Dalla Cina all’Europa senza Suez

 Le tratte commerciali che dalla Cina portano all’Europa, in genere, transitano per il canale di Suez. Una rotta, con passaggio a sud che sembra molto tranquilla e poco pericolosa per le navi con carichi commerciali molto importanti. Eppure c’è qualcuno che ha deciso di tentare il famoso passaggio a nord-est che per via del riscaldamento globale, non è più pericoloso come una volta.

L’Eurozona è fuori dalla recessione

Si tratta di una “prima volta”. La nave commerciale che dalla Cina sta raggiungendo l’Olanda, senza transitare per il canale di Suez, è una vera novità. Se l’operazione andasse a buon fine e fosse replicata prima dell’inverno, sarebbe senz’altro rivoluzionaria. La nave di cui parliamo è la mercantile Yong Sheng ed è diretta a Rotterdam. E’ partita l’8 agosto da Dalian che si trova a nord della Cina e dovrebbe arrivare l’11 settembre in Europa.

La produzione del petrolio favorisce la Cina

Il passaggio a nord-est consiste nell’attraversamento dello stretto di Bering che si trova tra la Russia e l’Alaska. Questa rotta, finora, è stata poco gettonata perché il territorio è pieno di iceberg, mai l riscaldamento globale ha determinato l’incremento della temperatura delle zone polari con la conseguente assenza di iceberg per alcuni mesi durante l’anno.

Il passaggio a nord-est potrebbe essere la soluzione ideale per le rotte commerciali tra luglio e novembre.

 

La produzione del petrolio favorisce la Cina

 La Cina, in questo momento, ha superato gli Stati Uniti per quanto riguarda la produzione di petrolio. La competizione tra Cina e USA, ormai, è proverbiale, soprattutto in periodo di crisi economica. La Cina ha rallentato la produzione ma resta un caposaldo dell’economia internazionale.

Quello che attualmente si evince dai dati disponibili è che la produzione americana di petrolio crescerà ancora. Il periodo di riferimento usato per fare la stima è quello iniziato nel 2011 che si concluderà soltanto nel 2014. La crescita di cui si parla porterà la produzione di petrolio a 13 milioni di barili al giorno.

Pechino ridona fiducia alle borse europee

Sul versante cinese, invece, la produzione dell’oro nero crescerà ancora del 6 per cento e arriverà ad un uso di 11 milioni di barili al giorno. La domanda di petrolio che invece si registra negli USA è di 18,7 milioni di barili al giorno. Le statistiche che tengono a mente quel che è successo negli anni scorsi, dicono che siamo abbondantemente sotto il picco USA di 20,8 milioni di barili del 2005.

Il petrolio cresce per colpa dell’Egitto

In prospettiva, quindi, dal prossimo ottobre, la Cina potrebbe diventare il primo importante netto di petrolio, andando ad occupare il posto su cui oggi siedono gli Stati Uniti. La stima è stata realizzata dall’Eia, l’ufficio informazione del dipartimento energetico statunitense.

L’incremento della domanda cinese e l’aumento della produzione di petrolio da parte degli Stati Uniti, sanno alla base di questo cambiamento.

La liberalizzazione delle banche cinesi

 La Cina è per moltissimi aspetti sotto i riflettori finanziari. Sicuramente colpisce il rallentamento produttivo del colosso asiatico ma di recente la discussione si è infiammata riguardo la liberalizzazione che ha coinvolto gli istituti di credito cinesi.

La banca più potente in Europa

Riassumendo: fino alla settimana scorsa le banche cinesi non potevo oltrepassare una soglia minima nella definizione dei tassi d’interesse, adesso invece, potranno scegliere il tasso che vogliono. La liberalizzazione del sistema dei tassi delle banche cinesi dovrebbe così aumentare la competizione tra gli istituti di credito, con il conseguente aumento della domanda di mutui e prestiti. Un movimento che è esattamente opposto a quello che si verifica nel nostro paese dove nonostante il credit crunch, la pressione sul sistema creditizio tricolore non diminuisce.

La liberalizzazione delle banche cinesi è da considerarsi un ulteriore passo avanti verso la decostruzione dello statalismo orientale. I vantaggi ricadranno sia sulle banche che potranno tornare ad essere competitive, sia sulle famiglie e sulle imprese che vedranno i costi di mutui e prestiti notevolmente ribassati.

