Cedono Mediobanca e l’Espresso

 La settimana più burrascosa di piazza Affari si è conclusa con la perdita di terreno di quattro titoli  molto importanti per il mercato italiano. Abbiamo già visto la flessione di Banca Carige e Meridiana Fly. Adesso prendiamo in esame quel che è successo a Mediobanca e al gruppo Espresso.

Perdono quota Meridiana Fly e la Carige

Mediobanca, dicono gli analisti, ha patito molto l’esposizione sul debito sovrano del nostro paese. Ha acquistato altri titoli del debito portando il capitale complessivo a 1 miliardi di euro circa nella prima metà dell’esercizio 2012-2013. Se l’operazione fosse stata limpida, non ci sarebbero difetti nei conti presentati dall’azienda, invece il secondo semestre, con l’utile in crescita, sembra sia destinato a mettere i bastoni tra le ruote a piazzetta Cuccia. La via d’uscita è rappresentata dal nuovo piano industriale, ma non ci saranno novità fino a giugno 2013. A questa previsione leggermente pessimistica si aggiunge un’economia italiana molto debole. Il titolo perde il 14 per cento.

 Possibili interventi anti-volatilità della Consob

Perde terreno ma meno degli altri titoli citati, anche il gruppo Espresso che subisce una flessione dell’8,4% del titolo. La Borsa del nostro paese ha valutato negativamente i bilanci del gruppo editoriale che ha dovuto ammettere un calo del 64% dell’utile netto rispetto al 2011. In più, è di pochi giorni la notizia della cancellazione del dividendo del 2012 per gli azionisti. La salute del gruppo Espresso è compromessa e all’orizzonte non si scorgono segnali di miglioramento.

Disoccupazione italiana record a gennaio 2013

 L’Istat ha reso noti i dati relativi alla percentuale di disoccupati e degli occupati presenti nel nostro Paese in relazione al primo periodo del 2013, dunque al mese di gennaio.

Mario Draghi su occupazione e euro

La tendenza generale vede dunque un aumento dei disoccupati italiani del 3,8%, che così raggiungono esattamente i 2 milioni e 999 mila con un incremento di 110 mila unità rispetto al precedente mese di dicembre.

Per quanto riguarda il fenomeno della disoccupazione in Italia si registra quindi un aumento del 22,7% su base annuale, pari all’incirca alle 554 mila unità, tra le quali sono compresi sia individui di sesso maschile che individui di sesso femminile. In generale, quindi, il tasso di disoccupazione nel nostro Paese diventa pari all’11,7% con un incremento dello 0,4% rispetto al mese di dicembre e del 2,1% rispetto all’anno precedente.

> > Record di licenziamenti per il 2012

Per quanto riguarda invece i dati relativi all’occupazione, l’Istat  rileva che nel mese di gennaio 2013 gli occupati italiani erano 22 milioni e 688 mila con un calo dell’occupazione pari allo 0,4% rispetto al mese di dicembre che corrisponde a 97 mila unità in meno. Su base annuale questo dato si traduce invece in un calo dell’1,3% pari alle 310 mila unità.

Il tasso di occupazione del nostro Paese è dunque pari al 56,3% con cali dello 0,3% rispetto al mese precedente e dello 0,7% rispetto all’anno precedente.

Mancati pagamenti delle imprese italiane a quota 40 miliardi di euro

 Il Pil continua a scendere e la produzione industriale cala. A questo si aggiungono previsioni per il futuro tutt’altro che rosee. La conseguenza di questi fattori è che le imprese, in modo particolare quelle più piccole, non riescono a far fronte ai pagamenti, mettendo così nelle stesse difficoltà le imprese creditrici.

► Italia, il 70% delle imprese ha problemi di liquidità

Secondo quanto osservato dal rapporto di Euler Hermes Italia (gruppo Allianz) nel 2012 sono oltre 3 milioni le aziende che soffrono di problemi di liquidità per i debiti non onorati. Il rapporto analizza la situazione del debito delle imprese secondo due parametri: la frequenza e la severità.

