Opzioni binarie e fiscal cliff: i tagli fiscali

 Il pericolo del fiscal cliff per l’America e l’eventualità che questo colosso dell’economia internazionale attraversi una fase di stallo negli investimenti all’estero, ha irrigidito temporaneamente gli scambi. Il fatto che l’America si sia dimostrata pronta a fornire una “soluzione” agli analisti e agli investitori, ha poi rasserenato le borse.

Ecco allora che chi investe in opzioni binarie ha osservato un’oscillazione “pericolosa” dei titoli, difficile da prevedere benché contenuta in un range gestibile. Ne è emerso che il tema del fiscal cliff e della sua risoluzione interessa molto il mercato e chi investe in opzioni binarie deve guardare con attenzione ai prossimi eventi in calendario.

Sapere in anticipo quello che l’agenda economica e finanziaria di un paese prevede, aiuta molto nella definizione del trend. Siamo molto al di là della “solita” definizione di “baratro fiscale”, adesso andiamo ad analizzare il primo elemento che potrebbe incider sul fiscal cliff.

Il presidente George W. Bush aveva varato una legge contenente alcuni tagli fiscali in scadenza alla fine dell’anno. In realtà la deadline della normativa era prevista per il 2010 ma poi l’America ha sentito la necessità di prorogare di due anni la legge dopo un lungo braccio di ferro tra il Presidente Obama e la componente Repubblicana del Congresso.

All’orizzonte, dunque, un aumento della tassazione dei lavoratori americani che per il prossimo anno spenderanno molto meno.

Fiscal Cliff, economia e lavoro: la prima conferenza stampa di Obama

 Si è tenuta ieri la prima conferenza stampa del presidente Obama. Un’ora e mezzo davanti ai giornalisti americani e alla stampa di tutto il mondo in cui il presidente ha esposto le sue opinioni e le sue intenzioni per il risanamento dell’economia americana: il Fiscal Cliff, le tasse ai ricchi e il lavoro.

E’ possibile che tutti noi precipitiamo nel ‘fiscal cliff’ se al Congresso prevale la testardaggine. Non farò marcia indietro come due anni fa.

Obama è intenzionato ad evitare il Fiscal Cliff e per farlo deve trovare un accordo al Congresso, cosa non facile visto che i repubblicani non sono d’accordo sulle metodologie democratiche. Obama, infatti, è intenzionato a tassare la classe ricca, e puntare su quella media per far risalire l’economia:

Non dobbiamo tenere la classe media in ostaggio, mentre discutiamo dei tagli alle tasse per i ricchi. Dovremmo almeno procedere sui punti su cui siamo d’accordo, come quello di mantenere basse le tasse per la classe media. Farò firmare un documento a tutti in modo da poter dare alla gente una certa sicurezza prima delle vacanze.

Tra gli altri obiettivi c’è quello del lavoro, un aspetto fondamentale se si vuole davvero procedere ad un risanamento sano e duraturo dell’economia.

 

 

Il fiscal cliff pesa sul dollaro

 Il pericolo che l’America possa finire nel baratro della recessione impensierisce gli americani ma soprattutto ha determinato molta incertezza sui mercati che adesso si concentrano sulle oscillazione dell’US Dollar Index e non solo.

Il fiscal cliff è l’incubo dell’America post elezioni. Il pericolo della recessione, adesso che tange anche gli States, si configura come l’inevitabile e nuova sfida per Obama e per il suo entourage. Peccato che a fare le spese di questa situazione non siano solo i cittadini ma anche la moneta americana.

Il dollaro sta perdendo consistenza proprio alla luce dell’incertezza sul futuro finanziario dell’America e il fatto che la situazione sta diventando piuttosto urgente, si può dedurre dall’andamento dell’US Dollar Index.

Gli Stati Uniti, Obama lo sa bene, devono provvedere al più presto a risparmiare qualcosa come 600  miliardi di dollari. La manovra economica, se possiamo chiamarla così, passa dall’aumento delle tasse e da un taglio della spesa pubblica per alcuni servizi.

