Al giorno d’oggi ogni aspetto materiale della vita di un individuo è diventato potenzialmente assicurabile. Il mercato delle assicurazioni, infatti, si presenta agli occhi dei consumatori sempre più vario, pronto ad offrire il prodotto assicurativo più adatto per la protezione delle esigenze e dei bisogni anche più particolari.
Corte di Cassazione
La prostituzione va tassata
Dedicarsi alla prostituzione, come “lavoratori e lavoratrici” e non come consumatori occasionali o abituali, può essere molto redditizio. Fino a questo momento, però, le leggi in vigore nel nostro paese hanno puntato più che altro alla definizione dei reati invece che prevedere una forma di tassazione per l’attività in questione.
Qualcosa è cambiato il 24 luglio con l’ordinanza numero 18030 che ha deciso di qualificare la prostituzione come un’attività in grado di generare reddito e quindi come un’attività da sottoporre al sistema di tassazione in vigore nel paese. La sentenza citata della Cassazione prende le mosse da un’altra sentenza, emanata dalla Commissione tributaria della Regione Liguria. Ecco i termini della questione.
►L’IVA deve essere saldata prima di Natale
Tutto è iniziato quando l’Agenzia delle Entrate ha notato dei conti correnti molto consistenti, attribuiti ad una donna rumena. La donna sembrava vivere al di sopra delle proprie possibilità, ma aveva un cospicuo conto in banca che non faceva il paio con le dichiarazioni rese al fisco.
►Riconoscere l’elusione dai prezzi dell’outsourcing
Alla la Commissione tributaria ligure ha spiegato che l’attività della donna, occasionale o illegale, doveva comunque essere tassata. In questo momento, dunque, ci si muove sul filo del rasoio perché da un lato c’è la prostituzione come reato e dall’altro la prostituzione considerata prestazione di servizi retribuita.
Anche i manager possono essere licenziati
Il licenziamento per giusta causa è una sanzione disciplinare che può essere utilizzata anche nei confronti di chi, all’interno dell’azienda, ricopre posizioni manageriali. Secondo la Corte di Cassazione, che si è espressa sull’argomento in due casi, i manager sono soggetti alle stesse regole degli altri dipendenti e, quindi, sono passibili di licenziamento.
La sentenza della Suprema Corte n. 20856/2012, prevede che i manager possono essere licenziati in caso di riorganizzazione aziendale anche se l’azienda non è in crisi.
► Cos’è il licenziamento per giusta causa?
I presupposti di legittimità del licenziamento, nel caso di specie, sono, appunto, una diversa gestione dell’organico aziendale che sopprime la posizione apicale affidando ad altri le mansioni svolte. Se il licenziamento non è discriminatorio, ma solo frutto della riorganizzazione, è legittimo.
Un manager può essere licenziato anche se si rifiuta un trasferimento. Il caso che ha portato la Corte di Cassazione alla sentenza 4797/2012 è stato quello di un manager di banca che ha rifiutato il trasferimento perché, secondo lui, era un atto ritorsivo.
La Corte di Cassazione, invece, ritenendo il trasferimento la conseguenza della riorganizzazione aziendale, ha dato ragione all’Istituto bancario. A nulla sono valse poi le motivazioni adducibili al ruolo svolto dal manager all’interno della banca, in quanto la disciplina limitativa del potere di licenziamento non si applica ai dirigenti convenzionali.
I motivi del licenziamento per giusta causa
Infedeltà all’azienda e scarso rendimento
Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati
Irreperibilità e cumulo di impieghi
Outsourcing e ridimensionamento
Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro
Eccessi nella condotta professionale e privata
I motivi del licenziamento per giusta causa: eccessi nella condotta privata e professionale
Licenziamento per giusta causa: condotta privata
Il modo di agire della nostra vita privata può ripercuotersi negativamente anche nella vita professionale. Anche se le due sfere rimangono distinte e separate, ci sono casi in cui le due sfere vengono in contatto tra di loro. È il caso di un dipendente di banca licenziato dopo che è stato trovato, durante un controllo delle forze dell’ordine, in possesso di hashish.