La frequenza dei debiti non pagati nel mercato interno è aumentata del 15% rispetto al 2012, mentre la severità (termine con il quale si indica l’ammontare dei debiti non pagati) è scesa del 3% rispetto allo scorso anno. Va notato, però, che la situazione è esattamente all’opposto se si analizzano le aziende che operano all’estero: in questo caso la frequenza è scesa del 3% ma la severità è aumentata del 16%.

► Piccole e medie imprese schiacciate dalla pressione fiscale: più della metà chiede prestiti

I settori che soffrono di più per i mancati pagamenti sono quello dell’alimentare penalizzato dall’aumento dei costi di produzione e dall’inefficienza della catena distributiva, quello dei trasporti, sul quale incide il costante aumento del prezzo dei carburanti, e quello delle automobili, che soffrono il calo della domanda. Si salva solo il sistema casa grazie alla spinta dei prodotti high-tech.

Borsa giù a Milano e in Europa e Spread che sale dopo il voto

Il risultato del voto non è stato gradito dai mercati e oggi si vedono gli effetti. L’ingovernabilità dell’Italia fa paura all’Europa e ai mercati e la Borsa va giù. Il Ftse Mib perde il 5% con le banche quasi tutte in eccesso di ribasso. C’è il rischio contagio con Wall Street e Tokyo negative.

Dopo le proiezioni del voto sale lo Spread

Il mercato teme per l’affidabilità del debito italiano. La Consob potrebbe intervenire sulla volatilità, mentre c’è preoccupazione per l’asta dei Bot semestrali, il primo indicatore della fiducia dei mercati dopo le elezioni, con i rendimenti che sono quasi raddoppiati.

E lo Spread torna a salire. È arrivato a 348 punti e poi a 330 punti, comunque sopra a quella quota di 287 punti che era stato l’obiettivo raggiunto del precedente governo.

Si abbassa anche il livello dell’Euro rispetto al Dollaro a 1,3053 e rispetto al franco svizzero a 1,2139 e lo Yen a 120,11.

La Borsa di Milano trascina al ribasso anche le altre Borse europee, con Madrid al -2,7% Atene al -2,4%, Parigi al -2%, Lisbona al -2% e Francoforte al – 1,7%.

Sulla situazione economica ci sarà un vertice tra il premier uscente Mario Monti, Vittorio Grilli, il ministro degli Affari europei Enzo Moavero Milanesi e il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.

La crisi della Francia è più preoccupante

In Francia c’è il rischio che la crisi economica possa essere simile o anche peggiore di quella che ha colpito l’Italia e la Spagna. E nel Paese si corre ai ripari per evitare i rischi. Si sta proponendo di bloccare le spese per la difesa, per l’istruzione superiore e per la ricerca, al fine di raggiungere gli obiettivi di disavanzo proposti dall’Unione europea. La politica fiscale diventa quindi sempre più importante e in Francia si respira aria di crisi economica.

L’allarme della Francia e la distanza della Germania

 

L’Unione Europea ha tagliato le sue previsioni di crescita per la Francia nel 2013 allo 0,1%. Si aprono quindi gli effetti della recessione. Una recessione grave con Markit che prevede una diminuzione della manifattura francese e dei servizi al 42,3 a Febbraio. Un calo serio visto che sotto i 50 si è in contrazione economica.

C’è il rischio di un calo della fiducia, come dice Markit, che potrebbe portare a meno investimenti da parte delle imprese. I motivi di preoccupazione ci sono visto anche che l’M1 a sei mesi, che è un indicatore fondamentale della massa monetaria della Francia, ha avuto negli ultimi mesi una contrazione che è stata più veloce di quella Italia o in Spagna.

Previsioni negative quindi per l’economia della Francia. Il deficit di bilancio dovrebbe essere del 3,6% del Pil.

La Francia ha sforato il bilancio e alla base c’è una certa difficoltà nei rapporti con la Germania. Se la Francia non sta agli accordi europei sulla disciplina economica c’è il rischio che il programma fallisca. Per i ministri dell’economia della Finlandia e della Slovacchia la Francia non deve godere di un trattamento speciale, mentre il Presidente Holland ha detto che vuole arrivare all’obiettivo del 3% il più presto possibile e che vuole evitare di l’austerità. La Francia ha scritto alla Commissione europea che si impegnerà in nuovi tagli per di 2 miliardi di Euro.