Due pilastri dell’economia americana che non sono visti nello stesso modo da repubblicani e democratici. L’inquilino della Casa Bianca, però, in questo momento ha bisogno dell’appoggio del Congresso per intero. Repubblicani e Democratici hanno in serbo proposte diverse ma la base di partenza è la stessa: bisogna rinnovare il fisco a stelle e strisce.

Cibo e benzina sono meno cari, l’inflazione frena

Buone notizie. Nel mese di ottobre il tasso d’inflazione annuo è sceso al 2,6% dal 3,2%. Il rallentamento è stato possibile anche in virtù del calo dei prezzi della benzina e della favorevole comparazione con il 2011. I dati provengono dall’Istat, confermando le stime. Il dato tendenziale torna così ai livelli di circa un anno e mezzo fa, ovvero al maggio 2011. Su base mensile i prezzi sono rimasti fermi.

Ad ottobre il rincaro annuo del cosiddetto carrello della spesa, i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza (da cibo a carburanti), è del 4%, un rialzo superiore all’inflazione (2,6%), ma in forte rallentamento rispetto a quanto registrato a settembre (4,7%). Lo rileva l’Istat diffondendo i dati definitivi e aggiungendo che la variazione su base mensile è stata nulla.

Se ci soffermiamo sull’analisi delle voci dei prodotti della tavola, emerge il forte rialzo dei seguenti prodotti:

– vegetali freschi (+2,7%, +8,3% in termini tendenziali);

– cioccolato (+0,6%, +4,2% su base annua).

Nel capitolo energia invece cala rispetto a settembre, oltre alla benzina e al diesel, anche il prezzo del gasolio per riscaldamento (-0,3%), con una decelerazione del tasso di crescita annuo (9,3%, dal 10,3% di settembre). Quanto al settore regolamentato, l’Istat fa notare gli aumenti congiunturali dell’energia elettrica (+1,4%), il cui rialzo tendenziale sale al 15,9% (dal 14,4%), e del gas naturale (+1,1%), che registra un incremento su base annua del 9,2% (era +13,2% a settembre).

Ad ottobre, rispetto al mese precedente, calano sia i prezzi della benzina sia del gasolio per mezzi di trasporto. Secondo i dati definiti dell’Istat, la verde scende del 2,4% su base mensile e il diesel dell’1,5%. Su base annua i rialzi restano a doppia cifra ma in deciso rallentamento, per la benzina si passa al 16,3% (dal 20,1% di settembre), per il gasolio si passa al 17,9% (dal 21,7%).

 

Le banche americane sono contro Obama

 La popolazione americana ha dato il suo consenso per il secondo mandato di Obama, con molte meno incertezze di quanto analisti ed esperti avevano preventivato. Ma questa vittoria non ha accolto i consensi delle banche americane che, già dalla compagna elettorale, hanno dimostrato di volere un repubblicano al potere.

In effetti, l’elezione di un presidente repubblicano, nella fattispecie Mitt Romney, avrebbe garantito alle banche e alle grandi concentrazioni finanziarie di accedere ad una revisione della legislazione più favorevole alla continuazione delle loro attività speculative.

Una preferenza che ha portato fin da subito le sue conseguenze: il giorno dopo l’elezione di Obama la borsa americana ha aperto le contrattazioni con indici al ribasso e le cause principali sono da rintracciarsi nelle regolamentazione prevista dall’amministrazione democratica per la concessione di prestiti e mutui che limita le possibilità di azione dei gruppi finanziari.

La controprova ad un fatto già tangibile arriva dalle stime del Center for responsive Politic (centro studi economico-politico indipendente e apartitico) del denaro che le banche hanno messo a disposizione dei candidati in campagna elettorale. Su un totale di circa sei miliardi di dollari, quattro sono stati stanziati per Romney e solo due per Obama.

In sostanza per Obama si presenta una sfida più impegnativa di quanto previsto: l’appoggio delle banche è determinante nell’attuazione del piano di risanamento dell’economia.

