Gli Italiani fanno la spesa nei discount

 Il 70% degli italiani fa ormai regolarmente la spesa nei discount, dove spera di risparmiare almeno qualcosa sul totale dello scontrino, a cominciare dalle spese per l’alimentare.

Ma quello del cibo non è poi l’unico settore investito dai tagli “compensativi e necessari” che le famiglie italiane sono costrette ad operare in una situazione di ancora piena crisi, per ridurre l’ammontare mensile delle spese.

> Vendite al dettaglio, bene solo i discount

Anche il settore della salute è colpito da un analogo regime di austerity familiare, dal momento che si tende un po’ ovunque ad azzerare le spese mediche. Alla salute si continua a pensare, sì, ma solo nei casi di estrema necessità.

Il debito della sanità pubblica

Sono questi i dati diffusi oggi dall’Istat e che hanno per così dire fotografato il cambiamento dei consumi degli Italiani negli ultimi cinque anni.

Più di sei famiglie italiane su 10, dunque, si rivolgono oggi ai negozi low cost per le loro necessità quotidiane, e più di 7 famiglie su 10 a partire dal 2007 hanno modificato la qualità e la quantità dei prodotti acquistati.

Nel ramo salute, invece, si cerca di spendere solo per i medicinali, eliminando il superfluo rappresentato da analisi mediche e indagini cliniche procrastinabili.

Tutti questi dati sono stati confermati anche dal Presidente dell’Istat Giovannini, che ha però segnalato anche un generale rialzo della fiducia dei consumatori (da 85,3 a 86,3% rispetto al mese precedente).

Il calo dei consumi colpisce anche la Pasqua

 La stima sui consumi per la spesa pasquale arriva da Fiesa, l’associazione di categoria Confesercenti che riunisce gli esercenti specialisti di alimentazione, e ci lascia con un quadro che riflette pienamente la situazione difficile che continua a perdurare in Italia.

► Consumi ancora in calo: iniziano a soffrire anche i discount

Infatti, secondo la Fiesa, i consumi per le spesa di Pasqua sono in linea con il calo generalizzato dei consumi in Italia e le stime parlano di un -10% per la spesa, con un pico negativo per le colombe, che potrebbero far segnare un -7%.

Sono delle proiezioni che mettono in allarme gli operatori commerciali del settore, che, dato il calo degli ordinativi ricevuti fino ad ora, hanno ora la certezza che la Pasqua del 2013 sarà molto più magra di quella dell’anno scorso. Le cause principali, secondo Fiesa, sono da un lato il clima poco clemente che ha portato alle stelle i prezzi di alcuni dei prodotti tipici della Pasqua, costringendo le famiglie a rinunciare all’acquisto o a dirottarlo su prodotti non italiani, dall’altro ha contribuito in modo sostanziale la crisi economica, occupazionale e politica che hanno compresso il reddito globale delle famiglie.

► La crisi cambia le abitudini alimentari degli italiani

I dati di Fiesa parlano di un calo generalizzato dell’acquisto di dolci, con una diminuzione tra il 5% e il 7% per le colombe e dell’8% per le uova. Ma anche gli altri prodotti tipici subiranno una contrazione simile: 10% per gli agnelli, 5% per i salumi, 3% per il pesce e 8% per crostacei e frutti di mare.

Consumi ancora in calo: iniziano a soffrire anche i discount

 Il primo mese del 2013 non ha portato nessun miglioramento per gli italiani: i consumi hanno continuato a scendere, facendo segnare un – 0,5 % rispetto al mese precedente e un – 3 % su base annua, ovvero rispetto al gennaio dello scorso anno.
► La crisi cambia le abitudini alimentari degli italiani

Inoltre, l’analisi dell’Istat mostra anche un altro dato che fa riflettere: per la prima volta sono in netto calo anche i consumi alimentari (- 0,6 % su base mensile e – 2,3% su base annua), che sono andati peggio di quelli non alimentari (- 0,4 %  e – 3,3 % su base annua), e sta cedendo anche l’ultima barricata di resistenza alla crisi: i discount alimentari, che perdono lo 0,2%.

Il calo delle vendite dei prodotti alimentari interessa tutte le diverse forme di distribuzione: per la grande distribuzione il calo è stato del 2,3%, mentre per le imprese operanti su piccole superfici la perdita si attesta al 3,5%.

I nuovi dati dell’Istat sono stati adeguati agli indici di riferimento delle vendite al dettaglio aggiornate al 2010 e tengono anche conto dell’andamento dell’inflazione: le percentuali comunicate dell’Istat, in questo modo, fotografano in maniera molto precisa la drammaticità delle situazione economica degli italiani che, davvero, non possono più permettersi di acquistare cibo.