Il credit crunch cinese non piace all’Europa

L’Italia non è ancora pronta per seguire il modello cinese perché la stretta del credito è troppo pesante. Basta far riferimento all’ultimo rapporto ABI in cui si spiega che a giugno c’è stato un altro calo del 3 per cento circa dei prestiti concessi dalle banche.

Pechino ridona fiducia alle borse europee

 Dalla Cina arriva una dichiarazione del primo ministro che sembra ridare fiducia agli investitori facendo schizzare in alto gli indici del Vecchio Continente. Il primo ministro cinese, infatti, ha spiegato che per il suo paese, nonostante il rallentamento dell’economia, non è accettabile una crescita del prodotto interno lordo inferiore al 7 per cento.

E’ bastata questa dichiarazione per dare fiducia alle borse. La piazza di Tokyo, per esempio, ha recuperato lo 0,8 per cento e anche le borse europee hanno avviato la settimana di contrattazioni in terreno positivo. A far ben sperare per il mese in corso c’è la performance dei titoli Tlc. Un po’ di movimento, infatti, si registra attorno a Telefonica e Vivendi.

Per quanto riguarda l’Italia – e così si completa il giro – lo spread resta intorno ai 275 punti. L’allontanamento dalla pericolosa quota 300 si deve in modo particolare all’alleggerimento della tensione sul Portogallo. La crisi politica, infatti, aveva messo in allarme i mercati ma adesso tutto è tornato entro i ranghi: il governo portoghese resiste alle pressioni.

Qualche novità arriva anche dal mercato valutario dove si nota che il dollaro perde quota nonostante l’andamento positivo di Wall Street. L’euro resta stabile al di sotto dell’1,32. Per quanto riguarda le materie prime, petrolio e oro vanno molto bene e sono ai livelli massimi degli ultimi giorni.

Previsioni e borse legate alla Cina

 Il rallentamento dell’economia cinese era già stato vaticinato dagli speculatori e dagli investitori finanziari, ma non si conosceva ancora l’entità di questo rallentamento. La Cina, adesso si sa, nel secondo trimestre dell’anno è cresciuta soltanto del 7,5 per cento, una crescita molto lenta e anche inferiore alle attese, soprattutto dal punto di vista percentuale.

PIL cinese in ribasso dopo il secondo trimestre

Fortunatamente la borsa di Tokyo era chiusa per ferie e quindi non ci sono stati contraccolpi traumatici nella gestione dei report legati alla Cina. Tutto si è svolto nel Vecchio Continente dove gli acquisti nelle principali piazze sono stati modesti. Nello specifico, per quello che riguarda l’Italia, sembra sia ancora troppo alta la tensione e le aspettative riguardo la soluzione del debito pubblico.

La Cina, tutto sommato, è riuscita a sostenere gli scambi nei listini asiatici, nonostante la crescita al di sotto delle aspettative. I listini europei, invece, hanno subito di più il contraccolpo e infatti la partenza positiva della settimana è stata immediatamente contraddetta da un indebolimento degli scambi.

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A Wall Street, intanto, il Dow Jones è avanzato soltanto dello 0,1 per cento, un incremento lieve che sembra aver fatto dimenticare all’improvviso i record segnati alla fine della settimana scorsa. Il Nasdaq, invece, è rimasto lo stesso, nonostante i report legati alle vendite al dettaglio negli States, diano queste in salita dello 0,4 per cento nonostante l’aumento previsto dello 0,8 per cento.

PIL cinese in ribasso dopo il secondo trimestre

 Che l’economia cinese fosse in una fase di rallentamento era chiaro ma adesso, con i dati relativi al PIL del secondo semestre, tutto è palese. Sembra infatti che il prodotto interno lordo di questo paese sia cresciuto meno del previsto.

Si pensava di andare incontro ad una crescita del PIL del 7,7 per cento mentre tutto l’incremento si è fermato al 7,5 per cento. Non sono stati quindi rispettati nemmeno i parametri del primo trimestre dell’anno. Tutto è nelle corde, ovvero ci si aspettava una cosa simile.

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I dati che arrivano dalla Cina, tra l’altro, puntano tutti nella stessa direzione. Per esempio le vendite al dettaglio, soltanto a giugno 2013 sono cresciute del 13,3 per cento su base annua. Una crescita anche superiore alle attese visto che si pensava ad un rialzo del 12,9 per cento.

