Contro l’Italia anche Morgan Stanley

 Il nostro paese è in crisi e questo lo possiamo dedurre dalla situazione finanziaria e dalla situazione politica in atto. A livello politico, per esempio, sono già passate tre settimane dal voto e non è ancora stato definito un governo, al di là dei tempi tecnici, però, l’incertezza sulla futura composizione dell’esecutivo resta.

Per il FT l’Italia ha bisogno di un cambio

Questo stallo sta affossando l’economia italiana dove, a fronte di qualche azienda che sta offrendo dividendi incredibili ai suoi azionisti, ci sono anche uno spread in forte aumento e titoli di stato venduti con rendimenti molto più elevati.

L’ultima batosta per l’Italia è arrivata da Fitch che proprio alla fine della scorsa settimana, ha deciso di declassare i nostri titoli di stato, portandoli ad un livello di poco superiore ai titoli spazzatura. Questo fa sì che la considerazione dell’Italia da parte degli investitori, abbia subito una forte battuta d’arresto.

Chiude male Milano dopo la bomba Fitch

Se il caso di Fitch fosse isolato e se invece si considerasse la visione tutto sommato positiva della situazione politica italiana, come ha fatto Paul Krugman e come poi ha confermato l’Europa in queste ore, allora non ci sarebbe di che preoccuparsi.

Invece il nostro paese, in questo momento, è il bersaglio di una banca d’affari che sta prendendo con le molle la questione della recessione italiana, spiegando che non ci sono margini per parlare di una ripresa né alla fine del 2013, né tanto meno nel 2014. Al massimo ci sarà un peggioramento delle condizioni.

Si tratta di Morgan Staley che prevede una chiusura dell’anno per l’Italia con un -1,7 per cento in termini di crescita, invece del -1,2 per cento previsto in passato.

Nuovo crollo per il mattone

 Il mattone è in piena crisi. A dirlo gli ultimi dati rilasciati dall’Agenzia delle Entrate che evidenziano un ulteriore calo di circa il 30% di contratti di compravendita immobiliare nell’ultimo trimestre del 2012 rispetto allo stesso periodo del 2011, che riportano il mercato ai livelli del 1985.
► Molti gli immobili invenduti

Effetto della crisi economica, che ha fatto scendere il numero delle compravendite immobiliari a 993.339, circa 330mila in meno rispetto al 2011, con un calo del -24,8% su base annua (2012 su 2011).

Non scende solo il numero delle unità vendute, a calare anche il valore di scambio delle abitazioni stimato a 74,6 miliardi, in calo rispetto al 2011 di circa il 26%, una percentuale che corrisponde a una perdita di oltre 26 miliardi di euro.

Una casa sul mercato italiano ha un valore medio di 167 mila euro, con picchi di 220 mila euro al centro e di 120 mila euro nelle Isole, tutti valori, questi, in calo rispetto al precedente semestre. Le grandi città  (Roma, Milano, Torino, Genova, Napoli, Palermo, Bologna e Firenze) hanno subito un calo delle compravendite immobiliari pari al 22,4% su base annua. Un trend comune, dal quale si salva solo Napoli, per cui la diminuzione delle trattative si è attestata al solo -0,8%.

► Gli immobili di lusso ci sono ma non si comprano

Crolla il numero delle case vendute e crollano anche i mutui erogati: -38,6% rispetto al 2011, con un corrispondente calo del capitale complessivamente erogato del 42,8%, Aumenta, però, la rata mensile che si attesta intorno a 700 euro, circa il 3% in più rispetto al 2011.

Calano consumi e occupazione nel settore alimentare

Anche il settore alimentare comincia a pagare gli effetti di una crisi che perdura ormai da troppo tempo. I consumi alimentari risultano infatti diminuiti di molto. Sono 20 i miliardi di euro persi in 5 anni, mentre l’occupazione configura una perdita di circa 5000 posti di lavoro durante lo scorso anno. Ciò si evince dai dati di Federalimentare inerenti all’andamento dell’industria alimentare nel 2012.

Dati

I dati parlano di tagli alla spesa alimentare relativi agli ultimi 12 mesi. Tagli del -3%, e dunque di circa 7 miliardi di euro.

