Banca Mondiale taglia stime crescita PIL

 Ieri sera la Banca Mondiale ha pubblicato il bollettino Global Economic Prospects, nel quale fa un’inversione di marcia e taglia le stime di crescita del PIL.

La causa di questo pessimismo sta nel fatto che, anche se il periodo peggiore della crisi economica mondiale iniziata nel 2008 sembra avviarsi verso la fine, il percorso per il risanamento dell’economia e per il ritorno ad una situazione di normalità è ancora lungo e pieno di insidie.

Fitch taglia l e stime di crescita dell’economia mondiale

Il Global Economic Prospects parla di un PIL che è cresciuto del 2,3% nel 2012, stessa percentuale che si stima anche per l’anno in corso, precedentemente definita al 3%. Il tasso di crescita del PIL dovrebbe iniziare a risalire a partire dal 2014, anno per il quale la previsione è del +3,1%, e nel 2015 con un +3,3%.

Obama preoccupato per il rischio default

A preoccupare di più la Banca Mondiale, oltre al generale rallentamento dell’economia, c’è anche il problema del debito pubblico americano. Se non si arriva all’accordo una delle maggiori economie mondiali collasserebbe, portando delle enormi conseguenze per tutti gli altri paesi.

La crisi economica europea nel 2013

Oltre all’economia americana, le preoccupazioni della Banca Mondiale sono rivolte anche alla situazione cinese, zona in cui si potrebbe verificare un rallentamento degli investimenti, e il problema dei paesi produttori di petrolio, i quali potrebbero interrompere le forniture.

Nuovo massimo storico debito pubblico

 I dati sul debito pubblico nel mese di novembre mostrano come si sia registrato un nuovo massimo storico. Il debito pubblico italiano è arrivato a 2 mila 020,7 miliardi di Euro. L’aumento rispetto al mese precedente è di 6 miliardi.

Nel supplemento al bollettino statistico di Finanza Pubblica della Banca d’Italia si afferma che questo aumento del debito pubblico è dovuto soprattutto al fabbisogno che è pari a 4,4 miliardi. La Banca d’Italia parla anche degli effetti degli scarti di emissione e dell’andamento del cambio che sono pari a 0,7 miliardi di Euro.

► Record del debito pubblico italiano

I dati di dicembre dovrebbero riportare il debito pubblico sotto i 2 miliardi di Euro, visto l’avanzo del settore statale e il decumulo della liquidità del Tesoro.

I dati dei primi undici mesi dell’anno mostrano un aumento del debito pubblico di 113,9 miliardi di Euro che è dovuto soprattutto al fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche all’incremento delle attività del Tesoro presso la Banca d’Italia e all’emissione di titoli sotto la pari. Anche il sostegno ai Paesi dell’Eurozona in difficoltà, che comprende la quota di prestito che l’Italia ha erogato, ha influito su questa crescita.

► Ue chiede all’Italia di estinguere il debito

C’è poi il fatto che le entrate fiscali sono aumentate a novembre del 3,3% e che in generale sono aumentate nel confronto con l’anno precedente del 3,1%.

Bernanke interviene su tetto del debito americano

 Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, appena conclusa la conferenza stampa di Barack Obama, ha voluto ribadire i concetti espressi dal presidente americano: il tetto del debito deve essere alzato, e questo deve essere fatto in tempi ristretti, altrimenti ci sarà il crollo dell’economia del paese.

Il suo appello è rivolto soprattutto a quella fascia di resistenza repubblicana che osteggia apertamente le decisioni del presidente, ma che, per un gioco politico, rischia di mettere a repentaglio le sorti dell’intero paese.

► Obama preoccupato per il rischio default

Per Bernanke, se l’accordo non viene raggiunto, il default si verificherà alla fine di febbraio o, al massimo, all’inizio del mese di marzo.

Bisogna agire il prima possibile per evitare di mettere a rischio gli 80 milioni di spese mensili per Previdenza, Sanità, sussidi di disoccupazione e stipendi di militari.