Grecia e Fiscal Cliff pesano sulle borse europee

 I mercati azionari europei hanno aperto la settimana di contrattazioni con molta cautela. Tutti i titoli europei sono in rosso e anche nel resto del mondo la situazione non è certo migliore.

La causa di questo rallentamento sta in due fattori fondamentali, quelli di cui si parla molto spesso in questo giorni: da un lato la questione greca e le operazioni di salvataggio per il paese ellenico, dall’altra il Fiscal Cliff, il maggiore cruccio di Obama appena rieletto al suo secondo mandato.

La questione della Grecia ha creato una profonda spaccatura nella troika (BCE, UE e FMI) che inciderà sulle decisioni che verranno prese a riguardo dell’economia disastrata dalla crisi di questo paese. Le opinioni maggiormente discordanti sono quelle dell’Eurogruppo di Jean-Claude Juncker e quelle del Fondo Monetario Internazionale di Christine Lagarde.

Altro nodo cruciale per le contrattazioni finanziarie è quello del Fiscal Cliff. Barack Obama ha annunciato la sua intenzione di tassare maggiormente gli stipendi più alti, ma la restante parte del Congresso (i repubblicani) hanno osteggiato fin dall’inizio questa metodologia.

In questa settimana, che si è aperta con grosse difficoltà del mercato azionario mondiale, con indici sempre più bassi e uno scarso volume di contrattazioni, sono attese delle decisioni importanti che dovrebbero lasciare spazio ad una ripresa del mercato.

Wall Street, continuano le vendite

 A metà della settima i listini di Wall Street sono finiti molto in basso, la borsa americana ha ceduto due punti percentuali e sembra che il Dow Jones abbia toccato i livelli peggiori dell’anno. In pratica la spinta alla vendita negli States non accenna a diminuire.

E’ vero, è stato rieletto Obama e almeno l’incertezza sul futuro politico dell’America è venuta meno ma gli investitori sono ancora scettici sul solco tracciato nell’entusiasmo della campagna elettorale perché l’inquilino della Casa Bianca, niente può contro la crisi dell’Eurozona.

Rieletto Obama, dunque, gli investitori americani non si danno pace e si chiedono cosa ne sarà dell’Europa dopo che la Grecia ha approvato in Parlamento l’ennesimo piano di austerity, dopo il discorso di Draghi sulla situazione dell’Europa e soprattutto dopo che il Congresso americano ha manifestato il suo scetticismo all’indirizzo del fiscal cliff.

Tutti questi elementi che rendono il panorama economico degli States molto difficile da gestire, potrebbe determinare una nuova ondata di tagli alla spesa e una spinta verso l’alto della tassazione. Se ciò dovesse verificarsi sarebbero a rischio molti investimenti attualmente diretti verso gli Stati Uniti.

I listini, in questi giorni, non hanno fatto altro che manifestare con una serie di ribassi, la perplessità sulla situazione americana.

Fiscal Cliff, Obama: “Più tasse ai ricchi”. E il Dow Jones crolla.

Per evitare il Fiscal Cliff  i cittadini statunitensi maggiormente benestanti saranno costretti a dover pagare più tasse. Ad annunciarlo è il neo-rieletto Presidente americano Barack Obama. La dichiarazione era prevedibile ma immediatamente il Dow Jones è sceso giù a quota -0,05%.

Ma perché il Fiscal Cliff è così importante per l’amministrazione di Obama?

Lo United States Fiscal Cliff  si riferisce agli effetti di una serie di leggi recenti che, se non modificate, si tradurranno in aumenti delle tasse, tagli alla spesa e una corrispondente riduzione del disavanzo di bilancio a partire dal 2013. Queste leggi includono l’aumento delle imposte dovute della scadenza dei tagli fiscali di Bush e tagli alla spesa ai sensi della Budget Control Act del 2011.

Tradotto in numeri, il Fiscal Cliff sarà una scure sul popolo americano, che comporterà un aumento delle tasse e tagli automatici alla spesa per un totale di 600 miliardi di dollari solo nel 2013.

