Bibow affronta il rapporto tra euro e Germania

 In un documento molto complesso, elaborato da Jörg Bibow, un professore di economia dello Skidmore College ma anche ricercatore al Levy Economics Institute, si spiega il trilemma dell’euro che attanaglia la Germania. Da tempo, da quando l’Europa è in crisi, il tentativo di sciogliere il nodo del rapporto tra la moneta unica e le economie solide come quella tedesca, è il pallino di tutti gli analisti.

La Cina condiziona gli scambi

Il primo punto da considerare in questo rapporto è l’Europa inserita nel contesto globale dell’economia. La situazione finanziaria a livello mondiale, è precaria, soprattutto adesso che si parla del rallentamento dell’economia cinese e della possibile crescita ridotta anche per i paesi emergenti come il Brasile.

In Brasile si teme il crollo economico

Purtroppo l’Europa è diventata una specie di detonatore della crisi economica, in grado di trasmettere instabilità sotto il profilo economico e politico. In realtà questa è una falsa immagine del Vecchio Continente dove le nazioni che fanno parte dell’UE non si mostrano poi così povere.

Quello che è realmente successo in Europa è stato l’incremento del rapporto tra debito e PIL nel boom del biennio 2006-2007, per poi sprofondare nella crisi. E poi arriva la questione tedesca: l’euro ha finito per rendere sempre più forte e importante la Germania che adesso tiene sotto scacco l’economia europea e mondiale spiegando di essere diventata troppo grande per fallire.

E se l’Italia uscisse dall’Euro?

 In molti auspicano un ritorno dell’Italia alla lira. Al momento è difficile prevederlo. Quello del ritorno alla lira è, tuttavia, un possibile scenario. A poco a poco si sta formando il partito del ‘bene’ e quello del ‘male’ in relazione a questo ritorno.

Forse, a lungo termine,a lungo termine uscire dall’Euro sarebbe un vantaggio. Non è dato, però, saperlo con certezza sin da ora. TUtto dipende anche dal nuovo panorama economico che va profilandosi e che si profilerà.

Uno dei possibili scenari è un’eventuale frammentazione dell’Ue (tutti i Paesi ritornerebbero alla propria vecchia moneta nazionale). Un altro verte su una prosecuzione in gruppo diversa nelle modalità.

L’Italia fuori dall’Euro cambierebbe in ogni caso il clima economico generale. I rapporti con gli Usa e con il resto d’Europa muterebbero.

Non mancherebbero i problemi: da quelli ‘tecnici’ (aumento delle tempistiche nei prelievi di denaro), a quelli ‘materiali’ (le banche resterebbero chiuse per qualche tempo)

Cambierebbe, inoltre, il nostro rapporto con il consumo:

– raddoppio dei prezzi dei prodotti esteri;

– rincaro dei prezzi dei prodotti interni.

Il rapporto tra euro e nuova lira non sarebbe sin da subito vantaggioso. La nuova lira, se confrontata alla vecchia, sarebbe una sorta di nuovo euro (tutto italiano), per intenderci.

La Germania si protegge nel caso di ritorno alla lira

 A giudicare dai dati emersi da uno studio di Mediobanca, l’Italia dovrà ancora affrontare la vera tempesta. Lo studio evidenzia che le probabilità di un cambiamento dello scenario politico sono molte. La maggioranza stabile nel Paese è ancora in bilico. Ciò contempla più opzioni. Una di queste potrebbe scaturire in un ritorno alle urne a fine anno.

A ciò si aggiunga la possiiblità di un prestito di una sezione italiana dell’azienda tedesca Daimler (Mercedes Benz Financial Services Italia), la quale nei giorni scorsi ha erogato un prestito obbligazionario particolare. Tale prestito prevede infatti una clausola di protezione nel caso in cui l’Italia uscisse dall’Euro. Già, perchè c’è da tenere in considerazione anche questa prospettiva. La Faz (Frankfurter allgemeine zeitung) sostiene che al bond aziendale, per un importo di 150 milioni di euro, é stato dato dall’agenzia di rating Moody’s un valore “A3”, uguale a quello riservato all’azienda automobilistica tedesca.

Il titolo contempla un tasso di interesse variabile, con scadenza nel 2015. La clausola di emissione statuisce che, se entro la suddetta data il nostro Paese dovesse uscire dall’euro, gli interessi e l’ammortamento verrebbero versati nella valuta legale esistente in quel momento in Italia. In questo modo, stando a quanto scrive la Faz, diminuirebbe di gran lunga il rischio che l’affiliata italiana dell’azienda tedesca debba remunerare le proprie obbligazioni nel più caro euro nel caso in cui l’Italia dovesse abbandonare la moneta unica ed introducesse una nuova lira con un tasso di cambio più debole.

