Cosa sta cambiando in RCS

 RCS è l’azienda che controlla il Corriere della Sera, tanto per intenderci sulla realtà editoriale italiana. Da diversi mesi è entrata in crisi ed ora si cerca una strategia finanziaria e azionaria per venire fuori da questo vicolo cieco. Nell’ultima settimana di giugno qualcosa è cambiato per RCS, con un maggior coinvolgimento della FIAT e con la morte di Giuseppe Rotelli.

In attesa delle elezioni cosa succede a Piazza Affari

L’azienda automobilistica torinese ha deciso di aumentare la sua quota di partecipazione nella società RCS facendo crescere le azioni fino al 20,1 per cento. Sembra che ci sia già stato l’acquisto di 10,7 milioni di euro di diritti di opzioni sulle azioni RCS. Vuol dire che FIAT si è messa in tasca il diritto di comprare le azioni della società del Corriere della Sera quando le azioni saranno messe in vendita per aumentare il capitale.

10 miliardi per il duo Fiat-Chrysler

Tutto dovrebbe concludersi il 5 luglio, giorno in cui FIAT sarà ufficialmente il primo azionista RCS con il possesso del 20,1 per cento delle azioni. Il costo di questa operazione sarà all’incirca di 90 milioni di euro. Ma l’azienda che controlla il quotidiano milanese e diversi settimana editi dalla Rizzoli, ha ribadito che il movimento “in entrata” della FIAT non è stato l’unico cambiamento in seno alla società.

Nell’ultima settimana di giugno, infatti, è morto Giuseppe Rotelli, il maggiore azionista RCS, imprenditore sanitario che soltanto un anno fa si era imbarcano nell’avventura del San Raffaele.

Il colpo proibito all’ottimismo tricolore

 L’ottimismo di una popolazione è alla base delle scelte di consumo visto che spendere è comunque una forma d’investimento. Chi spende in Italia ha fiducia nel miglioramento della situazione del paese. In questo momento, però, le statistiche parlano di un nuovo calo dell’ottimismo degli italiani che nel 33 per cento dei casi hanno deciso di ridurre gli investimenti nel nostro paese.

A Tokyo il Nikkei riprende fiato

Secondo la statistica ufficiale il 28 per cento degli italiani è più ottimista dell’anno scorso riguardo l’andamento della borsa e quello dei mercati finanziari. Non siamo il popolo “messo peggio” in Europa, visto che nel Vecchio Continente i più pessimisti in assoluto sono i portoghesi. Non siamo però nemmeno al livello degli svedesi che possiamo definitivamente considerare fiduciosi.

Quello che in Italia fa la differenza è la situazione politica e in parte anche la pressione fiscale. Nonostante si sia stabilizzata la guida del governo con il duo Letta-Alfano, non è ancora chiaro se le manovre stabilite dal governo saranno risolutive dello scenario di crisi che attanaglia il nostro paese.

Le borse crescono grazie a Draghi

In più dobbiamo considerare il nuovo peso delle imposte. Per la sospensione dell’IMU e il rinvio dell’aumento dell’IVA di un punto percentuale, infatti, il governo è stato costretto ad inserire delle  mini tasse, soprattutto sulle sigarette elettroniche, ed è stato costretto a prevedere ben 24 appuntamenti con il fisco tra novembre e dicembre.

Murdoch vuole anche il Financial Times

 Rupert Murdoch è conosciuto nell’ambiente finanziario come “lo squalo” visto che non riesce davvero ad evitare le mosse che possono portare denaro e successo al suo impero finanziario. Chiaramente è soltanto un modo di dire per annunciare l’ultima volontà del magnate australiano:  inserire nella collezione delle sue riviste anche il Financial Times.

51mila abbonati in meno per Sky

Murdoch, proprietario della società News Corps, sta cercando d’ingrandire il suo tesoro editoriale e dopo aver acquistato già il Wall Street Journal, ha intenzione di diventare monopolista dell’informazione finanziaria, acquistando anche il Financial Times. Per arricchire la cordata è necessario concludere l’accordo con gli emirati arabi che non sembrano ancora intenzionati a cedere per poche migliaia di euro il tesoro editoriale.