I tagli arrivano al -10% se si prende in considerazione l’ultimo cinquennio.

Pagata la crisi

L’ultimo anno, per l’industria alimentare, è stato quello in cui la crisi si è fatta sentire maggiormente. Quello è che il secondo settore più produttivo, dopo il manifatturiero, paga la recessione dei consumi italiani.

Export

Le sfide sul mercato estero sono sempre più impegnative, anche se l’export tiene duro ed è ancora al + 8%. Senza dubbio, il Made in Italy continua ad avere il suo fascino in tutto il mondo, ma i problemi relativi all’intero sistema economico hanno colpito l’alimentare.

Di conseguenza, è stato inevitabile anche il crollo occupazionale. Il 2013, con ogni probabilità, non sarà foriero di cambiamenti in meglio. Non resta che stringere la cinghia e sperare che il settore alimentare regga l’urto.

 

Strategie per uscire dalla crisi

 Per uscire dalla crisi ci sono diverse strategie che, sulla base del governo in carica e sulla base della situazione contingente, possono essere considerate di destra o di sinistra, conformi all’imperativo dell’austerità, oppure in linea con l’idea di sviluppo della produzione.

Il primo approccio, quello che è collegato ad un clima e alle proposte di austerità, è stato duramente contestato dal premio Nobel per l’Economia Paul Krugman che in questo caso ha ritenuto importante la proposta che per l’Italia ha portato avanti il Movimento 5 Stelle.

L’Italia declassata dall’agenzia Fitch

Il sistema dell’austerità si basa su una considerazione estrema, riassuntiva, della situazione del portafoglio di un paese: lo stato ha più spese che incassi e il disavanzo è diventato insopportabile o sostenibile sul lungo periodo. La risposta a queste considerazioni si trova in strumenti talvolta applauditi, tal altra considerati sciagurati, come ad esempio la spending review oppure la riduzione del deficit.

► Non si cresce se scende soltanto l’inflazione

Il secondo approccio, quello maggiormente focalizzato sulla produttività economica, è sintetizzato nell’approccio di “stimolo”. Il suo obiettivo è diametralmente opposto visto che punta ad alimentare la spesa ed “allargare” in qualche modo il deficit per far fronte alla disoccupazione e per far sì che i consumatori abbiano una maggiore dote di liquidità da spendere sul mercato.

La situazione ungherese e quella inglese a confronto

 L’Europa non è un continente solido in questo momento, visto che a parte qualche tensione di natura politica, sta affrontando una crisi economica che finora non era stata opportunamente considerata.

L’euro sta soffrendo e la natura di questa sofferenza si lega alla stabilità dei governi e alle relazioni che il Vecchio Continente intrattiene con l’economia americana e con quella cinese. Affrontiamo ora, più nel dettaglio, il problema ungherese, prima di effettuare un piccolo parallelismo con l’Inghilterra.

Confermata la crisi del settore auto UE

L’Ungheria è il prossimo problema da risolvere per l’Europa, adesso impegnata nella scelta del salvataggio di Cipro, prima che siano pubblicati i dati sulla ricchezza delle famiglie europee. Il neo premier ungherese, Viktor Orban, per esempio, è riuscito ad avere il sostegno del Parlamento, necessario per un cambiamento della Costituzione, ma allo stesso tempo, dalle Camere, ha ottenuto l’invito a chiudere i ponti con l’Europa.

L’euro non è stato un buon affare per la Slovacchia

Una scelta che per questo paese potrebbe essere anacronistica ed antieconomica. Lo sostengono numerosi analisti promotori dell’euro che scoraggiano ogni stato che decida di valutare l’uscita dalla moneta unica.

In piazza le proteste verso la condotta del premier sono state vigorose e anche Bruxelles ha ribadito più di una volta che la politica di chiusura del premier Orban rischia di essere “perseguita”. Un giro di vite autarchico si è avuto anche quando il presidente ha nominato governatore della banca centrale un suo fedelissimo.

