Cosa ha deciso l’UE per il nostro paese

 Il nostro paese, dopo il governo Berlusconi, era entrato nella procedura di deficit e soltanto la strenua difesa del rigore dei conti pubblici, aveva in qualche modo consentito all’Italia di riscattare la propria immagine sull’altare europeo.

A distanza di un anno e mezzo dall’operato di Monti, si traggono un po’ di conclusioni e sembra che la Commissione Europea, valutato l’impegno tricolore, abbia deciso di sospendere la procedura per deficit eccessivo. Una notizia che senz’altro suona come positiva ma nella pratica, in cosa si traduce? Adesso, cosa può fare il nostro paese? Potrà spendere tutti i soldi che risultano a disposizione?

Italia a rischio multe dall’Unione Europea per le discariche abusive

Insieme a questa decisione, che deve ancora essere ratificata dal Consiglio dell’UE, sono state fornite una serie di raccomandazioni al nostro paese al fine di continuare sulla strada del risanamento economico. In Europa, comunque, ci sono altri paesi che hanno subito una procedura contro il deficit eccessivo, che non è proprio uno strumento punitivo, quanto piuttosto un modo per distogliere i paesi dalle spese eccessive.

Stime Eurostat sul debito pubblico italiano

Su 27 stati membri che formano l’Europa, il Consiglio Europeo ha aperto una procedura di deficit nei confronti di ben 25 paesi. Si sono salvate soltanto l’Estonia e la Svezia. Attualmente, poi le procedure sono ancora aperte per 20 paesi.

Non calo ma crollo della produzione industriale

 L’Italia è sull’orlo di una crisi di nervi, tanto per citare un noto film spagnolo e questa situazione dipende molto da quello che stanno vivendo le aziende, le industrie del nostro paese. Il centro studi di Confindustria, per l’appunto, ha realizzato un report ad hoc che fa presagire il peggio per lo Stivale.

L’industria italiana in cattive acque

Il centro studi di Viale dell’Astronomia ha spiegato che la produzione industriale, soltanto a maggio, rispetto ad aprile, è diminuita dello 0,1 per cento, mentre a livello previsionale erano stati fatti i conti con un incremento della produzione dello 0,2 per cento sul mese di marzo. A peggiorare visibilmente è stato soprattutto il settore manifatturiero.

Sempre con riferimento al mese di maggio si apprende che il gap della produzione industriale rispetto al periodo precedente alla crisi, quindi rispetto al mese di aprile 2008 è del -24,6 per cento. Non più soltanto una diminuzione ma un vero e proprio crollo della produzione industriale.

Crescente il cambio euro dollaro

Se il paragone è fatto rispetto al mese di maggio del 2012 e se il calcolo è effettuato al netto del numero delle giornate lavorative che possono essere differenti, allora la diminuzione della produzione industriale è pari al -3,2 per cento.

Rispetto agli ordini industriali c’è stata una diminuzione del volume dello 0,4 per cento con riferimento ad aprile 2013.

 

Microimprese finanziate dalla Regione Puglia

 Le imprese, soprattutto adesso che l’economia è in grossa difficoltà, sono alla ricerca di finanziamenti erogati da enti che non siano le “solite” banche. Per questo motivo attrae tanto l’annuncio di un finanziamento riservato dalla Regione Puglia alle microimprese del territorio.

La Puglia ha messo a disposizione delle piccole imprese presenti nella regione, un fondo di 19,5 milioni di euro cui si può accedere fino al 14 giugno del 2013. Il bando rientra nella denominazione “Piccoli sussidi 2013” ed è riservato alle imprese tenute in vita da ragazzi giovani che devono fare i conti con la crisi economica.

Per le imprese record di fallimenti e liquidazioni nel primo trimestre 2013

Le esigenze espresse dal territorio, tra l’altro, sono inequivocabili: le piccole imprese hanno difficoltà ad accedere alle linee di credito tradizionali e anche i prestiti di piccole dimensioni, spesso, sono da considerarsi delle montagne insormontabili.