Sfida Malone-Murdoch

E più la trattativa va avanti, più il Financial Times acquisisce valore. L’emiro di Abu Dhabi sembra aver detto che il patto potrebbe concludersi dopo aver messo sul piatto circa 1,2 miliardi di dollari. Sicuramente si configurerebbe un monopolio dell’informazione finanziaria visto che una volta acquisito il Financial Times, nelle mani di Murdoch ci sarebbe anche il 50 per cento dell’Economist e altri servizi d’informazione.

Abu Dhabi, riguardo il Financial Times, possiede il 75 per cento del capitale mentre Murdoch, che ne detiene già il 25 per cento, sarebbe pronto a salire fino al 50 per cento.

Il debutto di Italia Independent

 Il più giovane della famiglia Agnelli, il tanto chiacchierato Lapo Elkann ha finalmente raggiunto il suo traguardo finanziario: quotare l’azienda costituita nel 2007 alla borsa di Milano. Il titolo è stato valutato al pari di una start up tanto che il valore della quotazione ha superato quello del fatturato.

Il debutto “lussuoso” di Moleskine

Chi sa rischiare, in fondo, viene premiato. Se si volesse riassumere in qualche modo la benedizione di John Elkann al fratello, potremmo sintetizzarla così. La valutazione del titolo Italian Indipendent è stata di 19,2 volte il guadagno dell’azienda esclusi i costi sostenuti.

Ci si è dati addirittura un obiettivo che è quello di raccogliere fino alla fine dell’anno circa 13,6 milioni di euro al fine di reinvestire tutto nella crescita della nuova realtà industriale. In realtà, i soldi messi da parte con il lancio in borsa dovranno essere usati anche per mettersi al riparo dal rischio liquidità.

Moleskine pronta al ballo finanziario delle debuttanti

Un atteggiamento lungimirante che parte dalla considerazione delle potenzialità di Italian Indipendent, un’azienda che produce occhiali made in Italy e che più che vendere gli accessori in questione, punta a creare uno stile di vista, ad appassionare il popolo tricolore e non solo.

In fondo, l’intuizione di Lapo Elkann non è del tutto campata in aria visto che in un periodo di crisi le uniche aziende a sopravvivere sono state quelle del lusso.

Draghi pronto a partire

 Le borse crescono grazie a Draghi che ha dichiarato la disponibilità della Banca centrale europea ad intervenire sul mercato per mettere in ordine nel dissesto finanziario del Vecchio Continente. Ma cosa ha detto di preciso Draghi da riuscire ad entusiasmare gli investitori?

Il governatore ha spiegato che i conti pubblici si devono risanare senza opprimere i consumatori e quindi senza insistere sull’aumento delle tasse. Il reddito a disposizione dei cittadini, infatti, è il parametro che deve assolutamente crescere.

Mario Draghi ha ribadito che la BCE è stata sempre presente in Europa per tamponare la crisi, per rispondere alle esigenze crescenti della popolazione e degli Stati membri. Il suo obiettivo costante è stata la difesa della stabilità politica ed economica, nonché dell’unione monetaria.

BCE critica sull’atteggiamento tedesco

Evidentemente la crisi è più profonda di quanto si pensasse e gli interventi studiati non sono del tutto efficaci. Infatti Draghi ha ribadito di essere ancora pronto ad intervenire, qualora fosse necessario.

Il prerequisito per il ritorno sul canale della crescita, però, è la collaborazione dei governi che devono riformare il mercato del lavoro e correggere il tiro sulla fiscalità. Le parole di Draghi sono tanto più importanti se si considerano sviluppate dopo il congresso del CDU tedesco che tanto ha fatto pressione sulla Banca centrale europea.

Le borse crescono grazie a Draghi

 Mario Draghi, pur essendo “soltanto” il governatore della Banca Centrale Europea, ha dato una grossa mano con le sue dichiarazioni, all’andamento delle borse principali del Vecchio Continente. Ma cosa è successo ai listini di tutto il mondo?

Il primo dato di cui tenere conto è sicuramente il timore per la scarsità di liquidità della banca centrale cinese. La notizia, circolata già nei giorni scorsi, ha oppresso in modo pesante la borsa di Tokyo che infatti ha chiuso le contrattazioni in terreno negativo.