La Gran Bretagna perde la Tripla A

Il Regno Unito perde la Tripla A. una notizia a sorpresa che è arrivata da Moody’s Investors Service che ha declassato il credito britannico portandolo da AAA a AA1. Alla base della decisione dell’agenzia di rating Moody’s ci sono le deboli prospettive di crescita economica nel medio termine del Regno Unito. Moody’s ha detto: “Nei prossimi anni la crescita continuerà a mostrarsi debole con ripercussioni sul programma di risanamento dei conti pubblici che si protrarrà anche nella prossima legislatura”.

Moody’s conferma l’outlook negativo sugli Stati Uniti

Dal governo britannico si dicono sorpresi della decisione soprattutto per i tempi. George Osborne, ha detto il declassamento non cambia gli obiettivi del governo per la riduzione del debito. Il premier Cameron aveva parlato di un programma di riduzione del debito fino al 2015. Il partito laburista di opposizione ha parlato di un cambiamento della strategia politica dicendo che è necessario dare maggiore peso alla crescita piuttosto che alla riduzione del deficit.

Le stime diffuse dalla Commissione Europea parlano di un deficit della Gran Bretagna che dovrebbe salire al 7,4% dal 6,3% del 2012.

La situazione di debolezza economica dovrebbe portare la banca centrale britannica a rinforzare il piano di allentamento quantitativo. La scorsa settimana il Monetary Policy Committee della Bank of England ha messo in evidenza l’aumento a tre dei componenti del comitato favorevoli ad aumentare il programma di allentamento quantitativo.

Piazza Affari è crollata

 La tensione accumulata faceva presagire un cambiamento di rotta e dopo i rialzi degli indici che hanno condito la campagna elettorale, arrivati alla prova generale delle elezioni, Piazza Affari ha ceduto. In parte ha contribuito a questo crollo anche l’annuncio della BCE.

Le sfide economiche per l’Italia

Mario Draghi, infatti, ha detto che tra tutti gli stati membri dell’Unione, il più aiutato dall’Europa è stato l’Italia. Wall Street, in attesa di conoscere il nuovo interlocutore italiano, perde terreno, con la preoccupazione che la FED stoppi davvero il piano d’acquisti mensile di un buon numero di Bond.

In Germania tornano a credere nella crescita

Il Dow Jones ha lasciato lo 0,35 per cento sul terreno e il Nasdaq ha perso anche l’1,04 per cento. Lo S&P’s, infine, è calato dello 0,7 per cento. Sui listini europei la situazione non è stata certo più felice visto che gli indici del Vecchio Continente sono stati travolti dalle vendite.

Inflazione e stabilità dei prezzi nel discorso di Draghi

La peggiore performance se l’è aggiudicata Piazza Affari che, complice l’incertezza del risultato elettorale, è arretrata del 3,13 per cento lato Ftse Mib. A condizionare i listini italiani ci cono stati i ribassi delle banche che hanno contribuito anche all’aumento dello spread fino a quota 290 punti.

L’unica Blue Chip positiva è rimasta Parmalat, vista la voce relativa alla possibile maxicedola per gli azionisti. Cresce anche Ti Media, sotto l’onda dell’accordo Telecom-Cairo per La7.

Paura per il lunedì prossimo

 La prossima settimana di scambi s’inaugura all’ombra del risultato delle elezioni politiche nel nostro paese. Anzi, a dire la verità, lunedì non ci saranno ancora i risultati, se non a fine giornata quando, si spera, tutti i seggi avranno concluso le operazioni di spoglio.

Elezioni e ripresa sono indipendenti

Se l’attesa delle elezioni ha generato un clima di forte instabilità nel nostro paese da un mese a questa parte, la tensione salirà alle stelle nell’ultimo giorno che coincide con l’apertura di una nuova settimana finanziaria. In più c’è da considerare che i risultati delle nostre urne faranno luce anche sui prossimi assetti europei. Molti nell’UE temono la rielezione di Berlusconi ma si augurano che sia scelta dagli elettori la soluzione di stabilità.

