Cosa fa e quanto guadagna un Proposal Engineer

 Nella disamina delle figura manageriali che saranno più richieste da adesso ai primi mesi del 2014, la Michael Page, società di recruitment specializzata nella ricerca di figure manageriali di alto e medio livello, c’è anche il Proposal Engineer, una professionalità molto richiesta soprattutto dalle aziende che lavorano su commessa, ossia delle aziende che non hanno una produzione in serie, ma lavorano su progetti che sono spesso irripetibili e che durano per molti anni.

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Cosa fa il Proposal Engineer

Il Proposal Engineer è una figura chiave per la scelta dei progetti da realizzare. La sua attività, infatti, consiste nello studio e nell’analisi delle proposte fatte.

Una tale figura manageriale si caratterizza per la velocità dei suoi processi decisionali: il Proposal Engineer deve capire i tempi stretti i costi e i benefici di eventuali progetti proposti o della partecipazione alle gare di appalto.

Per farlo, il Proposal Engineer analizza e studia i dossier delle gare d’appalto e i documenti contrattuali riguardanti le operazioni da valutare; è i grado di fare dei preventivi – su progetto o sul campo – con relativi costi da sostenere per la realizzazione, è in stretto contatto con fornitori e subappaltatori per studiare le soluzioni più efficaci e più convenienti per presentare offerte competitive, sia a livello economico che strutturale.

Il Proposal Engineer è una figura centrale per lo sviluppo di un’azienda che lavora su commessa, in quanto fa da tramite tra il cliente e il responsabile commerciale o il Project Director dell’azienda.

Quanto guadagna il Proposal Engineer

La retribuzione annuale di un Proposal Engineer va dai 40/50 mila euro fino ai 70.000. La differenza, come accade per tutte le figure manageriali, la fanno gli anni di esperienza.

Cosa fa e quanto guadagna un Export Manager

 La crisi economica ha messo in ginocchio molte aziende, sia in Italia che all’estero. Soprattutto nel nostro paese, sono stati tanti gli imprenditori che non ce l’hanno fatta e che hanno chiuso bottega prima di poter vedere i primi segnali di ripresa dell’economia mondiale. Per chi ha tenuto duro ed è ancora sul mercato, l’esigenza primaria di questo momento è di trovare delle figure professionali che abbiano le competenze per andare oltre la crisi pur non avendo molte risorse a disposizione.

Secondo Michael Page, grande società di recruitment specializzata in figure manageriali presente anche in Italia, tra le fine del 2013 e l’inizio del 2014 le aziende italiane cercheranno molti Export Manager, ossia persone che siano in grado di accrescere la presenza aziendale sui mercati esteri.

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Cosa fa l’ Export Manager

Il compito dell’ Export Manager è quello di accrescere il fatturato aziendale proveniente dai mercati esteri.

Per farlo, oltre alla conoscenza della lingua straniere usata nel paese, o nei paesi, di sua competenza, deve conoscere anche i mercati di quei paesi e quali sono i possibili concorrenti. Inoltre, in qualità di export manager, questa figura professionale deve anche essere in grado di interpretare i segnali dei mercati e provvedere a pianificare i giusti interventi e l’offerta migliore.

Gli Export Manager migliori, sono quelli che sono in grado di attuare delle partnership con le aziende locali al fine di un ulteriore sviluppo dell’azienda.

Quanto guadagna l’ Export Manager

La retribuzione di un Export Manager, al netto di eventuali bonus previsti dal contratto, va dai 45.000 euro all’anno per un manager con 5 anni di esperienza. La retribuzione cresce proporzionalmente all’esperienza, fino a raggiungere gli 80.000 annui.

Cosa fa e quanto guadagna uno Chief Technology Officer

 Se un’azienda è in crisi, come accade a molte delle aziende italiane ed europee in questi ultimi tempi, le scelte che rimangono all’imprenditore sono due: chiudere battenti ed evitare ogni possibile rischio, oppure resistere e investire, magari su una figura professionale che sia in grado di trovare la strategia giusta al rilancio dell’azienda.

Tra le varie figure professionali che sono state individuate dalla Michael Page, società di recruitment specializzata nella ricerca e nella collocazione di figure manageriali di medio ed alto livello, come le più adatte – e anche le più ricercate dalle aziende in crisi – c’è il CTO, ossia lo Chief Technology Officer.

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Cosa fa lo Chief Technology Officer

Uno Chief Technology Officer è specializzato in nuove tecnologie. Il suo lavoro consiste nel trovare le soluzioni tecnologiche migliori per la creazione, produzione e commercializzazione dei prodotti o dei servizi aziendali.