Ma il rischio non è solo per la popolazione, il Fiscal Cliff, se non giunge ad un accordo in tempi brevi, porterà l’amministrazione di Obama alla perdita della tripla A.

In questi giorni l’America di Barack Obama sta vivendo uno scontro interno accesissimo per fare in modo che questo non accada.  Le due controparti della politica americana, purtroppo, sono in completo disaccordo sulla questione legata alla riduzione del deficit di bilancio del paese (che è arrivato a toccare 1,09 miliardi di dollari), e quindi difficilmente riusciranno a trovare una intesa sul mezzo che porterà l’America a superare questo delicato obiettivo.

La proposta di Obama è quella di tagli alle spese (soprattutto sulla Difesa) compensati dall’aumento del prelievo fiscale sui redditi più alti:

«Non possiamo tagliare la nostra strada verso la prosperità. Se siamo seri sulla riduzione del deficit dobbiamo combinare i tagli alla spesa con le entrate e questo significa chiedere agli americani più ricchi di pagare un po’ più di tasse».

Di avviso contrario i repubblicani che per risparmiare propongono lo smantellamento del welfare.

Le trattative al Congresso inizieranno il 13 novembre e, se non si arriverà ad un accordo, non si potrà evitare il Fiscal Cliff e, come previsto dal Congressional Budget Office, l’economia cadrà in recessione nel 2013.

Obama ha un ottimo alleato: Bernanke

Barack Obama può contare su un solido alleato per i prossimi quattro anni del suo mandato presidenziale. Si tratta di Ben Bernanke.

Il suo mandato nella Federal reserve  scade il 31 gennaio del 2014. Ed è salvo. Non sarebbe stato così se avesse vinto Romney. La poltrona di Bernanke molto probabilmente sarebbe saltata vista la poca simpatia che scorre tra lui e il candidato repubblicano. Una antipatia che quest’ultimo ha più volte evidenziato durante la sua campagna elettorale. Molte sono le volte in cui ha fatto chiaramente riferimenti a Bernanke, con l’intenzione di volerlo destituire dal suo incarico prima del tempo una volta entrato nella Stanza Ovale. Così non è stato. La storia ha detto per la seconda volta “Obama” e il governatore è a cavallo.

Il Presidente della Banca Centrale Americana, pertanto, rimane in carica ed è pronto ad aiutare Obama nello sviluppo del suo programma economico. In primo luogo l’esigenza è quella di ridurre il tasso di disoccupazione. La Fed proverà ancora ad allentare la pressione monetaria così da far crescere l’economia e diminuire il numero di coloro che sono al momento senza un lavoro.

E dal 2014? Spetterà ad Obama nominare il futuro Presidente della Banca Centrale, cosa che probabilmente avverrà nel prossimo autunno.

 

L’effetto Obama sul dollaro

 La rielezione di Barack Obama che guiderà per i prossimi quattro anni l’America ha determinato una flessione del valore del dollaro. Le borse hanno provato a reagire positivamente alla notizia ma il recupero degli indici, tanto atteso, alla fine non si è concretizzato.

A crescere sono state soprattutto le quotazioni di materie prime, oro e petrolio che hanno battutto tutti gli altri stock con i loro rialzi.  Ma cosa è successo al dollaro?

A livello globale, la moneta americana ha guadagnato terreno sullo yen. In pratica il quadro sul mercato valutario è comunque di risk on e lo yen ha ricominciato ad essere venuto rispetto alla moneta americana. Tutte le informazioni che stiamo fornendo fanno pensare che il mercato ha provato a festeggiare la rielezione del presidente uscente.

Gli analisti hanno subito parlato di effetto Obama sull’apertura delle borse europee che si presenteranno prossime alla rottura delle resistenze di brebe periodo.

Il Dax è finito oltre 7,425 e il Ftse Mib è andato a quota 15.750.

La moneta unica si è presentata in risalita durante la notte delle elezioni e ha superato tutti i livelli massimi. Oggi si potrebbero avere nuovi rialzi ed un’elevata volatilità sul cambio euro dollaro. Le opportunità d’investimento con queste oscillazioni sono molte.