Le previsioni di Intesa Sanpaolo sulle imprese

Nei salotti buoni della televisione italiana è stato celebrato il matrimonio del PD di Bersani con il centro moderato di Monti, ma al di là della buona possibilità di essere in maggioranza alla Camera, c’è da considerare quel che succederà al Senato. L’ago della bilancia italiana è proprio nella cosiddetta “camera alta”.

A livello finanziario è stato reso noto che l’Italia ha già venduto il 13 per cento dei bond che si aspettava di vendere in un anno, praticamente 24 miliardi di euro su 187. I movimenti più interessanti, quindi, potrebbero essere registrati sui BTp. Questa la previsione dei Saxo Bank.

L’allarme della Francia e la distanza dalla Germania

 I paesi periferici dell’Unione Europea sono stati aiutati dal meccanismo anti-spread organizzato dall’Europa e l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia e l’Irlanda, sono venuti fuori dalla crisi, chi più, chi meno. Adesso però, la crisi fa sentire la sua ultima (si spera) sferzata, sui conti dei paesi considerati più solidi.

L’Italia ottiene più sostegno degli altri

L’ultimo allarme in ordine cronologico arriva dalla Francia che, rispetto alla Germania che continua a crescere, ha inaugurato un trend opposto. Ci si aspettava una crescita motorizzata da queste due nazioni, ma resiste soltanto la filiera tedesca.

Confermata la crisi del settore auto UE

La secondo economia d’Europa accusa qualche colpo. A livello economico sembra che l’austerità fiscale della Germania abbia messo i bastoni tra le ruote al recupero della Francia. A livello politico, poi, dopo l’uscita di scena di Sarkozy, che aveva trovato l’intesa giusta con la Merkel, sembra che adesso ci sia un rapporto Merkel-Hollande, fatto di troppi alti e e bassi.

Sale lo spread per l’incertezza politica

La Francia, a questo punto, è costretta a rivedere al ribasso le stime di crescita. Se anche si pensava ad un miglioramento irrisorio, appena lo 0,8 per cento, bisognerà rivedere anche questo passaggio. La notizia non piace agli analisti che avevano affidato le redini economico-finanziarie dell’Europa, al duo Francia-Germania.

La stagnazione francese apre le porte ad una crisi che valica i confini della politica.

Il promoter non è da considerare un collaboratore

 Il fisco batte cassa e necessariamente si opera una riflessione non confinata alle aliquote contributive, ma anche alle problematiche di natura professionale. Una recente precisazione del Ministero del Lavoro, nel dettaglio, va a mischiare le carte nel mazzo delle associazioni non profit.

Nuove aliquote INPS per la Gestione Separata

E’ stato definito, infatti, che i promoter, i famosi dialogatori, spesso assoldati dalle organizzazioni non profit e dalle Onlus, non possono essere considerati dei collaboratori, per cui i committenti non possono stipulare con loro un contratto di collaborazione coordinata e continuativa oppure un contratto a progetto. Lo stesso discorso, all’interno delle ONLUS, è fatto per coloro che svolgono lavori con finalità socio-assistenziali e sanitarie.

Hollande pronto a riformare il mercato del lavoro

Di recente, sempre rispetto ai contratti a progetto, sono state definite le aliquote INPS. I lavoratori a progetto, iscritti alla Gestione Separata, sono considerati dal settore previdenziale dei parasubordinati.

Mutuo on off per lavoratori a progetto

Fatto salvo questo particolare, l’intento del legislatore è quello di limitare l’uso dei contratti a progetto a tutte quelle attività professionali in cui il lavoro svolto è legato al raggiungimento di un risultato specifico, verificabile e non coincidente con l’oggetto sociale dell’impresa committente.

Questo tipo di chiarimenti, oltre che per i datori di lavoro, sono uno strumenti utile per gli ispettori. I datori di lavoro, quindi dovranno studiare altre forme contrattuali, probabilmente più onerose per l’organizzazione.