La Cassazione sulla simulazione del credito IVA

 La Corte di Cassazione è stata costretta ad intervenire su un caso di simulazione del credito IVA di una società. La sua decisione è stata perentoria: è un reato di pericolo e non di danno la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte tramite una simulazione di credito IVA prima dell’inizio della riscossione.

La sentenza che legifera in proposito è la numero 45730 del 22 novembre. Riepiloghiamo il fatto.

I rappresentanti legali di alcune società di capitali erano stati indagati per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Il Gip aveva quindi disposto il sequestro preventivo dei beni delle società degli indagati. Il tribunale del riesame ha confermato la sentenza.

La conferma è arrivata dopo aver considerato che la truffa ai danni dell’Erario era stata molto articolata ed erano stati simulati dei contratti di compravendita tra società collegate. Il bene scambiato era un complesso immobiliare, ma in realtà non è stato documentato alcun passaggio di denaro tale da giustificare il credito IVA.

In questo caso specifico era stata simulata anche la riorganizzazione aziendale delle varie aziende per rendere più gestibile la falsa operazione finanziaria ed evitare azioni esecutive dei giudici. Per questo gli indagati, pur colpevoli, hanno fatto ricorso.

La Cassazione lo ha respinto ribadendo la natura fraudolenta dell’operazione.

 

Valida la notifica se c’è una firma

 L’Agenzia delle Entrate, generalmente, manda degli avvisi di accertamento alle aziende tramite il servizio postale. Se questo avviso viene ritirato da una persona che è nella sede dell’azienda ed appone la sua firma anche illeggibile sul registro postale, l’avviso si deve riterene valido.

Per capire meglio questa sentenza della Cassazione partiamo dal fatto che ha originato il pronunciamento.

Il fatto. Una società aveva ricevuto una cartella di pagamento emanata dopo un accertamento diventato definitivo per omessa impugnazione. A questo punto la società aveva presentato il suo ricorso alla Ctr Puglia che ha rigettatto la richiesta definendo legittima la cartella di pagamento.

L’azienda ha fatto ricorso spiegando di non aver ricevuto alcuna notifica, ma il giudice ha accertato che la notifica era arrivata tramite il controllo della firma leggibile di una persona che ha ricevuto la posta. Si presuppone infatti che una persona che ritiri una raccomandata per l’azienda e firmi per la ricezione, sia deputata al ritiro della corrispondenza.

Da questo fatto è arrivata l’ordinanza n. 17939 del 19 ottobre 2012 della Cassazione che è tornata a parlare come ha fatto in passato, di notifiche degli atti d’accertamento. I principi addotti sono stati due: chi consegna la posta raccomandata pensa che chi firma la ricevuta sia deputato dall’azienda alla ricezione degli atti; anche se la firma è illegibile, il fatto che sia apposta sul registro dell’avviso di ricevimento suggerisce al giudice che la corrispondenza sia stata recapitata correttamente.

Cassazione: sì a paga extra per turni lunghi

 Il caso che ha portato alla sentenza  n. 18284 dello scorso 25 ottobre della Cassazione è quello di un dipendente di un istituto bancario, addetto alla vigilanza, il quale ha richiesto di avere una retribuzione maggiore per le giornate lavorative effettuate dopo il sesto giorno di lavoro consecutivo.

L’istituto bancario ha concesso un extra per la retribuzione, ma lo ha calcolato come se fosse la retribuzione per il lavoro  domenicale. Il dipendente, non soddisfatto, si è appellato al tribunale, che però non ha concesso un ulteriore compenso. Da qui il ricorso alla Cassazione motivato dalla esiguità del compenso per il settimo giorno lavorativo, motivazione accolta dal Supremo Tribunale: il lavoratore che lavora oltre il sesto giorno consecutivo ha diritto ad un compenso di natura retributiva che tenga conto del sacrificio della privazione del giorno di riposo.

Questo perché, secondo la sentenza della Cassazione n. 2610/2008

il lavoro prestato oltre il settimo giorno non determina solo la limitazione di specifiche esigenze familiari, personali e culturali alle quali il riposo domenicale è finalizzato, ma una “sofferenza” extra: la privazione della pausa destinata al recupero delle energie psico-fisiche.

Quindi, concludono i giudici della Suprema Corte:

In mancanza di una previsione del contratto collettivo nazionale di lavoro sarà compito del giudice determinarne la misura tenendo conto dell’onerosità della prestazione lavorativa e di eventuali forme di compensazione normativamente previste per istituti affini, quale il compenso del lavoro domenicale, ma non quello per lavoro straordinario.

 

Sentenza della Cassazione stabilisce risarcimento per stress da troppo lavoro

 La sentenza è la 18211 della Corte di Cassazione, che nasce da un caso specifico: un portiere di notte è stato licenziato dopo aver chiesto, causa patologie lavoro correlato, uno spostamento in turni diurni. L’azienda, non avendo ulteriori disponibilità di orari, si è vista costretta a licenziare il portiere.

Secondo la Cassazione, che non contesta il licenziamento, l’azienda è però tenuta a risarcire al lavoratore 70mila euro, di cui 25mila per danno biologico.

La sentenza si basa sulla differenza che esiste tra il lavoro discontinuo e il lavoro effettivo. Nello specifico, il portiere di notte non può essere considerato lavoro discontinuo (che, in base alla sentenza è stato definito come un lavoro caratterizzato da attese non lavorate durante le quali il dipendente può reintegrare con pause di riposo le energie psicofisiche consumate), ma bensì un lavoro effettivo, intervallato, semmai, da momenti di minore attività durante i quali, però, il dipendente non può disporre liberamente del proprio tempo.

Riferendosi poi ad una precedente sentenza (la n. 21695 del 2008) la Cassazione aggiunge:

l’orario di lavoro deve rispettare i limiti imposti dalla tutela del diritto alla salute, si applica anche alle mansioni discontinue o di semplice attesa.

In base a queste valutazioni, l’azienda che ha deciso di licenziare il portiere di notte, pur non essendo obbligata al reintegro, è tenuta a pagare un risarcimento di 47mila euro di straordinari notturni e mancate ferie, più 25mila euro per danno biologico accertato nella misura del 15%.

Normativa sul trasferimento nei paradisi fiscali

Qualche volta, fare ricorso contro una notifica, può essere controproducente e confermare che il motivo della notifica sussiste. Lo spiega bene la normativa sui trasferimenti nei paradisi fiscali, seguita ad una sentenza della Corte di Cassazione.