La regione Puglia, sostenendo queste imprese vuole valorizzare l’iniziativa dei ragazzi disponibili a fare impresa, che abbiano uno scarso impatto ambientale. Saranno premiate soprattutto le imprese costituite da donne oltre che da giovani.

Le proposte delle imprese per il rilancio dell’occupazione giovanile

I beneficiari di questi interventi devono essere titolari di una ditta individuale, di una società in nome collettivo, di una società in accomandita semplice, di una società cooperativa, di una società a responsabilità limitata o di un’associazione tra professionisti. Il prestito minimo è di 500 euro e quello massimo di 25 mila da restitire in 60 rate con 6 mesi di preammortamento.

L’OCSE parla dell’economia in miglioramento

 L’OCSE ha pubblicato il suo rapporto semestrale dedicato all’economia mondiale ed ha ribadito che la ripresa economica è una realtà in molti continenti. Quello che sta succedendo in Europa e quello che sta succedendo in Italia in particolar modo, induce a non dare credito alle previsioni dell’organizzazione internazionale.

Perché si teme la decrescita cinese

Invece, leggendo bene il rapporto OCSE si trova una spiegazione per la determinazione dei risultati dell’indagine: la crescita economica è ricominciata ma prosegue con velocità diverse nelle diverse parti del mondo. Il capoeconomista dell’OCSe dice:

“La crescita globale è ancora deludente, ma i miglioramenti sono evidenti”.

Certo è che finora migliorano soltanto le economie legate a quella americana, dunque danno segnali visibili di crescita soltanto gli Stati Uniti. In Giappone e poi in Europa i progressi da fare sono ancora tanti, forse troppi. Il settore finanziario, con i progressi compiuti negli ultimi mesi, è certamente di supporto alla ripresa economica ma in Europa si deve ancora affrontare con determinazione il problema della disoccupazione.

Il FMI sulla crescita cinese

Le previsioni dell’OCSE, dunque, parlano degli Stati Uniti che proseguiranno nel cammino della crescita più velocemente delle altre economie. L’Eurozona, al contrario, per tutto il 2013 continuerà a persistere nel recinto della recessione e il miglioramento, sempre graduale ci sarà dal 2014 in poi. Il Giappone crescerà ma con un ritmo molto irregolare.

 

Il futuro degli investimenti è in Africa

 La Cina non è più un terreno d’investimento privilegiato per chi vuole far fruttare i propri capitali, infatti, secondo gli analisti di JP Morgan è bene cambiare continente e spostarsi dall’Asia all’Africa. Insomma è arrivato un invito palese a guardarsi intorno in questo periodo che potremmo definire di gran cambiamento.

Il Fondo Monetario Internazionale – come abbiamo avuto già modo di dire – qualche giorno fa ha abbassato le previsioni di crescita della Cina dall’8 al 7,75 per cento. Una flessione quasi impercettibile in termini percentuali che però getta qualche ombra sull’andamento futuro dell’economia di Pechino.

Pronta una banca mondiale per gestire l’ascesa

Per questo motivo molti banchieri internazionali hanno deciso di sondare altri terreni d’investimento e sono arrivati alla conclusione che si possono trarre molti benefici dai mercati dell’area sub-sahariana. I primi ad interessarsi al business africano sono stati gli analisti di Jp Morgan, ma alla definizione di queste opportunità ha contribuito anche la ICBC.

Morgan Stanley e gli investimenti del 2013

Un discorso analogo è stato fatto anche dalla Standard Chartered che ha definito il mercato africano come un mercato in forte espansione, visto che a livello politico la governance sta migliorando e la stabilità dei governi aumenta di giorno in giorno.

Come nel caso dell’Europa, sarà sufficiente consolidare i traguardi politici per poi arrivare alla stabilità economica.