Conosce sia le tecnologie software che quelle hardware e, per fare al meglio il suo lavoro, deve anche saper gestire le figure professionali che di questo si occupano, in modo da farle lavorare in sinergia e fare in modo che le soluzioni trovate siano sempre funzionanti ed efficienti.

Uno Chief Technology Officer si occupa, infatti, di tutto il processo: dai progetti di sviluppo informatico dell’azienda, alla supervisione delle attività di mantenimento dei sistemi e dell’apparato infrastrutturale dell’azienda.

Quanto guadagna uno Chief Technology Officer

Le competenze necessarie allo svolgimento delle attività quotidiane di uno Chief Technology Officer, fanno sì che questa figura professionale possa ambire a retribuzioni che vanno dai 50.000 ai 90.000 euro all’anno, in base agli anni di esperienza accumulati.

Cosa fa e quanto guadagna un E-commerce Manager

 Come dice il nome stesso, un E-commerce manager è specializzato nelle vendite on line dei prodotti o dei servizi dell’azienda. Per ricoprire un tale ruolo, è necessario avere delle competenze e delle capacità trasversali, che vanno dalla conoscenza delle strategie di marketing, sia quelle tradizionali che quelle che si applicano all’e-commerce, del mondo del web come anche dei mercati in generale.

Le aziende in crisi, come ha riportato la società di recruitment manageriale Michael Page, sono alla ricerca di figure che possano implementare gli affari: il settore dell’e-commerce, grazie alle sue caratteristiche peculiari, è una delle strade principali che le aziende stanno intraprendendo per raggiungere un bacino sempre più ampio di potenziali clienti.

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Cosa fa l’E-commerce Manager

L’E-commerce manager, quindi, deve essere in grado di approntare l’offerta on line dell’azienda dopo aver analizzato e studiato i concorrenti. Il suo obiettivo, naturalmente, è quello di aumentare il fatturato dell’e-commerce, e per farlo deve occuparsi di: preparazione e aggiornamento del catalogo di vendita on line, monitoraggio degli stock, dei prezzi e dei concorrenti. Inoltre, un E-commerce manager deve conoscere anche le strategie di posizionamento e di engagment, al fine di aumentare il più possibile il traffico on line.

Quanto guadagna un E-commerce manager

Competenze trasversali e formazione continua sono le caratteristiche richieste dalle aziende agli E-commerce manager, che vengono misurate in base agli anni di esperienza pregressa: per un E-commerce manager con 5/9 anni di esperienza, le aziende offrono dai 45.000 agli 80.000 euro, che arrivano anche fino a 100.000 per manager con più di 12 anni di esperienza.

Cosa fa e quanto guadagna un Lean Manager

 Le aziende dell’Eurozona, nonostante l’Ocse abbia detto che l’Europa sta iniziando ad uscire dalla crisi, sono sull’orlo del precipizio. Per questo, gli imprenditori si sono messi alla ricerca di figure manageriali che possano trovare le soluzioni più adatte per il rilancio delle aziende anche con i pochi capitali e le poche risorse a disposizione.

Tra queste figure professionali, come mostra la ricerca della società di recruitment Michael Page, specializzata nella ricerca di figure manageriali di medio ed alto livello, ci sono i Lean Manager, una figura professionale specializzata nella gestione e massimizzazione delle risorse.

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Cosa fa il Lean Manager

Il compito primario di ogni Lean Manager è quello di eliminare gli sprechi aziendali, che possono derivare da sia da una cattiva gestione delle risorse economiche che di quelle umane.

Il Lean Manager lavora a stretto contatto con i dipendenti delle aziende e, insieme a loro, analizza i processi produttivi alla ricerca di eventuali falle nel sistema che portano ad inutili sprechi. Inoltre, questa figura manageriale si occupa anche dell’armonizzazione dei flussi di materiali, allo scopo di ridurre le scorte e dei costi di produzione e aumentare le performance di produzione.

Quanto guadagna un Lean Manager

Come specificato anche dalla ricerca di Michael Page, la retribuzione della figure manageriali cambia in base all’esperienza pregressa. Nel caso di un Lean Manager, la retribuzione media annuale, senza conteggiare eventuali bonus, parte da una base di 50.000/60.000 euro all’anno per un manager con 3 o 5 anni di esperienza.

Oltre i 5 anni, la retribuzione cresce in modo proporzionale.