► Calano consumi e occupazione nel settore alimentare

Infatti, se il crollo delle vendite dei supermercati tradizionali poteva essere anche imputato ad una scelta al risparmio degli italiani, il fatto che le vendite stiano calando anche per i discount mostra che la crisi dei prodotti alimentari è ormai strutturale.

Rapporto Confcommercio sulla povertà in Italia

 Non solo in Italia nel 2013 ci saranno 4 milioni di nuovi poveri, ma la crescita del Pil si attesterà al -1,7% e i consumi scenderanno ancora del 2,4%. Un quadro allarmante, che mostra come l’Italia non sia ancora riuscita ad uscire dalla crisi e come, anche per quest’anno, le condizioni delle famiglie italiane siano destinate a peggiorare.

► Oltre la metà delle famiglie italiane è in crisi

Continua a crescere la povertà

La condizione economica delle famiglie italiane continua a peggiorare. Il rapporto di Confcommercio evidenzia che nel corso di quest’anno la quota delle persone che possono essere definite ‘assolutamente povere’ salirà a 4 milioni, pari ad oltre il 6% della popolazione. In cinque anni in Italia sono stati prodotti ben 615 nuovi poveri al giorno, un dato che, secondo l’analisi di Confcommercio, è destinato a salire.

I dati sui nuovi poveri in Italia è stato ottenuto con l’utilizzo del MiC (Misery index Confcommercio) un indicatore macroeconomico aggregato per la misurazione del disagio sociale.

Taglio del Pil e dei consumi

Nel 2013, secondo i dati analizzati dalla Confcommercio, i consumi delle famiglie scenderanno ancora del 2,4%, con una leggera ripresa nel 2014 (+0,3%). Una stima al ribasso rispetto a quanto l’Associazione dei Commercianti aveva dichiarato (-0,9%).

Il calcolo complessivo della contrazione dei consumi dall’inizio della crisi nel 2007 ad oggi mostra che gli italiani hanno perso circa 1700 euro a testa del budget disponibile per le spese personali.

Anche per il Pil le stime della Confcommercio non dicono nulla di buono: per il 2013 si prevede un calo dell’1,7%, in ribasso rispetto al –0,8% indicato cinque mesi fa. Poco meglio le previsioni per il 2014, anno per il quale la Confcommercio indica un rialzo dell’1%.

► Giovani europei a rischio povertà, soprattutto gli italiani

Lavoro e produttività

Il rapporto di Confcommercioha messo in evidenza un’anomalia tutta italiana: i lavoratori del nostro paese, pur lavorando più dei loro colleghi tedeschi e francesi, producono di meno.

Lavoratori dipendenti e autonomi hanno lavorato circa 1.774 ore ciascuno (20% in più dei francesi e il 26% in più dei tedeschi) ma producono di meno: la ricchezza prodotta da un lavoratore italiano per ogni ora lavorativa è di circa 36 euro, mentre  i tedeschi producono il 25% in più e i francesi quasi il 40% in più.

Inoltre, mentre in altri paesi la produttività ha avuto un andamento positivo, aumentando progressivamente ogni anno -fino al 20% in più in Germania e all’11% in più in Francia, ma lo stesso fenomeno si è verificato anche in altri paesi- in Italia la crescita della produttività si è fermata al +4%.

Secondo il Codacons, che ha commentato i dati presentati dalla Confcommercio, non solo i poveri italiani arriveranno a 4 milioni, ma esiste una larga fetta della popolazione, non considerata in questa stima, per la quale il reddito mensile non basta più e che è stata costretta a ridurre i consumi, e aggiunge:

Difficilmente si potrà tornare ai livelli del Pil precrisi prima del 2019 se non si interverrà finalmente per aumentare la capacità di spesa delle famiglie italiane e del ceto medio. Il prossimo Governo, sempre che ci sia, dovrebbe come primo provvedimento rinviare l’aumento dell’Iva di luglio che colpirebbe proporzionalmente ricchi e poveri, strangolando definitivamente quelle famiglie che non riescono più a risparmiare.


La crisi cambia le abitudini alimentari degli italiani

Anche la recessione può contribuire a modificare le abitudini alimentari di una intera popolazione. Lo rileva una ricerca di Federalimentare che descrive come cinque anni di crisi, dal 2008 al 2013, abbiano cambiato le scelte dei consumatori in fatto di alimenti.

Negli ultimi cinque anni, infatti, i consumi alimentari degli italiani si sono ridotti in generale del 10%, con una spesa complessiva che è calata di circa 20 miliardi di euro. A subire delle modifiche, poi, è stato proprio l’intero paniere dei beni di consumo.