Ritorno alla lira: un possibile scenario

I problemi monetari partono dalla BCE

 Gli investitori, in questi ultimi giorni, hanno riposto particolare attenzione alle parole e ai proclami della Federal Reserve degli Stati Uniti. La FED, infatti, ha spiegato di voler interrompere o meglio abbandonare progressivamente il piano di quantitative easing.

Di che si discute tra BCE e Germania

Secondo alcuni analisti del Financial Times, invece, l’attenzione a livello valutario non deve essere posta nelle parole della FED, quanto piuttosto nelle decisioni della BCE che deve intervenire in un’area molto delicata dove le cose, a livello economico, potrebbero mettersi male.

La BCE punta il dito sull’Italia

In più, mentre per quanto riguarda l’area americana, sia i banchieri che i politici sanno dove vogliono arrivare, è chiaro che non c’è una volontà univoca dei politici europei. In fondo, nel Vecchio Continente, non c’è un’immagine normale cui tendere. La Germania, in particolar modo, non vuole sottostare al funzionamento della moneta unica.

Lo stesso Jens Weidmann ha criticato fin dall’inizio il programma OMT portato avanti dalla Banca centrale europea, lo stesso programma che è stato sottoposto al pronunciamento della Corte Europea. Secondo il Financial Times, la BCE, in questo momento non può pensare né cercare di tornare in una condizione di normalità.

D’altronde è necessario che si risani il sistema bancario e che tutto torni a funzionare. Per farlo è importante che la Germania continui ad inviare dei flussi di capitali agli altri stati membri dell’Unione. Un particolare che proprio ai tedeschi non va a genio.

Perché per la Lettonia l’euro è un bene

 La Lettonia ha ottenuto il via libera dalla Commissione europea e dal gennaio del 2014 sarà il 18esimo paese ad entrare a far parte della zona euro. Un passo decisivo e radicale, motivato dal fatto che il paese ha voglia di togliersi di dosso l’immagine di paese “povero”.

La Lettonia sempre più vicina all’euro

Secondo il primo ministro lettone Valdis Dombrovskis l’entrata nell’euro sarà sicuramente di stimolo alla crescita economica del suo paese. L’opinione del management politico è radicalmente differente da quella della popolazione che non è sicura di voler entrare nello spazio economico del Vecchio Continente.

Il 35% degli intervistati rappresenta l’esiguo zoccolo duro del movimento pro-euro. Al contrario coloro che sono pronti ad opporsi a questa scelta del paese, sono in continuo aumento. Alle ultime elezioni locali hanno addirittura dimostrato di crescere vistosamente.

L’austerity blocca il PIL americano

Per capire se si tratta della scelta giusta è stata tirata in ballo la teoria economica dell’area monetaria ottimale, ovvero di quel territorio dove i vantaggi e gli svantaggi di aderire ad un medesimo sistema monetario si bilanciano.

La teoria delle aree valutarie ottimali è del 1961 e parte da una teoria “generale” ovvero che un paese che fa parte di un mercato monetario ha il vantaggio di ridurre i costi del commercio ma ha lo svantaggio di non poter gestire gli shock esterni.

Da un centesimo a 6600 euro

 Investire nel forex è una pratica comune per chi desidera far fruttare in modo semplice ed immediato i guadagni che ha messo da parte. Ultimamente si è parlato tantissimo dell’euro visto che a livello comunitario è stato stabilito che non saranno più messe in circolazione la banconote di grosso taglio e quelle di piccolissimo taglio.

A livello monetario saranno eliminati i 500 euro

Il fatto di voler eliminare le banconote da 500 euro si lega all’uso che di queste monete fa la criminalità organizzata. La decisione infatti, riguarda sia l’euro, sia il dollaro e le altre monete più frequenti. L’abolizione delle monete piccolissime, quindi da uno e due centesimi, invece, nasce da una volontà antinflazionistica e dalla considerazione che il prezzo di produzione è superiore al valore di scambio.

Eppure sull’inutilità delle monete piccolissime ci sarebbe da discutere a lungo visto che ci sono alcuni pezzi da un centesimo scambiati anche per 6.600 euro. Com’è possibile? Roba da collezionisti? Esattamente!

Abbandonate le monete di piccolo taglio

Bolaffi ha messo all’asta delle monete da 1 centesimo e la base di partenza era di 2500 euro ma un collezionista italiano è riuscito a rilanciare fino al prezzo record indicato. E’ chiaro adesso che chi ha tra le mani monete da un centesimo, farà fatica a liberarsene.

In realtà la moneta andata all’asta, di particolare, aveva l’incisione della Mole Antonelliana sul retro, l’immagine generalmente presente sulle monete da due centesimi.

E se fosse l’euro la causa della crisi?