Arriva l’accordo tra Confindustria e sindacati per la crescita

Le stime dell’ Ocse sul Prodotto Interno Lordo italiano per il quarto trimestre 2013

Dagli osservatori internazionali come l’ Ocse arrivano stime negative in merito alla futura crescita del Prodotto Interno Lordo Italiano, ovvero quello del quarto trimestre 2013. E’ prevista, infatti, una sua contrazione dell’ 1,8% entro fine anno. 

Il PIL italiano calerà dell’1,8% nel 2013 secondo l’Ocse

L’ economia europea sembra aver imboccato una fase di ripresa e di crescita, annunciata da molti segnali positivi che sono oggi sotto osservazione da parte degli addetti ai lavori.

Anche per l’Eurostat l’Eurozona è fuori dalla recessione

Dall’ ambiente internazionale però non arrivano buone notizie per la futura ripresa economica dell’ Italia. L’ Ocse ha infatti previsto che nel corso del 2013 il Prodotto Interno Lordo Italiano subirà una ulteriore contrazione dell’ 1,8%.

In Italia scompare il posto fisso e aumentano i precari

Il calo dei contratti di lavoro a tempo indeterminato

Gli ultimi dati Istat hanno presentato una nuova composizione del mercato del lavoro italiano. All’ interno del panorama italiano, infatti, sono sempre meno i lavoratori che sono inquadrati attraverso un contratto di lavoro indeterminato a tempo pieno, il cosiddetto standard.

La Cina cresce ma chiudono le fabbriche

 La Cina è talmente grande da essere “naturalmente” contraddittoria. La crescita del paese, dopo l’annuncio del rallentamento dell’economia nel suo complesso, è ripresa, ma questo non ha dato entusiasmo e vigore al governo che ha studiato un modo per evitare nuovamente la sovraccapacità produttiva.

Dalla Cina all’Europa senza Suez

I dati sulla crescita cinese sono chiari e si evincono dalla pubblicazione dell’indice PMI manifatturiero. Questo indicatore, nel giro di sedici mesi, si è riportato oltre la soglia dei 50 punti, fino a 51 punti. Superare la soglia dei 50, tanto per essere chiari, vuol dire avere un’economia in fase di espansione.

La crisi economica, però, è ancora uno spauracchio da archiviare e Pechino ha deciso di evitare brutte sorprese, per esempio la sovraccapacità produttiva. Con tutta l’autorità che gli è “riconosciuta”, allora, il Governo cinese ha pensato di ordinare la chiusura di 1300 fabbriche. 

La produzione del petrolio favorisce la Cina

I segnali positivi che arrivano dal paese fino ai mercati asiatici ed internazionali, sono stati così annichiliti. E’ sicuramente finito il periodo in cui si restava in allerta per il timore della crisi ma le sofferenze in termini di liquidità, non fanno dormire sonni tranquilli ai cinesi. Il rallentamento c’è e nel 2013 l’economia cinese crescerà soltanto al ritmo del 7 per cento. Forse, però, questo è il ritmo giusto per evitare future crisi.

In consumatori tornano a credere nell’Italia

 La ripresa tocca costruirla giorno per giorno con l’impegno della politica, della finanza, dei singoli lavoratori e delle istituzioni, ma nella ripresa tocca anche crederci e gli italiani sembrano essere tornati di buon umore. A certificare questo incremento dell’indice di fiducia è l’ISTAT che ha già dato una buona notizia al paese: a luglio retribuzioni in aumento più dell’inflazione.

Ad agosto il clima di fiducia espresso dai consumatori è cresciuto dal 97,4 al 98,3. Una crescita registrata soltanto nell’arco di un mese. In questo genere d’indagini si chiede alla popolazione se ha avuto un miglioramento del quadro economico e del quadro personale. La stessa ricerca è poi svolta tra le imprese e si chiede loro che sono maggiormente fiduciose nel futuro del paese.

Italiani dediti al risparmio

A luglio la situazione è molto buona visto che la fiducia nel miglioramento del quadro personale è spassata dal 98,7 al 98,9, ma tutti sono fermamente convinti che sia migliorato e migliorerà ancora il quadro economico. In questo caso specifico l’indice è passato dal 94,8 al 97,6. Per quanto riguarda le imprese diremo sinteticamente che la loro fiducia è arrivata al livello massimo mai registrato da agosto del 2012.

A livello territoriale permangono tuttavia delle differenze visto che la fiducia migliora molto al Nord Ovest, al Nord Est e al Centro ma non si crede più nella ripresa nel Mezzogiorno d’Italia.