Cala ancora la borsa di Tokyo

Il dato che non convince, o meglio preoccupa, gli investitori, è quello relativo alla produzione industriale che nel mese di giugno è aumentata dell’8,9% su base annua mentre nella rilevazione precedente il rialzo era stato più consistente, del 9,2 per cento.

La Cina, intanto, fa i conti anche con un altro problema finanziario: la cosiddetta fuga di capitali. Dal 2008 ad oggi, infatti, molti investitori hanno abbandonato il paese per andare a fare business altrove. In queste ultime settimane, il moto verso l’esterno è stato notevolmente accelerato.

La crescita dell’ economia cinese rallenta

 A prendere l’ iniziativa era stato il Fondo Monetario Internazionale – FMI, che già diversi giorni fa aveva definito in rallentamento la crescita dell’ economia di una delle maggiori potenze economiche emergenti degli ultimi tempi: la Cina.

Il vino europeo nel mirino della Cina

 Il braccio di ferro tra la Cina e l’ Europa non è ancora concluso. Dopo l’ annosa vicenda dei pannelli solari e dei dazi molto alti che l’ Unione Europea ha deciso di imporre ai prodotti cinesi per evitare l’ eventuale dumping dei produttori asiatici, adesso la situazione tra i mercati europeo ed asiatico appare ribaltata, e il pomo della discordia è rappresentato dal vino.

La Cina condiziona gli scambi

 Le borse europee, dopo aver perso terreno la settimana scorsa, adesso si trovano a recuperare qualche punto percentuali negli scambi anche se la situazione varia da est ad ovest. Per esempio, in Asia, ancora una volta, prevale il timore per le condizioni dell’economia cinese che ha dimostrato di avere una forte crisi di liquidità.

In Brasile si teme il crollo economico

Le aste dei titoli spagnoli e italiani, reagiscono negativamente alle notizie che arrivano dalla cina e c’è stato, infatti, un aumento dei rendimenti richieste dagli investitori. Soltanto per i tassi dei Ctz si parla di aumento del 50 per cento rispetto al mese di maggio.

Il credit crunch cinese non piace all’Europa

Per completare la carrellata molto generica, dovremmo considerare anche quel che sta succedendo negli Stati Uniti dove c’è soddisfazione per la decisione della Fed, che adesso sembra definitiva, riguardo la politica valutaria accomodante da mantenere ancora fino alla fine dell’anno e sicuramente anche nella prima parte del 2014.

I mercati del Vecchio Continente, ad ogni modo, sono sembrati i più reattivi, decisi a non farsi condizionare da quel che sta succedendo in Cina. Per questo si è profilato un mercato a due velocità. L’Asia e l’America sottoposte all’apprensione degli investitori e l’Europa, al contrario, marginalmente toccata da quel che accade nel resto del mondo finanziario.

Il credit crunch cinese non piace all’Europa

 La Cina ha rallentato la crescita e questo particolare preoccupa soprattutto l’Europa che nel colosso asiatico esporta numerosi materiali. Le preoccupazioni maggiori, in tal senso, attanagliano la Germania che considera la Cina il maggiore recipiente dell’export del settore manifatturiero. Tecnicamente, per la Cina, si potrebbe parlare di default, ma la People’s Bank of China smentisce questa analisi.

La Cina e l’immobiliare tricolore

Si sa che quando un mercato è preso nella morsa della paura, i movimenti e i trend sono di difficile interpretazione e in più si rischia l’immobilità delle contrattazioni. Ecco per quale motivo se la Cina rallenta e la paura assale gli investitori europei c’è da preoccuparsi non poco.

La Cina influisce sui mercati europei

Il problema principale secondo gli operatori del Vecchio Continente, è nel credit crunch che ormai interessa la Repubblica Popolare cinese. L’economia reale potrebbe subirne le conseguenze. La situazione delle banche cinesi, tra l’altro, non sembra prossima alla soluzione.

Alcuni blogger hanno aggirato la censura della rete dicendo che il paese è finito in un default momentaneo visto che per una mezz’ora circa è sprofondato nell’assenza di liquidità. Le banche, in più, si dimostrano poco flessibili concedendo un numero inferiore di prestiti rispetto al passato e a tassi addirittura proibitivi. Risolvere il problema delle banche è dunque il primo passo da compiere.