La Corte di Cassazione, ribaltando il giudizio espresso in secondo grado, ha ritenuto, con la sentenza n. 6498/2012, che anche il possesso e il consumo per uso personale di droghe leggere è un motivo di licenziamento per giusta causa.
Licenziamento per giusta causa: comportamenti verbalmente e fisicamente violente nei confronti dei colleghi
Le incomprensioni sul posto di lavoro esistono, ma in caso di discussione, per quanto accesa, è meglio evitare di usare parole pesanti o di passare alle mani.
Un insulto offensivo rivolto ad un collega, secondo la sentenza n. 4067/2008 della Cassazione, è un atto di offesa anche nei confronti del datore di lavoro che ha l’obbligo di vigilare e tutelare la personale integrità di tutti i suoi dipendenti e, quindi, può decidere di licenziare il lavoratore che la mette a repentaglio.
Se non ci sono insulti, ma il litigio sfocia in una aggressione fisica, anche se non atta alla lesione personale, secondo la sentenza n. 7383/2010 della Corte di Cassazione, esistono tutti i presupposti per il licenziamento per giusta causa del lavoratore violento.
I motivi del licenziamento per giusta causa
Infedeltà all’azienda e scarso rendimento
Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati
Irreperibilità e cumulo di impieghi
Outsourcing e ridimensionamento
Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro
Eccessi nella condotta professionale e privata
I motivi del licenziamento per giusta causa: uso improprio del telefono privato e aziendale
Licenziamento per giusta causa: uso del telefono privato durante le ore di lavoro
Quando si è nel posto di lavoro quello che si deve fare è lavorare. Le distrazioni, di qualunque natura, non sono ammesse, tanto meno se la causa di questa mancanza di attenzione è il telefono.
E, a maggior ragione, l’uso del telefono privato durante le ore di lavoro diviene più grave se il posto di lavoro è un presidio ospedaliero. Lo sentenzia la Corte di Cassazione (sentenza 5371/2012) che ha avallato il licenziamento di un addetto alla sorveglianza in un ospedale perché sorpreso al telefono.
Le ragioni della conversazione erano private, non professionali, e il fatto che il compito del vigilante è quello di prestare attenzione a ciò che succede, il fatto di stare al telefono indica che il lavoratore non stava svolgendo il suo lavoro come previsto e rende l’azienda legittimata al licenziamento per giusta causa.
Licenziamento per giusta causa: uso del telefono aziendale per motivi personali
Tutti gli strumenti che sono messi a disposizione del datore di lavoro devono essere utilizzati esclusivamente a fini lavorativi.
Lo dice la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5371/2012 con la quale ha legittimato il licenziamento di un dipendente vigilante di un ospedale che, durante lo svolgimento del lavoro, ha usato il telefono aziendale per telefonate private.
Nonostante le proteste del dipendente che si è appellato alla Corte forte del fatto che il datore di lavoro aveva scoperto la sua condotta controllando i tabulati telefonici (fattispecie del controllo a distanza). Ma la Suprema Corte ha reso effettivo il licenziamento in quanto non vige, nello Statuto dei Lavoratori, il divieto per il datore di prendere visione delle risultanze di registrazioni operate fuori dall’azienda o da tabulati telefonici per provare un illecito di un lavoratore.
I motivi del licenziamento per giusta causa
Infedeltà all’azienda e scarso rendimento
Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati
Irreperibilità e cumulo di impieghi
Outsourcing e ridimensionamento
Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro
Eccessi nella condotta professionale e privata
Altri motivi di licenziamento per giusta causa
Licenziamento per giusta causa: richiesta di rimborsi per trasferte non effettuate
I rimborsi si possono richiedere solo in caso di trasferte, o di spese, effettuate realmente e comprovabili.
Lo afferma la sentenza n. 7096/ 2012 della Corte di Cassazione che ha legittimato il licenziamento di un dipendente perché ha fatto richiesta al datore di lavoro di essere rimborsato per trasferte non effettuate. Un comportamento del genere mina la fiducia tra le due parti in quanto viene messa in discussione dal dipendente la correttezza dell’azienda nell’adempimento dei suoi obblighi.