Il parallelo con l’Inghilterra è semplice nel momento in cui si considera che il paese è estraneo all’euro, ma allo stesso tempo si augura di stipulare accordi bilaterali con Bruxelles che gli diano una posizione di rilievo, un po’ come è successo alla Svizzera.

Il Regno Unito in crisi lo spiega Osborne

 L’Economist è sempre stato attento alla situazione finanziaria del Regno Unito ma in questo periodo, in cui tutto il Vecchio Continente è sotto la lente d’ingrandimento, è di primaria importanza tenere a mente tutti gli appuntamenti e le variazioni che interessano i paesi che fanno parte dell’Eurozona.

 L’Europa è il continente adatto su cui investire

L’economia britannica, storicamente, ha vissuto un momento di crisi nel 1857, anno in cui la domanda delle esportazioni ha subito un crollo verticale e c’è stata la distruzione del sistema bancario. È inutile poi citare nel novero dei danni economici e finanziari, gli effetti delle guerre mondiali che hanno incenerito le infrastrutture inglesi.

 Londra contro il tetto ai superstipendi

Oggi, la Gran Bretagna procede a rilento, con qualche incremento annuo della produzione ma mantenendosi al di sotto del picco che la Bank of England ha registrato nel 2007. È probabile, dicono gli analisti, che si arrivi di nuovo ad un risultato di questo tipo, ma è necessario attendere almeno il 2015. La crisi, infatti, sta limitando moltissimo il potere d’acquisto dei cittadini che vedono crescere l’inflazione ma fanno i conti con dei salari che possono essere definiti scarsi.

La crisi è confermata a livello valutario da una decrescita della sterlina e dall’aumento del pessimismo dei cittadini britannici che nella maggior parte dei casi, nel futuro prossimo, vedono soltanto il peggioramento delle loro condizioni patrimoniali.

Pil italiano in calo nel 2013

 L’economia italiana continua a navigare in continue acque. Lo conferma l’Istat,  che lancia ulteriori segnali d’allarme per il prosieguo del 2013. Il Pil è calato del 2,4% nel 2012. Durante questi primi mesi del nuovo anno si sono verificati nuovi rallentamenti, con la conseguenza che il calo per il momento è di un ulteriore punto in percentuale.

Se si dovesse continuare su questa falsa riga il risultato sarebbe ancora negativo. I dati sono in linea con quelli rilanciati dal Rapporto Bes, secondo il quale peraltro gli italiani in difficoltà sono 6,7 milioni: 2,5 milioni in più rispetto all’anno precedente.

Vittorio Grilli fiducioso

Malgrado le preoccupazioni dell’Istituto di Statistica, il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, è fiducioso. I dati, peraltro, non rappresentano una sorpresa per lui: “Miparesembra che tutti convergano sul fatto che la seconda metà del 2013 sarà in positivo. E’ chiaro che bisogna attendere per vedere con che forza si riuscirà ad invertire la tendenza. Il -2,4% era già nei nostri dati sappiamo che è una congiuntura complicata”.

Conferme Istat 2012

Per quanto concerne il quarto trimestre dello scorso anno, l’Istat ha confermato la performance dello 0,9% da parte del Prodotto interno lordo, da mettere a paragone ovviamente con il terzo trimestre. In totale si tratta di un -2,8% se si effettua una comparazione con il periodo ottobre-dicembre del 2011. I dati sono condizionati dal fatto che c’è c’è stata una giornata lavorativa in meno del trimestre precedente e una in più rispetto al quarto trimestre del 2011.

Le imprese italiane temono di chiudere

 Sono giorni di dati e di analisi, questi. Dopo l’elaborazione dei dati dell’Istat fatta dall’Adnkronos che ha messo in luce come oltre la metà delle famiglie italiane sia in crisi, è arrivato anche il sondaggio fatto da Unimpresa tra le 130 mila aziende associate.
► Confindustria: Italia in piena emergenza creditoQuello che emerge è un quadro drammatico, nel quale 5 aziende su 6 delle intervistate hanno timore di non riuscire ad arrivare alla fine dell’anno. I motivi di questo timore?

In primis, come evidenziato anche da altre ricerche, la stretta del credito da parte delle banche, poi i mancati pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni e dai privati e, in ultimo difficoltà nella gestione dei dipendenti.