► Cosa succede se il tetto del debito americano non verrà alzato

Ribadendo anche che non si devono ripetere gli errori de 2011, quando il rating del paese fu abbassato a causa della lentezza nell’evitare il default.

Bernanke ammonisce: il tunnel fiscale americano non è ancora terminato e saranno ancora molti gli ostacoli che si presenteranno sul cammino del risanamento economico americano, smentendo anche le voci sulla fine del programma di acquisto dei titoli (85 miliardi di dollari al mese).

 

Scatta il tira e molla sui debiti tra UE ed Irlanda

 L’Irlanda è stata a lungo considerata uno stato esemplare nella storia europea visto che ha trovato la soluzione per uscire dalla crisi rinunciando alla moneta unica e riuscendo quindi, in un secondo momento, a restituire le somme prese in prestito.

► Sfida Irlanda – Ue su debiti bancari

In questi giorni il paese torna sulle prime pagine dei quotidiani finanziari in virtù di una diatriba intrapresa con l’Unione Europea.

Il governo irlandese, in questo momento ha raggiunto la poltrona della presidenza dell’Unione Europea ed è intenzionato a convincere tutti gli stati membri della necessità di alleggerire i debiti bancari che il paese ha dovuto contrarre in questo momento di crisi finanziaria.

► Banche in crescita dopo Basilea III

Herman Van Rompuy, che presiede il Consiglio Europeo ha dimostrato in modo indiretto di essere d’accordo con il tentativo che sta compiendo l’Irlanda, ma gli stati membri, adesso, sono troppo presi dalla famosa questione dell’unità bancaria.

La BCE, tanto per riepilogare la questione, nel 2010 ha prestato ben 32 miliardi di euro all’Irlanda in modo che il paese potesse procedere con la ricapitalizzazione delle banche, l’AIB e la Bank of Ireland. In quel periodo, però, l’Europa non aveva ancora un fondo cui attingere per salvare le banche e quindi adesso, l’Irlanda si trova a chiedere una modifica del piano di restituzione del debito sottoscritto.

Secondo il ministro irlandese Kenny, i negoziati cono in corso e sembra che si possa contare sull’aiuto dell’Europa.

Sulla moneta di platino USA interviene anche MMT

 Si è diffusa la voce che una soluzione bizzarra ma plausibile per il debito americano fosse nella coniazione di una supermoneta, un superdollaro di platino dal valore di 1000 miliardi che gli Stati Uniti potrebbero usare in funzione anti-default.

► Soluzione al default USA

Praticamente ne parlano tutti e già s’immagina il presidente Obama alla FED per il deposito ufficiale del superdollaro. Peccato che molti vedano in questo gesto e in questa soluzione soltanto la base per un periodo di iperinflazione.

In realtà i primi due effetti che avrebbe la moneta di platino sarebbero una vendita di bond da parte delle banche private e poi la rimozione degli interessi passivi con effetto deflazionistico.

► Diminuzione inflazione 2013

La MMT è intervenuta sull’argomento spiegando la differenza tra tecnica e pratica. Tecnicamente è possibile e conferma che la FED non fa altro che monetizzare il deficit. Molti pensano che lo abbia già fatto con il Quantitative Easing che è un duration trade, ma non si basa sulla monetizzazione.

Il rialzo dei prezzi degli asset sarebbe immediato con un impatto inflazionistico molto importante, mentre non è assolutamente vero il discorso legato all’iperinflazione. Infatti l’inflazione si produce soltanto in presenza di un eccesso di spesa. La moneta di platino sarebbe soltanto un quantitative easing di minore entità e durata.

AIG farà causa al governo americano?

 Il ringraziamento di AIG per i 182 miliardi di dollari ricevuti dal governo americano – che l’hanno salvata da un sicuro fallimento – dopo la crisi dei mutui subprime del 2008 è una causa per un risarcimento di 25 miliardi di dollari.