BCE critica sull’atteggiamento tedesco

In Europa, invece, l’effetto Draghi, la rassicurazione arrivata dall’Eurotower, è stato provvidenziale. Il governatore della BCE infatti, si è detto pronto ad intervenire sul mercato e questa dichiarazione d’intenti ha immediatamente alleggerito la pressione sul debito italiano legata al problema “derivati”.

Di che si discute tra BCE e Germania

Lo spread tra Bund e BTP si è mantenuto al di sotto della soglia dei 300 punti e il rendimento dei titoli a sei anni è salito fino ai livelli massimi registrati da febbraio ad oggi. Piazza Affari si muove comunque in rialzo de 2 per cento e a tenere testa, stavolta, sono i titoli bancari.

Importante per i listini, soprattutto per quelli Oltreoceano, i dati riferiti al PIL americano che, nonostante l’ottimismo dei mesi scorsi, appare molto ridimensionato. Gli Stati Uniti, infatti, cresceranno solo dell’1,8 per cento.

 

Wall Street teme la stretta cinese

 A rallentare non è più soltanto la Cina ma anche i paesi emergenti tra cui spicca il Brasile. Questo paese del Sudamerica, oggi teatro della Confederations Cup ha accolto la protesta della popolazione contro la scelte del governo che spenderà moltissimi soldi per finanziare la competizione sportiva in corso e poi anche i mondiali di calcio del prossimo anno.

A Krugman non piace l’atteggiamento della FED

Eppure le economie globali non dipendono tanto dai paesi emergenti quanto piuttosto dalla Cina che con il suo rallentamento annunciato ormai dieci giorni fa, sta tenendo con il fiato sospeso le maggiori borse su scala planetaria.

Wall Street è l’esempio lampante dell’interdipendenza delle borse mondiali dall’andamento di quella cinese. Ieri, infatti, le contrattazioni americane si sono chiuse in terreno negativo. L’indice azionario di riferimento, lo S&P 500 ha chiuso la giornata con una flessione dell’1,2 per cento sfiorando i 1.573,09 punti che sono il punto più basso mai toccato da due mesi a questa parte.

La Cina condiziona gli scambi

In flessione anche il Dow Jones che ha perso ben lo 0,94 per cento ed è arrivato fino a 14.659 punti. Non può mancare certo un riferimento al Nasdaq100 che è arrivato a 2.848,20 punti perdendo l’1,03 per cento. Sicuramente ha influito su questi cali anche la decisione della FED sul Quantitative Easing.

L’Ifo tedesco non pompa le borse

 All’inizio della settimana di contrattazioni, le maggiori borse europee si sono dimostrate in calo e a niente è servito pubblicare i dati sull’Ifo tedesco che hanno dato respiro e fiducia agli investitori.

Sicuramente a capitalizzare l’attenzione c’è stata la borsa di Tokyo dove l’indice Nikkei e lo yen sono risultati in calo dopo la presa di coscienza di un’altra vittoria del partito conservatore del premier Abe. In effetti, per il futuro prossimo, il Giappone affronterà la crisi con le stesse tecniche adottate fino a questo momento. In realtà a livello di prodotto interno lordo ci sono stati degli interessanti miglioramenti.

Vince Abe e cala lo yen

Ma passiamo un attimo a considerare quello che è accaduto di riflesso in Europa dove il differenziale tra Bund e BTp, il celeberrimo Spread, ha ripreso a crescere tanto che i nostri titoli di stato, nell’ultima asta di giovedì scorso, hanno offerto un rendimento del 4,8 per cento. Ad influire sul sentiment degli investitori del Vecchio Continente è intervenuta anche la Federal Reserve.

Di nuovo in salita la fiducia dei consumatori

La settimana di contrattazioni, infatti, si è aperta con la presa di coscienza che la Fed abbandonerà presto il programma di stimoli all’economia a stelle e strisce. A piazza Affari, nello specifico, perdono terreno soprattutto i titoli energetici, ma sembra ormai evidente che il titolo maggiormente sotto stress sia stato quello Mediaset, per via delle evoluzioni del processo Ruby.