Rinnovato il Fondo di Solidarietà sui mutui

 Il Ministero dello Sviluppo Economico ha annunciato che le famiglie in difficoltà possono ancora sperare in una specie di moratoria, con il Fondo di Solidarietà che è stato nuovamente finanziato. I mutuatari in difficoltà con il pagamento del mutuo hanno potuto chiedere la sospensione del pagamento delle rate nei mesi e negli anni scorsi.

La fine delle agevolazioni sulla prima casa

Nel 2010 questo istituto è stato introdotto dal Ministro Tremonti e poi è stato prorogato dai governi successivi. L’ultima proroga è arrivata con il governo Monti. Nel decreto Salva Italia si faceva riferimento a circa 20 milioni di euro per sostenere i costi degli interessi maturati sul debito residuo, per tutto il periodo della sospensione. Tutti i tassi d’interesse sono ripagati ad eccezione della componente di spread.

Contributi alle coppie di giovani mutuatari in Umbria

L’accesso al fondo non è però concesso a tutti ma solo a coloro che nei tre anni precedenti la richiesta hanno perso il lavoro subordinato, senza che si parli chiaramente di giusta causa, oppure a coloro che sono morti, oppure a coloro cui è stato riconosciuto un handicap grave o un’invalidità superiore all’80 per cento.

La sospensione della rata che si può ottenere, vale fino ad un periodo massimo di 18 mesi. Lo ha comunicato il Mef con un provvedimento già inserito nella Gazzetta Ufficiale.

La crisi costringe alla chiusura le imprese

 Unioncamere ha diffuso i dati sulla base di Movimprese per constatare che la situazione, dal 2004 ad oggi si è aggravata. Il deficit, cioè il bilancio tra aperture e chiusure delle imprese, non era così grave dal 2009 ad oggi. Il 2009 è stato l’anno più duro della crisi.

La BCE chiede attenzione per le PMI

Il 2013, dunque, è iniziato con una serie d’imprese che hanno chiuso, un numero più ampio di quelle del 2009. A livello di numeri, nel primo trimestre dell’anno, hanno incrociato le braccia circa 31 mila aziende. A dirlo è Unioncamere sulla base di Movimprese che ricorda come anche nel 2009, nel primo trimestre dell’anno, a chiudere furono 30 mila unità.

Secondo Unioncamere, il fatto che s’iscrivano meno imprese rispetto al 2012, è ancora più grave delle chiusure d’impresa. Infatti mentre nel 2012 hanno aperto 120.178 imprese contro le 118.618 del 2013, le imprese che hanno chiuso sono state 149.696 nel 2013 e 146.368 nel 2012.

L’aumento IVA ci sarà o no?

Secondo gli analisti e gli esperti d’impresa, la preoccupazione sale nella misura in cui lo stallo politico continua senza che si prendano le contromisure dalla situazione contingente. Oggi, infatti, urge ridare credito alle imprese approvando delle misure ad hoc per sostenerle nella loro attività.

L’Italia s’indebolisce senza decisioni

 Qualche economista l’aveva anticipato: il grosso problema dell’Europa è che presto le crisi politiche si trasformeranno in crisi economiche. Il ritardo nella scelta del presidente del consiglio e nella scelta del Presidente della Repubblica, potrebbero condizionare parecchio i mercati.

I rischi italiani dell’uscita dall’euro

E’ convinto di questa interpretazione anche il ministro dell’Economia Vittorio Grilli che, presente al meeting del Fondo Monetario Internazionale, ha detto:

“L’importanza di una soluzione politica veloce in Italia è soprattutto per gli italiani, perchè un’Italia che non decide ed è debole penso che possa far comodo ai nostri competitor”.

Questo non vuol dire, come spiega Grilli, che l’economia globale è in pericolo ma di certo per l’economia italiana non c’è da star tranquilli. Il fatto è che l’indecisione sottolinea soltanto una fragilità difficile da sanare.

Per l’Italia, secondo Grilli, è prima di tutto necessario ritrovare forza e stabilità così da presentarsi più forti al cospetto dei competitors.