Per le banche centrali l’uscita dalla crisi è un’illusione

Per capire i movimenti della finanza di tutto il pianeta occorre dare un’occhiata a Tokyo e Washington, alla Banca del Giappone e alla Federal reserve. Sono questi i due punti nevralgici per un’analisi più chiara e approfondita.

Intanto, l’Europa dell’euro ha fatto le sue azioni, con la Banca centrale europea nel ruolo di garante della stabilità del sistema, ed aspetta che le elezioni tedesche di settembre permettano alla cancelliera Angela Merkel un ruolo più attivo.

Ma l’uscita definitiva dalla crisi resta un’illusione.

Da Washington, infatti, fanno sapere che dopo la politica di iperespansione monetaria, tassi a zero più quantitative easing – acquisto di titoli sul mercato per immettere liquidità – occorre attendere l’inizio della fase declinante. Wall Street ha reagito male, confermando quanto in molti hanno sempre dichiarato, e cioè che la serie recentissima di record degli indici Dow Jones e S&P è stata più un risultato della grande liquidità fornita dalla Banca centrale che non un segnale di forte ripresa. Come a dire che si tratta di un fatto di natura finanziaria e non di un andamento positivo dell’economia reale.

Piedi per terra, dunque. Dalla crisi, dicono alla Fed, si potrà effettivamente uscire ma i tempi sono lunghi. Molto lunghi. Una dichiarazione, quest’ultima, fatta più per placare gli animi che per una convinzione interna.

 

Per le imprese record di fallimenti e liquidazioni nel primo trimestre 2013

 Per il mondo dell’ imprenditoria italiana il 2013 non sembra essere assolutamente iniziato sotto buoni auspici. La crisi, infatti, ha colpito e continua impietosa a colpire tutto il settore produttivo italiano, generando, nei primi tre mesi del 2013 un numero record di fallimento e di liquidazioni volontarie per le imprese italiane.

In crescita il numero dei fallimenti in Italia

Il Cerved – gruppo specializzato nell’ analisi delle imprese e nei modelli di valutazione del rischio di credito – ha infatti calcolato che nei primi tre mesi dell’ anno si sono potuti  registrare 3500 fallimenti da parte delle aziende italiane, mentre 23 mila imprese hanno avviato una procedura di insolvenza o di liquidazione volontaria.

> Record di aziende chiuse nel primo trimestre del 2013

Dal punto di vista strettamente statistico, quindi, i fallimenti hanno fatto registrare in Italia un incremento del 12% rispetto all’ anno precedente, mentre le aziende in attivo che hanno deciso volontariamente di chiudere l’ attività hanno avuto un aumento del 5,8%.

Il dato più inaspettato del periodo, tuttavia, riguarda l’ incremento dei cosiddetti concordati preventivi – disciplina fallimentare, tra l’ altro, da poco riformata, ovvero delle procedure di insolvenza diverse dai fallimenti, che, sempre nei primi tre mesi del 2013, hanno fatto registrare un aumento annuale del 76%.

Dal punto di vista geografico, infine, è stato colpito in particolare il Nord Est del Paese.

Risparmia sul mutuo condividendo la casa

 I metodi per risparmiare sul mutuo sono numerosi, uno di questi, suggerito da numerosi portali che si occupano di mediazione creditizia, è lo sharing dell’appartamento. Di norma chi acquista una casa pagandola con il sudore della fronte, non è disposto poi a condividerla, eppure per il risparmio si fa questo ed altro.

Risparmiare, infatti, in tempo di crisi, è sicuramente un imperativo e considerando che il mutuo rappresenta la spesa più consistente per la famiglia, è necessario partire da questo elemento. Condividere la casa consente di dividere i conti, ma comporta anche la creazione di nuovi nuclei famigliari, la modifica del proprio stile di vita e il mantenimento di rapporti nuovi.