► Altri guai per Obama: le compagnie assicurative aumentano i prezzi

La proposta di fare causa al governo americano, che ha già richiesto un rimborso dalle banche per i mutui immobiliari,  è stata fatta nel 2011 da Hank Greenberg, ex-a.d. della Aig ora alla guida della società Starr International – tra i principali azionisti della compagnia assicurativa – perché i termini per il rimborso del pacchetto di aiuti ricevuti sono troppo onerosi (in effetti, il tasso di interesse sul debito è del 14%) e anche perché il governo Usa ha ricavato un profitto di circa 22 miliardi di dollari con la vendita delle azioni dell’Aig ricevute durante la parziale nazionalizzazione della società.

► Assicurazioni nel mirino dell’Antitrust

In questo modo il governo, secondo l’accusa di Greenberg, avrebbe favorito i  colossi di Wall Strett, primo fra tutti Goldman Sachs, a discapito degli azionisti della AIG.

In questi giorni la proposta di Greenberg verrà vagliata dal consiglio di amministrazione di AIG. Dalla Casa bianca ancora nessun commento, ma dalla FED fanno sapere che il pacchetto di aiuti e le relative modalità di restituzione del debito, sono state il frutto di una scelta comune tra le due parti. Anche perché, se non fossero stati emessi, la AIG non avrebbe avuto nessuna via di fuga dal fallimento certo.

Il problema è che il cda della AIG deve per forza di cose prendere in considerazione la possibilità di fare causa al governo insieme ai suoi azionisti, che, in caso di esito positivo della loro causa contro il governo, potrebbero continuare la loro azione legale anche contro la compagnia stessa.

Il debito della sanità pubblica

La Sanità italiana ha un debito di dimensioni enormi nei confronti dei suoi fornitori. secondo i dati della Cgia di Mestre, dovrebbe aggirarsi intorno ai 40 miliardi di euro.

Un debito che deriva dall’acquisto di beni e servizi (apparecchiature mediche, siringhe, lavanderia, pasti etc) che è stato conteggiato grazie ai piani di rientro dal disavanzo sanitario organizzati dal ministero della Salute, ma ai quali mancano ancora dei numeri di alcune regioni che, anche se obbligate alla comunicazione, ancora non hanno passati gli ultimi aggiornamenti.

Secondo la Cgia, nel 2011 il debito della sanità pubblica nei confronti dei fornitori privati ammontava a 18 miliardi di lire, un numero che però non considera i debiti di alcune regioni. Per un calcolo più preciso, quindi, ci si è riferiti all’andamento del debito del 2010 e le stime risultanti parlano di pagamenti da effettuare per 37 miliardi di euro.

Ma il problema non è solo il mancato trasferimento di queste cifre, ma i tempi necessari perché questo avvenga. Infatti, nonostante il recepimento della direttiva europea che impone pagamenti al massimo a 60 giorni, le strutture sanitarie italiane hanno un tempo medio di pagamento di 300 giorni.

E la situazione non sembra volgere per il meglio, a causa dell’estensione del Patto di Stabilità che irrigidisce i criteri per i bilanci dei comuni, anche di quelli più piccoli, rendendo ancora più difficile per le amministrazioni locali rispettare i tempi di pagamento.

 

La tendenza europea sull’emissione di titoli di stato

 I titoli di stato servono ai paesi dell’Europa e non solo, per vendere quote del debito pubblico in modo da dilazionarne il pagamento negli anni. In genere gli stati che emettono titoli a breve termine in grandi quantità, hanno bisogno di liquidità.

Sognare titoli di stato di lunga durata, mettiamo anche 15 e 30 anni, vuol dire avere il coniglio nel cappello, la soluzione alla crisi, aver trovato un modo per assicurare la governabilità del paese. I titoli a 10 anni, invece sono generalmente indicati per capire il sentiment di uno stato e pesare l’influenza della situazione politica su quella finanziaria ed economica.