Per l’OCSE sarà recessione fino a giugno

Grilli è intervenuto anche sui debiti della Pubblica Amministrazione, spiegando che il fondo di 40 miliardi di euro non è soltanto un fondo compensativo ma povrà essere usato a sostegno del settore bancario in modo che i rischi connessi ai prestiti si riducano.

E’ recente la notizia degli italiani che in un momento di crisi, stretti nella morsa creditizia, non hanno ottenuto fondi dalle banche e si sono rivolti agli strozzini.

Il brutto rapporto tra credit crunch e usura

 Il credit crunch è la stretta creditizia, la mancanza di disponibilità delle banche a concedere prestiti a cittadini ed imprese. Il fatto che gli istituti di credito siano meno disponibili, non vuol dire che poi i debitori abbiano meno bisogno di soldi. Ecco allora che la malavita o meglio, l’illecito, s’inseriscono nel meccanismo.

Prestiti in calo, che fare?

In pratica i debitori, pur di ottenere la liquidità di cui hanno bisogno subito, sono disposti a restituirla anche a tassi d’usura. Gli strozzini, dunque, con questa crisi, fanno la fortuna. Di media, dice una recente indagine condotta soprattutto in Campania e a Roma, gli strozzini offrono denaro con interessi fino al 20% al mese che vuol dire che ottengono in un anno più del doppio della cifra versata, per l’esattezza 2,4 volte la “posta”.

Gli italiani, in un periodo di crisi, hanno dimostrato di saper rinunciare a tantissime cose, per esempio a trovarsi un lavoro decente, a ricomprare la macchina, o gli elettrodomestici più comuni. Hanno addirittura rinunciato a cercare casa.

La crisi costringe alla chiusura le imprese

Il Crif parla chiaro: la domanda di mutui è diminuita del 42 per cento e le flessioni delle richieste nei primi tre mesi del 2013, sono state rispettivamente del 14, del 10 e del 9 per cento. Dall’inizio della crisi 35 persone su 100 hanno smesso di rivolgersi alle banche per coronare il sogno di una casa.

Paradossalmente, però, hanno accumulato debiti e sono sull’orlo del fallimento. Le famiglie non riescono più sostenere le spese comuni e nemmeno quelle impreviste e siccome l’economia langue, hanno difficoltà ad accedere a banche ed agenzie e si rivolgono agli strozzini.

Il lavoro è la prima preoccupazione degli italiani

 La crisi economica, invece di avviarsi verso la fine, sembra attanagliare oggi più che mai gli italiani. Secondo, infatti, i dati contenuti nell’Outlook Italia 2013, la popolazione del bel paese non ha più speranze per il futuro, dato che è il presente a preoccupare.

► Indagine europea sulla ricchezza delle famiglie: in Italia una su sei è povera

I dati parlano chiaro: sono 11 milioni le famiglie che hanno paura di non poter più portare avanti lo steso tenore di vita e 14 milioni quelle per cui il risparmio è solo un miraggio e 13 milioni di famiglie, ancora, avrebbero molti problemi nel caso si trovassero ad affrontare spese improvvise, quali visite mediche o riparazioni auto.

Ma c’è anche altro nel rapporto. Secondo la Confcommercio, infatti, una famiglia su tre non riesce già più a pagare in tempo tutte le scadenze mensili e il 17% sta già mettendo mano al risparmio o ricorrendo a piccoli prestiti e finanziamenti per affrontare le spese correnti.

Ma ciò che più di tutto il resto spaventa gli italiani è il mercato del lavoro: un mercato duro, ostico, che non dà nessuna garanzia e con il quale circa un quarto della popolazione ha un rapporto molto difficile. Si tratta del 25% della popolazione che teme di perdere il lavoro nei prossimi sei o sette mesi e di un altro 27% che ha paura di vedersi ridurre lo stipendio.

Gli italiani non credono solo che il mercato del lavoro sia fermo, ma anche, ed è un sentimento comune a più della metà della popolazione, che per trovare un lavoro sia necessaria una raccomandazione.