La rata dei mutui scende se sono accesi online

Questo trend è stato ben descritto dall’analisi di Easystanza che si occupa di annunci di appartamenti in condivisione. Tra i suoi utenti, il 32,8 per cento delle coppie ha dichiarato di condividere l’appartamento principale. Nella maggior parte dei casi si tratta di lavoratori, il 54,6%, poi ci sono gli studenti che rappresentano il 25,7 per cento della popolazione e infine ci sono disoccupati e pensionati che rappresentano il 13,1 e il 4,9 per cento del campione.

Come si usa lo stipendio degli italiani

La scelta di condividere la casa, che nasce soltanto dal bisogno di risparmio, era molto utilizzata negli anni Settanta, ecco perché molti lo considerano un passo “indietro”.

La metà degli atenei italiani a rischio default

 E’ ormai la quarta volta consecutiva che i Rettori delle università italiane lanciano l’ allarme al Governo sulle precarie condizioni economiche in cui versa la più alta fra le istituzioni della cultura nel nostro Paese: la metà degli Atenei italiani è oggi a  rischio fallimento.

Calo investimenti pubblici per alloggi a studenti

La denuncia, questa volta, arriva dalla Crui, la Conferenza dei Rettori Italiani: a partire dal 2009, infatti, le risorse erogate dallo Stato alle università italiane sono diminuite dell’ 11%, tanto che oggi il Fondo di finanziamento ordinario è arrivato a disporre di soli 6,690 milioni per tutti gli atenei, cioè già il 4,6% rispetto al 2012.

La classifica delle università

E nell’ anno in corso, sulla base dei limitati finanziamenti a disposizione, la situazione è divenuta pressoché insostenibile. Solo le spese relative al personale interno assorbono il 95% delle risorse erogate dallo Stato, dato che già oltrepassa il limite dell’ 82% imposto per legge e che non consente altri tipi di investimenti.

Nuovi tagli agli atenei significano, infatti, nuovi blocchi nella sostituzione del personale docente, a causa del blocco del turn – over, blocco che, a rigor di cronaca, sussiste già da sei anni.

Niente ricambio generazionale, dunque, niente ricerca e, quel che è peggio, niente diritto allo studio: per il 2014, infatti, non potranno più essere totalmente coperte neanche le borse di studio. I rettori chiedono dunque che il Governo si impegni in un piano di finanziamento e revisione triennale da almeno 150 milioni di euro.

Secondo l’Economist il peggio non è passato

 L’Economist, che offre sempre una fotografia lucida della situazione europea, ha spiegato che il peggio non è passato nel senso che i leader europei, oggi, sbagliano a dire che la crisi è definitivamente alle spalle. All’argomento è dedicato addirittura l’ultimo articolo di copertina della rivista economica.

L’Unione Europea, dal punto di vista economico, è da considerare sorvegliata speciale, sia sotto il profilo economico dove non è ancora chiara la linea di lungo periodo che gli stati membri hanno deciso di seguire, sia sotto il profilo politico dove a prevalere è l’indecisione dei leader.

La fine dell’effetto Draghi per i mercati

La copertina dell’Economist arriva subito dopo il Consiglio Europeo che si è tenuto a Bruxelles il 22 maggio e che ha messo in primo piano la discussione su temi come l’energia, la politica fiscale comune e gli strumenti per contrastare l’evasione fiscale.

La Francia vuole un governo dell’Eurozona

Secondo l’Economist, dunque, il peggio non è passato, non ci siamo ancora lasciati alle spalle i momenti più duri, anzi, pensare di essere sulla strada della ripresa è illusorio. Che le cose non vadano bene è evidente da alcuni elementi: in primo luogo c’è stato il sesto trimestre consecutivo di calo del PIL e poi la crisi ha coinvolto paesi che sembrano immuni al declino economico. In questo caso, il riferimento, è alla Finlandia e all’Olanda.