Calano consumi e occupazione nel settore alimentare

La recessione ha portato gli italiani a consumare meno carne, che in genere incide  parecchio sul costo complessivo della spesa, ma anche meno latticini, pesce, salumi, olio, frutta fresca e biscotti, prodotti di cui si è riusciti a fare a meno nell’ottica di una riduzione dei consumi. Non hanno invece subito un analogo calo pasta, il cui consumo è invece aumentato, trattandosi di un alimento nutriente ed economico, ma anche cioccolato e gelato, piccoli peccati di gola utili forse per tenere alto il morale anche in tempi di crisi.

In Italia chiudono 167 negozi al giorno

Le nuove abitudini alimentari degli italiani hanno avuto anche delle conseguenze sulla produzione dei rifiuti. Gli scarti alimentari sono infatti passati da un 25-30% degli anni passati ad un odierno 7%, segno che la spesa degli alimenti freschi viene ormai centellinata.

Il crollo dei consumi elettrici mette in ginocchio le imprese

 E’ da circa un anno e mezzo che le aziende elettriche italiane vedono scendere continuamente la richiesta di energia elettrica. Solo nel mese di febbraio 2013 si è registrato un calo del 5,1% del consumo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, senza contare che non sono state prese in considerazioni variabili come calendario e temperatura, che avrebbero portato la percentuale a salire di altri tre punti.
► Consumi italiani ai livelli del 2004

A fare maggiore paura non è tanto il dato di questo febbraio, ma il fatto che sembra trattarsi di una tendenza continua che sta mettendo in pericolo la sopravvivenza stessa delle aziende elettriche italiane. Secondo Assoelettrica, l’associazione che rappresenta i produttori, infatti, il comparto versa in gravissime condizioni, che sono lo specchio dei profondi problemi dell’economia del paese.

A soffrire di più di questa tendenza di decrescita del consumo sono le società con grandi gruppi termoelettrici alimentati a gas, che hanno registrato un calo pari al 23,9%, mentre si registra un netto miglioramento per le altre fonti di energia: idroelettrico +43%, eolico + 19,1% e fotovoltaico +11,2%

Tendenzialmente, quindi, i dati mettono in evidenza un calo della domanda di energia pari al 2,8% rispetto al 2011, percentuale che raddoppia, però, se si guarda ai dati relativi ai primi due mesi del 2013. Per questo i produttori lanciano un accorato appello al Governo:

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I produttori termoelettrici, chiamati comunque a mettere a disposizione la potenza dei loro impianti, in particolare per bilanciare le fonti rinnovabili non programmabili, rischiano infatti di non essere più in grado di coprire i costi variabili, dopo che per più di un anno hanno visto azzerarsi i margini operativi.

Consumi italiani ai livelli del 2004

 La Confcommercio ha diffuso oggi i dati relativi ai consumi degli italiani registrati nel mese di gennaio 2013 e la prima impressione non è affatto positiva. Stando all’analisi delle cifre, infatti, i consumi italiani sembrerebbero ritornati ai livelli del 2004, facendo registrare una flessione del 2,4% sulla tendenza del periodo e una dello 0,9% rispetto al mese di dicembre 2012.

I saldi non rianimano i consumi

L’Italia vive dunque l’ennesimo periodo di recessione e le speranze per il futuro non sono incoraggianti. Gli addetti ai lavori prevedono infatti un ulteriore peggioramento della situazione, che farà dell’intero 2013 un anno particolarmente difficile sotto il profilo economico.

Bilancio negativo per i saldi invernali

La tendenza negativa dei consumi viene oltretutto confermata anche dai dati relativi al mercato del lavoro. Calo degli ordinativi e calo della produzione non può che favorire l’aumento della disoccupazione. Solo a gennaio 2013 sono stati persi altri 97mila posti di lavoro e altri 110mila unità si sono aggiunte al numero dei disoccupati.

In generale, dunque, il tasso di disoccupazione nel nostro Paese ha raggiunto l’11,7%, con un milione di disoccupati in più nel solo 2012. Sul fronte CIG, di conseguenza, i dati registrano a gennaio un aumento delle richieste del 61% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Cresce in maniera importante anche il numero di ore richieste per gli interventi straordinari.

L’Istat mostra l’aumento della fiducia dei consumatori

I dati dell’Istat mostrano una crescita a Febbraio della fiducia dei consumatori. Il clima di fiducia dei consumatori arriva a 86 dal precedente 84,7. Nel confronto con Gennaio cresce soprattutto il clima personale, che passa da 89,3 a 91, mentre il clima economico generale cresce meno e passa da 72,7 a 72,9.