► Non solo scoraggiati, ma anche inattivi, in numero sempre maggiore

Questa è la situazione che hanno fotografato Confcommercio e Censis, una situazione che viene affrontata con il “modello delle tre R”: rinuncia-rinvia-risparmia:

Per i primi sei mesi dell’anno le famiglie che prevedono di effettuare una spesa consistente per voci come la ristrutturazione della casa, o l’acquisto di un elettrodomestico o di mobili o di un mezzo di locomozione risultano ai minimi rispetto a quanto rilevato nei quattro anni precedenti. Cresce la percentuale che per il momento rinvia questo tipo di spese.

Il ministro delle finanze tedesco contro Cipro

 La crisi di Cipro non è stata soltanto emblematica per l’Europa e non è vero che il suo salvataggio è da considerarsi un modello per il resto del Vecchio Continente. In effetti, ogni crisi ha le sue specificità e quella di Cipro non è da meno.

Nell’isola, considerata a lungo un paradiso fiscale, le banche hanno dimostrato tutta la loro debolezza tanto da aprire una crisi finanziaria di vasta portata che ha costretto il paese a chiedere aiuto all’Europa. L’UE ha sbloccato una parte dei fondi necessari per il salvataggio, a patto che Cipro effettuasse un prelievo forzoso sui conti deposito.

Il punto sul salvataggio di Cipro

Dopo un tira e molla che ha bloccato l’attività finanziaria dell’isola per una decina di giorni, si è arrivati alla mediazione, ma non sembra che la soluzione adottata sia condivisa da tutti. La Germania, per esempio, che era molto esposta sulle banche cipriote, non ha preso bene la conditio sine qua non.

La versione di Saxo Bank su Cipro

Gli interventi dei leader economici tedeschi, chiaramente, si è concentrata su altri temi. Il ministro delle finanze, Wolfang Schaeuble, per esempio, ha voluto mettere in guardia l’Europa intera dicendo che il fallimento di Cipro, non ancora proclamato, potrebbe scatenare un effetto domino nell’area euro.

Il monito è arrivato proprio durante una riunione di tutti i parlamentari tedeschi che hanno dovuto deliberare sui possibili aiuti finanziari all’isola, che ricordiamo, ammontano a 10 miliardi di euro. Secondo Schaeuble, Cipro sarà costretta al fallimento se non viene aiutata e il suo fallimento potrebbe poi interessare anche gli altri paesi periferici.

Gli errori degli economisti spiegati da Reinhart e Rogoff

 Un libro molto interessante che sta facendo scuola nel settore economico, è stato pubblicato da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff. Si chiama “Crescita in tempo di debito” e spiega che quanto più è alto il debito pubblico di un paese, maggiore è la possibilità che cresca economicamente con percentuali irrisorie.

Enrico Letta può influenzare l’euro?

Secondo l’analisi svolta da questi economisti, già 3 anni fa, i paesi che hanno un debito pubblico superiore al 90 per cento, hanno tassi di crescita dell’1 per cento più bassi dei paesi con il debito pubblico inferiore alla quota indicata.

Il tasso di crescita dei paesi dove il rapporto tra debito e PIL va oltre il 90%, è praticamente negativo. Questa regola, provata empiricamente, è stata usata come cavallo di battaglia da tanti economisti avversi alla crescita del debito pubblico. A livello politico, tale “teoria” si traduce in una battaglia contro il debito che dovrebbe avere come “effetto di secondo livello”, la crescita dell’economia.

L’austerity non piace agli intellettuali

Si tratta di una situazione ormai irreversibile? Non proprio, anche se molti economisti giurano che la correlazione tra crescita e debito pubblico sia inversa, nel senso che non è il debito a determinare una crescita negativa ma è la crescita economica limitata a favorire l’incremento del debito pubblico.

La crisi italiana e la scelta del Presidente della Repubblica

 L’Italia, a livello politico, sta affrontando un altro momento molto delicato che è quello della scelta del Presidente della Repubblica. Non si tratta del ruolo da ricoprire ma della persona che i partiti hanno pensato di designare.