Anche le nuove normative italiane in materia dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni -massimo di 60 giorni per il saldo delle fatture- non sembrano migliorare la percezione del futuro, in quanto, come asserisce Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, trovano scarsissima applicazione.

► Mancati pagamenti delle imprese italiane a quota 40 miliardi di euro

Le cause macroeconomiche di questa visione negativa del futuro stanno soprattutto in una recessione che, come detto anche dal presidente della BCE Mario Draghi, si sta prolungando più del previsto e dalla quale non si riuscirà ad uscire se non nel 2014. Ma nel 2014, se le cose non cambiano, molte delle imprese italiane potrebbero già non esistere più.

Oltre la metà delle famiglie italiane è in crisi

 La crisi economica ha fatto strage dei redditi delle famiglie italiane, sopratutto nell’ultimo anno. Questo è quanto emerge dall’analisi dei dati dell’Istat fatta da Adnkronos, che evidenzia come per il 55,8% il 2012 sia stato un anno molto peggiore del precedente.
► Confindustria: Italia in piena emergenza credito

Se, infatti, nel 2011 le famiglie italiane che hanno dichiarato di aver visto peggiorare la propria situazione economica erano il 40,8% del campione, la percentuale relativa al 2012 è salita del 14,8%.

Lo stesso sentimento vale anche per l’andamento delle risorse economiche della famiglie nell’ultimo anno, giudicate scarse o, addirittura, insufficienti per il 47,1% degli intervistati, ossia il 4,4% in più rispetto al 2011, con una maggiore concentrazione di sofferenze per il sud (56,2%), mentre il dato si attenua leggermente percorrendo la penisola verso nord: 47% al centro e 41,1% al nord.

Leggermente diverso il quadro che si delinea se si analizzano le valutazioni: in questo caso l’incremento maggiore è stato rilevato al centro (+5,5 punti), seguito dal sud (+4,6 punti) e dal nord (+3,9 punti).

► Cala il tasso di risparmio delle famiglie italiane

Una situazione di disagio, e in molti casi di vera e propria sofferenza, che è stata già evidenziata anche da altre istituzioni, quali Confindustria, che ha lanciato l’allarme sulla situazione del credito alle famiglie, e da Bankitalia, che ha evidenziato come le famiglie italiane siano impossibilitate al risparmio.

Un miliardo e mezzo di telefonate in meno nel 2012

 La crisi e le nuove abitudini degli italiani si fanno sentire anche sulle chiamate telefoniche. Nel 2012 sono state molto inferiori rispetto agli anni passati: esattamente un miliardo e mezzo in meno. Un numero che fa pensare. Da una parte, c’è la complicità di internet, che con il progresso di servizi quali Skype e Viber sta mettendo sempre più alle corde l’uso dei telefonini.

D’altro canto, la spesa telefonica è talvolta invasiva e non tutti possono permettersi chiamate chilometriche.

Crisi e abitudini, in altri termini, potrebbero portare il telefono a essere ben presto obsoleto. Per essere precisi, potrebbero portare in particolar modo il tasto verde ad essere pressoché inutilizzato.

Dati

Stando ai dati rilasciati tre principali gestori di telefonia del paese, il trend sembra essere proprio questo: basti pensare che nel 2012 i guadagni da rete mobile sono calati di circa un miliardo e mezzo di euro. Parliamo, dunque, di 1.484 milioni di telefonate mancate all’appello.

Nel 2012, dunque, in Italia i ricavi da servizi dei tre maggiori operatori mobili sono scesi da 17,7 miliardi a quota 16,2 miliardi. Il risultato è stato sicuramente condizionato da un taglio delle tariffe legato alle terminazioni mobili, ma, secondo gli analisti finanziari più esperti, si tratta di un trend in atto che dovrebbe proseguire anche nel 2013. La crisi ha messo a dura prova i risultati di colossi quali Tim ,Vodafone e Wind, i quali hanno preferito correre ai ripari annunciando un piano di esuberi per tagliare i costi in parallelo con la contrazione dei ricavi.