rispetto all’anno precedente. Nel 2013, inoltre, la quota complessiva su base annua arriverà a raggiungere il 56% del mercato della telefonia mobile.

I SEGRETI DEL SUCCESSO DI SAMSUNG

Samsung è dunque regina della telefonia mobile. Ma perché? I segreti del successo coreano stanno nella capacità di aver portato sul mercato esemplari tecnologicamente all’avanguardia. Parliamo in particolar modo dei modelli Galaxy SII e Galaxy SIII, adatti per tutte le fasce di utenza.

PERCHE’ NOKIA PERDE COLPI

Nokia ha virato troppo lentamente verso il sistema operativo Windows Phone creato da Microsoft, applicandolo tardi ai device di alta gamma. Il colosso finlandese ha preferito spingere ulteriormente i prodotti della vecchia gamma, puntando su un target più variegato, piuttosto che attuare e realizzare programmi innovativi di crescita dal punto di vista tecnologico.