Licenziamento per giusta causa: dipendente che timbra cartellini altrui
Non ci sarebbe stato neanche bisogno di una sentenza per rendere legittimo il licenziamento di un dipendente che timbra il cartellino di un collega. Accettare di fare la ‘cortesia’ al collega, secondo la sentenza 24796/2010 della Corte di Cassazione, vuol dire minare alla base il necessario rapporto di fiducia tra le parti.
Licenziamento per giusta causa: prolungamento delle assenze per inadempienze dell’azienda
Anche se il datore di lavoro non è in regola con i pagamenti dello stipendio, l’assenza prolungata del dipendente non può essere giustificata ed è passibile di licenziamento per giusta causa.
Il discrimine, in questo caso, è il confronto tra le due inadempienze. Nel caso specifico, che ha portato la corte di Cassazione alla sentenza n. 14905/2012, una donna si è rifiutata di tornare al suo posto di lavoro dopo la fine del periodo di maternità appellandosi al fatto che l’azienda non aveva ancora corrisposto l’ultima mensilità spettante.
La donna è rimasta assente dal lavoro per 40 giorni. Un periodo troppo lungo, secondo la Cassazione, per poter essere giustificato con una sola mensilità non pagata.
I motivi del licenziamento per giusta causa
Infedeltà all’azienda e scarso rendimento
Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati
Irreperibilità e cumulo di impieghi
Outsourcing e ridimensionamento
Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro
Eccessi nella condotta professionale e privata
I motivi del licenziamento per giusta causa: uso privato degli strumenti aziendali
Licenziamento per giusta causa: uso della carta di credito aziendale per acquisti personali
Usare la carta di credito messa a disposizione del lavoratore per eventuali spese legate allo svolgimento del suo compito non è un reato, ma, dal momento che la carta di credito è uno strumento ‘delicato’, il fatto che il datore di lavoro la affidi ad un dipendente è un indicazione della fiducia che questi ripone in lui.
Quindi, usarla per un acquisto personale, vuol dire venire meno a quel tacito patto di fiducia che si è stretto con il datore di lavoro quando si ha accettato di utilizzarla. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 6965/2010.
► Cos’è il licenziamento per giusta causa?
Licenziamento per giusta causa: cessione a terzi del computer aziendale
Gli strumenti che vengono messi a disposizione dal datore di lavoro per lo svolgimento della propria mansione, devono restare in mano del dipendente. Così ha decretato la Corte di Cassazione con l’ordinanza 2056/2011, nella quale ha ratificato il licenziamento per giusta causa di un dipendente licenziato perché ha ceduto il pc aziendale ad una terza persona.
La cessione del computer a terze persone estranee all’azienda, infatti, mette in mano di soggetti non autorizzati le informazioni riservate dell’azienda stessa, mettendone a rischio la sicurezza informatica.
I motivi del licenziamento per giusta causa
Infedeltà all’azienda e scarso rendimento
Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati
Irreperibilità e cumulo di impieghi
Outsourcing e ridimensionamento
Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro
Uso privato degli strumenti aziendali
Eccessi nella condotta professionale e privata
I motivi del licenziamento per giusta causa: comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro
Licenziamento per giusta causa: false denunce verso il datore di lavoro
Partendo dal presupposto che i lavoratori possono denunciare il loro datore di lavoro nel caso questi si renda responsabile di gravi inadempienze, la denuncia deve essere fatta solo se il lavoratore è in possesso di prove veritiere dell’accaduto.
Altrimenti, come accaduto ad un dipendente dell’inceneritore di Piacenza, potreste essere licenziati.
La Corte di Cassazione con la sentenza 7499/2013 ha infatti stabilito che le false denunce dei lavoratori – nel caso di specie avanzate in risposta a contestazioni per inadempienze fatte dal datore di lavoro – causa una lesione dell’immagine dell’azienda stessa e, quindi, apporta un danno agli interessi del datore di lavoro.
► Cos’è il licenziamento per giusta causa?
Licenziamento per giusta causa: insulti al capo
Il vostro capo ha avuto, secondo voi, un comportamento scorretto nei vostri confronti? Evitate di dire quello che pensate in una mail, soprattutto se sono presenti degli insulti.