I saldi non rianimano i consumi

Gli elementi negativi riguardano i giudizi sulla situazione economica italiana, con un peggioramento che arriva a -142 rispetto al -136. In diminuzione le aspettative sulla disoccupazione, mentre migliorano le attese sulla situazione economica della famiglia e sul bilancio della famiglia.

L’Istat mostra come peggiorano le opinioni sull’acquisto di beni durevoli dal -106 al -111 e migliorano quelle sui prezzi al consumo da 60 a 51.

Il clima di fiducia è aumentato nel nord-ovest, nel nord-est e nel sud, mentre è diminuito al centro.

Le persone quindi non credono che i prezzi possano avere dei forti rialzi e sulla situazione economica generale sembra esserci più fiducia ma con un aumento comunque basso.

A livello geografico, quindi, è solo al centro che il clima di fiducia non è in crescita. Nel nord-ovest l’indice del clima di fiducia migliora da 84,9 a 87,3. Nel nord-est lo stesso indice aumenta da 85,2 a 87,6. Al centro l’indice diminuisce da 84,0 a 83,1. Al sud l’indice del clima di fiducia dei consumatori aumenta da 84,2 a 85,7.

Crisi e desertificazione urbana, il rapporto di Confercenti

 In dieci anni sono sparite dalle città italiane quasi il 25% delle piccole botteghe di quartiere, distrutte dall’arrivo dei centri commerciali che hanno la possibilità di fare prezzi altamente competitivi e particolari scontistiche precluse a chi gestisce un negozio di piccole dimensioni.

► I saldi non rianimano i consumi

La Confesercenti, che ha analizzato i dati del Censis, parla di desertificazione urbana, ovvero la scomparsa dei servizi di vicinato, che nell’ultimo decennio ha avuto delle proporzioni inaudite. Si tratta della perdita di circa un quarto di queste piccole realtà: il numero medio di esercizi al dettaglio ogni mille abitanti è passato da quota 2,1 a quota 1,6, crollando del 24,3 per cento.

La responsabilità del fenomeno non è, però, da attribuirsi in via del tutto esclusiva alla comparsa delle grandi catene e dei centri commerciali, ma, soprattutto negli ultimi cinque anni, alla crisi economica: laddove un tempo più del prezzo contava la qualità del servizio, ora a dettare la scelta è solo il prezzo.

► L’allarme di Confesercenti sui consumi

Un problema non solo economico ma sociale, soprattutto se rapportato all’aumento dell’età media degli italiani: sono sempre di più gli ultra sessantacinquenni per i quali avere un negozio sotto casa può davvero fare la differenza. Il numero più basso di negozi al dettaglio è stato rilevato a  Bolzano e Milano, con rispettivamente 0,7 e 0,8 negozi ogni mille abitanti.

I saldi non rianimano i consumi

 I consumi degli italiani continuano a soffrire. Neanche i recenti saldi sono riusciti a dare respiro ad una economia stagnate e, anche se i politici si ostinano a dire che non è così, ancora in piena recessione. Ma i numeri parlano chiaro.

Il barometro mensile di Nielsen elaborato per Confimprese Lab pubblicato poche ore ha chiarito come anche nel mese di gennaio i consumi degli italiani siano continuati a scendere. Rispetto allo stesso mese del 2012 la contrazione è del 6,4 per cento. A soffrire di più il settore del no food, mentre l’alimentare, soprattutto per i freschissimi, tiene bene.

► L’allarme di Confesercenti sui consumi

Rispetto allo scorso anno i consumi per l’abbigliamento sono scesi del 10,8 per cento, i casalinghi del 10,4 e gli elettrodomestici del 10 per cento. Il calo si è verificato sia per le quantità acquistate (-2,4 per cento) che per i fatturati (-1,8 per cento).

Come anticipato, il settore del food dimostra ancora di essere in controtendenza: il freschissimo ha fatto registrare una crescita del 2,2 per cento, anche se a questa percentuale può aver contribuito il fatto che per il mese in questione si è avuto un giorno in più. Analizzando però i dati che riguardano i volumi di vendita si registra un calo del 3,7 per cento per gli ipermercati e del 7,4 per cento per i punti vendita con piccole superfici (-6,9 per cento nel libero servizio e -4,1 per cento nei piccoli negozi).

► Consumi giù di 45 miliardi in due anni

Ha commentato i dati Mario Resca, presidente Confimprese secondo il quale gli italiani spendono principalmente per i beni di prima necessità, mentre frenano i consumi nei restanti settori a causa di una capacità di spesa limitata e di un basso indice di fiducia nel futuro che porta a salvare risparmio piuttosto che a spendere.