L’Italia ha archiviato di recente le ultime due aste dell’anno e sogna di poterne fare di  nuove dedicandosi ai BTp di lungo periodo, ma in Europa la pensano tutti allo stesso modo? Praticamente sì. Soltanto l’Italia si era concentrata sui titoli più brevi ed ora pensa a ridurre lo stock di quest’ultimi lasciando spazio ai titoli a medio e lungo termine.

Anche per Spagna e Francia, si può fare un discorso analogo. Madrid ha ridotto i titoli di stato in asta con scadenza oltre i 10 anni. Oggi i Bonos a 2 e 3 anni sono il 46 per cento del totale. Gli OaT francesi con scadenze superiori ai 10 anni sono stati ridotti nelle aste del 2012 passando dal 15 all’11 per cento del totale.

Soltanto la Germania, nel periodo 2008-2011 ha visto aumentare i titoli di stato di medio e lungo termine.

BTp di lungo periodo se le condizioni migliorano

 L’ultima asta dei BTp italiani ha dato la possibilità al governo, agli italiani e agli investitori di riflettere sulla situazione politica dei paesi dell’Eurozona. Molti titoli, per esempio i BTp decennali, sono molto sensibili rispetto alla politica dei paesi.

Basta pensare ai BTp decennali italiani che hanno ingolosito sicuramente gli investitori dimostrando almeno due cose: che l’Italia è più affidabile rispetto a due anni fa, tanto che l’interesse su questi strumenti d’investimento è maggiore; che è giusto usare i titoli decennali per il calcolo dello spread.

Ma non basta. L’interesse rinnovato per i BTp con scadenza più lunga, ha fatto riflettere il Tesoro italiano sull’opportunità di mettere nel calendario delle aste dell’anno prossimo dei BTp ancora più lunghi, per esempio a 15 o addirittura con scadenza a 30 anni.

La situazione dell’Eurozona, confermandosi positiva, consolidata dalle prossime elezioni politiche che potrebbero allontanare il concetto di ingovernabilità, potrebbe giustificare investimenti di lungo periodo. Questo vuol dire che si prevede una nuova crescita del PIL, una situazione economica e finanziaria sicuramente migliore.

Resta soltanto un piccolo problema: se l’Italia continua ad emettere titoli, anche di lungo periodo, con 410 miliardi di euro all’asta sotto forma di BTp di diverso taglio, si conferma al primo posto tra i paesi che emettono titoli del debito pubblico nell’Eurozona. Sotto il profilo della gestione del bilancio non si tratta di una buona notizia.

Il bilancio ragionato dell’ultima asta BTp

 Si è conclusa anche l’ultima asta dell’anno per i titoli di stato italiani e con piacere si conferma che il tanto atteso rialzo dei tassi non c’è stato. Sembrava quasi che si fosse tornati indietro nel tempo fino al 2010, tanto era stata positiva la discesa dei rendimenti dei nostri BTp.

Nel dettaglio sono stati collocati 5,88 miliardi di euro di titoli di stato ripartiti in BTp a 5 anni per 2,871 miliardi di euro. Il loro rendimento è di 3,26%, ma nella precedente asta si era poco al di sotto di questa soglia visto che i rendimenti erano al 3,23 per cento.

La domanda di BTp a 5 anni è stata di 1,29 volte superiore all’importo offerto.

Torna all’asta anche il BTp a 10 anni, il titolo usato per calcolare lo spread, considerato il titolo più sensibile rispetto ai cambiamenti della politica nazionale e sovranazionale. Sono stati collocati circa 3 miliardi di euro in BTp decennali per un rendimento del 4,48%. Anche in questo caso c’è stato un lieve rialzo dal 4,45% dell’asta precedente.

La domanda di BTp decennali è stata di 1,47 volte superiore all’importo offerto. La chiusura è dunque sui livelli minimi dell’anno e si deve dire grazie soprattutto all’intervento della BCE che ha “giurato” di salvare l’euro e l’Italia stessa. Da luglio i rendimenti sono scesi di circa 2 punti percentuali.