Ripresa, i mercati guardano al prossimo trimestre

 In questo momento gli operatori di mercato stanno già guardando al prossimo trimestre, e sui mercati si nota un certo scetticismo sulla sostenibilità della ripresa economica globale alla luce dei segnali di rallentamento negli Stati Uniti e in Cina, della continua pressione sulle valute emergenti e delle crescenti preoccupazioni geopolitiche sulla crisi Ucraina. Il nervosismo è particolarmente acuto, considerato che finora i mercati azionari hanno ignorato i segnali di debolezza lanciati dagli ultimi dati macro.

Consumi, gli italiani tagliano le spese

 Nuovo segnale negativo per i consumi degli italiani, che continuano a contrarsi dopo che si erano avuti alcuni deboli segnali di stabilizzazione facendo vedere come la situazione economica delle famiglie faccia davvero fatica a ritornare su livelli positivi.

Crisi, Emilia Romagna vede uno spiraglio di luce

 Le prospettive per l’economia dell’Emilia-Romagna sembrano soddisfacenti e forse la svolta tanto attesa è in arrivo. La stima del calo del Pil nel 2013 va all’1,5 % e la crescita attesa nel 2014 è lievemente ridotta all’1,0 %, ma si conferma l’uscita dalla recessione.

Vertenza Electrolux al Ministero dello Sviluppo Economico

 Si riavvia la vertenza Electrolux, riprendendo il lavoro sospeso con la crisi di governo. È il primo banco di prova per l’esecutivo Renzi con un caso aziendale caldo con l’incontro fissato al ministero dello Sviluppo economico per ricominciare le trattative.

2013, anno orribile per le aziende italiane

 Il 2013 è stato l’anno più duro della crisi con 111mila chiusure aziendali, il 7,3% in più rispetto al 2012. Lo dicono dati Cerved: male l’industria, crolla il Nord Est. Nel 2013 si è avuto un boom dei concordati preventivi (+103% rispetto all’anno precedente) mentre per quel che riguarda i fallimenti sono stati oltre 14mila, il 12% in più rispetto al 2012.

I mercati finanziari snobbano la crisi Ucraina

 Il dato sull’occupazione Usa riporta la crescita occupazionale US più vicino al trend del 2013, sebbene la distanza con i livelli dello scorso autunno sia ancora significativa. Sembra sensato attendersi un rimbalzo nei prossimi mesi, in quanto l’attenuarsi della morsa del clima potrebbe permettere un accelerazione dell’attività nei settori più impattati.

Tanti i fallimenti e le chiusure per la crisi

 Nel 2013 in Italia ben 111 mila aziende hanno cessato le proprie attività. Fallimenti, procedure non fallimentari e liquidazioni volontarie hanno superato tutti i record negativi degli anni precedenti, totalizzando un 7,3% in più rispetto al 2012.

Sono questi i dati che emergono da un’indagine del Cerved, l’ente specializzato nell’analisi delle imprese e nella valutazione del rischio di credito.

 

Perché le aziende fuggono dall’Italia

 

Più in particolare nell’arco del 2013 i concordati preventivi sono aumentati del 103% rispetto all’anno precedente, mentre i fallimenti hanno toccato quota 14 mila, segnando un +12%  rispetto al massimo storico, registrato nel 2012.

Il fenomeno ha coinvolto anche segmenti o distretti produttivi che nel 2012 avevano dato sia pur lievi segni di ripresa, come è il caso del settore industriale (fallimenti in calo del 4,5% nel 2012 rispetto al 2011, mentre nel 2013 sono in aumento del 12,9% sul 2012) e dell’area del Nord Est (da  -3,6% di chiusure tra 2011 e 2012 a una crescita del 19,7%).

Le procedure concorsuali non fallimentari hanno raggiunto il numero di tremila (il massimo da oltre un decennio) con il 53,8% in più rispetto al 2012.

Record negativo anche nel settore delle liquidazioni volontarie che, nell’anno di riferimento, hanno coinvolto 94 mila aziende, ossia il 5,6% in più rispetto all’anno precedente,

Quanto alla distribuzione regionale, nel Nord i fallimenti sono notevolmente aumentati in Emilia Romagna (+25%), in Trentino Alto Adige (+21%), in Veneto (+16%), in Friuli (+14%),in Lombardia (12%): in coda il Piemonte con un modesto + 2% . Al Centro i maggiori incrementi di fallimenti si segnalano in Toscana (+18%) e nel Lazio (+13%), mentre nel Mezzogiorno il picco maggiore si registra in Sicilia (+27%).

I fallimenti risultano in calo solo in Liguria (-8%) e in Valle d’Aosta.

L’impatto della crisi dei Paesi emergenti sull’economia globale

 Le economie dei Paesi più sviluppati sono meno resistenti alle scosse dei mercati emergenti di quanto non fossero nel 1990, quando le crisi in Thailandia e in Russia hanno scosso gli investitori senza innescare una recessione globale.

Questi dati si riferiscono a uno studio con un report di 81 pagine pubblicato il 5 marzo dagli economisti di Morgan Stanley. Si stima un crollo in stile 1990 della domanda dei mercati emergenti che creerebbe una resistenza media dell’1,4% per i quattro trimestri sulla crescita degli Stati Uniti, mentre l’area dell’euro e il Giappone probabilmente saranno in recessione.

 

Crisi paesi emergenti, il ruolo delle Banche Centrali

 

I motivi della maggiore vulnerabilità includono il fatto che i mercati in via di sviluppo, e in particolare la Cina, hanno ora un impatto più forte sulla economia del mondo per gli approvvigionamento e il commercio. Le economie emergenti rappresentano circa la metà del prodotto interno lordo globale rispetto al 37% del 1997-1998.

Le economie sviluppate sono anche più esposte alle loro controparti più piccole per le esportazioni, le entrate societarie e bancarie e ciè significa che sono più deboli di oltre due decenni fa.

La Federal Reserve e la Banca del Giappone probabilmente risponderebbero con l’allentamento della politica monetaria, abbassando i prezzi delle materie prime e di conseguenza dei rendimenti obbligazionari. Ciò aiuta a rilanciare la crescita , anche se la ripresa sarebbe debole.

Lo studio si basa su uno scenario in cui le importazioni dai mercati emergenti sono in caduta del 15% per due trimestri, le condizioni finanziarie si deteriorano come negli anni 1990 e i prezzi delle materie prime declinano con il costo del petrolio a circa 80 dollari al barile.

I mercati azionari europei sarebbero i più penalizzati visto che le aziende hanno derivato dal 65% all’80% della loro crescita del fatturato proveniente dai mercati emergenti negli ultimi anni.