Il mercato approva il governo Letta

Il Movimento 5 Stelle, dopo una consultazione in rete, aveva scelto Milena Gabanelli ma la conduttrice di Report ha rifiutato l’incarico spiegando di voler fare soltanto quello che sa fare bene, quindi ha preferito restare nel mondo del giornalismo. Alla fine, il risultato è stato che il nome dei 5 Stelle è quello di Stefano Rodotà.

L’Italia vista da fuori

Un politico di grosso calibro, un giurista molto apprezzato che si sperava potesse raccogliere consensi anche dal centro sinistra. Il PD, invece, ha deciso di rifiutare il nome del Movimento 5 Stelle e di puntare invece su Franco Marini. Ex DC, socialista dal passato nel sindacato cattolico. Un nome che a quanto sembra piace anche alla destra e potrebbe dare il la ad un governo di larghe intese tra PD e PDL.

La scelta di Franco Marini, nell’ipotesi di un avvicinamento tra Berlusconi e Bersani, non piace all’opinione pubblica, raccolta davanti a Montecitorio per manifestare il dissenso e promuovere il nome di Rodotà. La governabilità è adesso all’orizzonte?

L’austerity non piace agli intellettuali

 L’austerity è la parola d’ordine dell’anno scorso. Nel 2012, infatti, la crisi è stata così imponente che tutti i paesi a rischio default hanno chiesto alla popolazione di tirare la cinghia. E’ rimasta proverbiale l’austerity greca. Adesso però questa parola e questa pratica sono già finite sotto accusa.

Enrico Letta può influenzare l’euro?

Gli economisti sono concordi nel ritenere che stringere la cinghia troppo a lungo non è positivo per l’economia di un paese. Il primo a dirlo è stato Paul Krugman che ha dato il suo placet anche ai partiti europei che hanno espresso la ribellione all’austerity. Per esempio Krugman ha elogiato il Movimento 5 Stelle italiano.

Krugman parla dei problemi dell’Europa

L’intensità dell’austerity, tra l’altro, è stata modulata con formule matematiche che sul lungo periodo hanno dimostrato di non essere abbastanza calzanti. Per esempio: Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart dell’Harvard University, già nel 2010 spiegavano che quando il debito pubblico supera il 90 per cento della produzione c’è una decrescit economica pari allo 0,1 per cento. L’esperimento, la formula, ripetuta oggi, con gli stessi dati, dà un risultato diverso: si parla di crescita del 2,2 per cento.

Questa teoria, che adesso dovrà essere revisionata, è stata alla base della politica di austerity usata da molti governi. Quindi si dimostra oggi che combattere “contro il debito pubblico” non è un metodo efficace per ottenere la crescita economica.

 

Il partito anti-euro è sempre più pericoloso

 L’Europa sta affrontando una grave crisi politica e monetaria e il problema è legato al fatto che il malcontento dilaga e sia i leader dei vari paesi, sia i cittadini, hanno bisogno d’individuare un capro espiatorio.

Dall’Euro potrebbe sempre uscire la Germania

Qualcuno ha provato a dire che è tutta colpa della Germania se ci troviamo in questa situazione critica ed è soltanto per alimentare l’economia del paese in questione che si resta nell’euro. E arriviamo così alla nota dolente, al capro espiatorio per antonomasia: l’euro.

La moneta unica è ormai sotto attacco e ci sono diversi partiti politici che stanno usando il grimaldello dell’anti-euro per costruire il loro consenso.

Gli analisti della CNBC ritengono che l’ascesa di questi movimenti d’opposizione alla valuta europea possa essere davvero pericoloso. In alcuni casi i partiti neonati, come l’Alternative fuer Deutschland lanciato in Germania, appaiono molto taglienti.

L’opposizione antieuropea vince in Islanda

In comune c’è la volontà di combattere contro il clima di austerity imperante e come collante funziona il perdurare della crisi economica.

In un’unica elezione, l’AfD potrebbe portare a casa il 3 per cento ma qualcuno ritiene che il partito anti-euro, sfondando la soglia del 5 per cento con un recupero di consensi imprevisto, possa addirittura arrivare in Parlamento. La Germania è ripartita ma i presupposti per la proliferazione di queste realtà ci sono.