 Qualche giorno fa Bloomberg ha pubblicato un articolo scritto da tre economisti di fama mondiale che, cercando le ragioni alla crisi che sta attanagliando alcuni dei paesi europei, concordano nel dire che la moneta unica, così come è stata concepita e recepita dai diversi paesi, potrebbe decretare la fine dell’Unione Europea.

► La Germania contro l’euro ha effetto sulle borse

I tre economisti, infatti, partendo dal presupposto che la crisi si è sentita di più in quei paesi nei quali l’economia era già piuttosto debole – Grecia, Spagna, Portogallo, Italia e Ciproconcludono che il problema sta proprio nel fatto che questi paesi in difficoltà non possono recuperare competitività sui mercati perché non possono svalutare la moneta.

Questo finirà per acuire le disuguaglianze tra il nord e il sud dell’Europa, finendo anche per alimentari nuovi sentimenti anti-euro e anti-unione.

È necessario, proseguono gli economisti, fissare il tasso di cambio nominale ed eliminare il rischio valutario, cercando di far convergere, grazie all’euro, le due economie europee verso un punto comune in modo da facilitare l’affluenza di capitali dai paesi con un surplus commerciale verso quelli in difficoltà.

► Per uscire dalla crisi sono necessarie politiche nuove

In sostanza, l’euro, stando a quanto dicono questi economisti, non avrebbe fatto nulla di quanto avrebbe dovuto, ma avrebbe solo acuito il divario di competitività già presente tra il nord e il sud dell’Europa.

La Germania contro l’euro ha effetto sulle borse

 La Germania è considerata croce e delizia del Vecchio Continente. Di fatto, adesso che ha perso anche il suo storico avversario economico, la Francia, resta l’unico pilastro portante dell’economia europea. Questo non vuol dire che tutti siano pronti ad omaggiare le industrie e la politica tedesche. Per esempio, tanti analisti, davanti alla crisi imperante, si chiedono se non sia più opportuno che sia proprio la Germania a lasciare la moneta unica.

Se il Regno Unito avesse adottato l’euro

Il rapporto tra la valuta comunitaria e il paese più florido del Vecchio Continente, tra l’altro, non è idilliaco, infatti il management tedesco ha coinvolto la Corte costituzionale tedesca nel giudizio relativo al programma d’acquisti e alla politica monetaria della BCE di Mario Draghi. 

La Germania contro l’euro

I tedeschi hanno da sempre sospettato che il presidente dell’Eurotower, italiano, prendesse delle decisioni che vanno a favore dello Stivale e della Spagna, ma adesso vogliono un pronunciamento ufficiale contro il piano OMT della BCE. Gli acquisti illimitati di titoli di stato dei paesi periferici devono cambiare un po’ perché a rischiare c’è soprattutto l’euro. Questo, almeno, è il parere della Germania.

La paura che l’euro sia arrivato al capolinea, però, non lascia indifferenti i mercati finanziari che perdono qualcosa, soffrono in un clima d’incertezza sovranazionale. Londra e Francoforte, per esempio, cedono l’1 per cento e Parigi stessa arretra dell1,4 per cento. Scende ancora di più Piazza Affari, in calo dell’1,6 per cento.

Se il Regno Unito avesse adottato l’euro

 L’euro, in questo momento, è sicuramente una delle monete più bersagliate del mondo visto che anche la Germania è passata all’attacco rendendo il discorso valutario, lo sfondo “ideale” per la campagna elettorale. Dopo la querelle tra il gigante tedesco e la BCE che con l’acquisto di bond starebbe favorendo i paesi periferici come l’Italia e la Spagna, adesso i salotti della finanza sono interessati alla storia con i “se”.

Qualcosa sull’uscita della GB dall’Europa

Uno dei quesiti più ricorrenti è relativo alla sorte del Regno Unito: ci si chiede cosa sarebbe successo all’economia britannica se avesse soddisfatto i parametri richiesti da Maastricht, all’epoca, per entrare in Europa. L’UE era fortemente interessata a fagocitare la realtà inglese, tanto che avrebbe stiracchiato i requisiti d’ingresso nell’UE per consentire l’accesso inglese.

E se la Gran Bretagna uscisse dall’Europa?

Ma gli effetti di questa fusione quali sarebbero stati? Sicuramente, al di fuori del Regno Unito, avremmo assistito ad un boom creditizio accelerato che avrebbe portato più rapidamente alla crisi bancaria che comunque c’è stata. La crisi del settore del credito sarebbe stata più acre dell’attuale e sarebbe stata seguita dalla contrazione economica dei paesi Baltici.

I conti pubblici, sottoposti alla politica di austerity, sarebbero sprofondati sotto il peso della crisi e alla fine, in una situazione del genere, il Regno Unito avrebbe comunque lasciato l’euro.