O almeno evitate di esagerare: la sentenza della Suprema Corte n. 14995/12 ha dato ragione ad una azienda che aveva licenziato un dipendente a seguito di una mail inviata da questi al suo contenente espressioni, si legge nella sentenza, riconoscibili come diffamanti, quindi ben più gravi di quelle che potrebbero essere utilizzate anche in una situazione di stress o di disagio da parte del lavoratore.
I motivi del licenziamento per giusta causa
Infedeltà all’azienda e scarso rendimento
Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati
Irreperibilità e cumulo di impieghi
Outsourcing e ridimensionamento
I motivi del licenziamento per giusta causa: outsourcing e ridimensionamento
Licenziamento per giusta causa: outsourcing
Nel caso in cui un’azienda chiuda un’attività produttiva o decida di affidare a terzi il lavoro svolto da uno dei dipendenti, il lavoratore eccedente può essere licenziato, se all’interno dell’azienda non esistono altre posizioni adatte e/o vacanti.
Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6346/2013, in quanto, in un caso del genere, il licenziamento è legittimato da ragioni di organizzazione del lavoro. Il lavoratore, dal canto suo, può, per mantenere il suo posto, proporre al datore stesso le posizioni alternativa nelle quali essere ricollocato.
► Cos’è il licenziamento per giusta causa?
Licenziamento per giusta causa: scarso rendimento in seguito al demansionamento
Se l’azienda per la quale lavorate decide di spostarvi in un’altra posizione che prevede lo svolgimento di compiti considerabili di livello inferiore rispetto alle vostre qualifiche o compiti diversi da quelli stabiliti nel contratto, evitate di fare gli ‘schizzinosi’.
Infatti, come stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 2033/2013, se il datore di lavoro assolve a tutti gli altri obblighi contrattuali (pagamento dello stipendio e delle coperture assicurative e previdenziali) e voi, invece, vi opponete al trasferimento, potreste essere giustamente licenziati.
I motivi del licenziamento per giusta causa
Infedeltà all’azienda e scarso rendimento
Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati
Irreperibilità e cumulo di impieghi
Outsourcing e ridimensionamento
Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro
Uso privato degli strumenti aziendali
Eccessi nella condotta professionale e privata
I motivi del licenziamento per giusta causa: rifiuto del trasferimento
Licenziamento per giusta causa: rifiuto del trasferimento per chiusura di unità produttiva
Se all’interno dell’azienda per la quale state lavorando, l’unità produttiva di vostra competenza viene chiusa e il datore di lavoro ritiene opportunità trasferirvi in un’altra unità, è meglio che accettiate di buon grado il nuovo ruolo.
Altrimenti, come stabilito dalla sentenza n. 8843/2013 della Corte di Cassazione, il vostro capo può licenziarvi per giusta causa. La vicenda che ha dato vita a questa sentenza è piuttosto controversa, ma dal momento che le sentenze possono sempre rappresentare un precedente, se vi trovate in questa situazione fate attenzione alle vostre scelte.
► Cos’è il licenziamento per giusta causa?
Licenziamento per giusta causa: rifiuto del trasferimento ad altra sede
Nel caso in cui la sede in cui siete soliti andare a lavorare venga trasferita, non potete opporvi alla decisione presa, pena la possibilità di essere licenziati, come avvenuto ad una donna che per sette mesi non si è recata sul posto di lavoro, dopo che l’azienda per la quale lavorava era stata trasferita da
Vicenza a Treviso.
La donna è stata licenziata e, seppure il caso sia finito in tribunale, la dipendente non ha riavuto indietro il posto di lavoro. La sentenza n. 7045/2010 della Corte di Cassazione ha ritenuto il comportamento della donna come una insubordinazione, passibile della massima sanzione disciplinare, confermando il licenziamento.
I motivi del licenziamento per giusta causa
Infedeltà all’azienda e scarso rendimento
Mancata comunicazione delle assenze e falsi certificati
Irreperibilità e cumulo di impieghi
Outsourcing e ridimensionamento
Comportamenti scorretti nei confronti del datore di lavoro
Uso privato degli strumenti aziendali
Eccessi nella condotta professionale e privata