L’Ue è meno fiduciosa nell’economia

 La Commissione Europea ha pubblicato oggi i dati relativi al “sentimento economico” che si respira oggi e che si è respirato negli ultimi mesi nell’ Eurozona. Al centro della questione, dunque, il livello di fiducia nutrita dai cittadini dell’ Unione nei confronti dell‘economia europea.

La fiducia degli italiani sta peggiorando

Ebbene i dati hanno rilevato che proprio nel mese di aprile 2013 si è interrotto quel sentimento di fiducia che era tornato a crescere a partire dal mese di novembre scorso.

Il calo è stato in generale di 1,5 punti e l’ attuale quota rappresentativa si attesta dunque ad 89. Una analoga situazione di perdita di fiducia nell’ economia europea, si può rilevare anche nell’ Unione a 27 Paesi, che è passata dal 91,5 di marzo all’ attuale  89,7. L’Italia è stato uno dei Paesi particolarmente colpiti da questo fenomeno, dal momento che la quota nazionale ha raggiunto gli 83,4 punti.

L’Istat mostra l’aumento della fiducia dei consumatori

Anche sul fronte delle imprese, e non solo su quello dei consumatori, i dati europei non sono incoraggianti. Dopo quattro mesi di recuperi, infatti, il “business climate indicator” torna a calare: al centro delle preoccupazioni le questioni relative a ordini e produzione.

L’Italia, questo punto di vista, torna indietro ai livelli storici del 2003.

La BCE chiede attenzione per le PMI

 Il grosso problema del Vecchio Continente è che deve ripartire nel più breve tempo l’economia e per farlo c’è necessità di rianimare il settore industriale dei vari paesi. Insomma le varie PMI devono essere sostenute. Ecco perché in questi giorni sull’argomento è tornata anche la BCE.

A Moody’s non piace l’Italia

La Banca Centrale Europea, infatti, ha detto che non sa ancora che intervento sostenere in tema di tassi ma è pronta a bacchettare i vari governi sul mancato sostegno alle PMI che rischiano di subire eccessivamente la crisi economica. Le Piccole e Medie Imprese sono state messe sotto la lente d’ingrandimento da una ricerca dell’Eurotower che spiega che le realtà maggiormente in crisi sono quella italiana e quella spagnola.

In entrambi i casi si parla di calo dei profitti e per questo è necessario l’intervento delle banche che a loro volta hanno già avuto un valido sostegno dalla BCE. Adesso sembra arrivato per loro il momento di “restituire il favore“. Il fatturato delle PMI tra ottobre 2012 e marzo 2013 è peggiorato in modo consistente e per questo si rende necessario il prestito bancario.

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Sempre secondo l’indagine della BCE, le piccole e medie imprese dei 17 paesi della zona euro, hanno una maggiore necessità di finanziamento.

L’UE divisa sulla questione spagnola e non solo

 L‘Unione Europea soffre in questo periodo delle differenti situazioni economiche in cui versano molti stati che la costituiscono.

Agli occhi degli osservatori internazionali, infatti, non può passare inosservato come si vada sempre di più delineando quella Europa “a due velocità” in cui una parte dei Paesi sono ormai quasi schiacciati dalle politiche di austerity e ne auspicano un rallentamento, mentre dall’ altra vi siano realtà come quelle della Germania e della Gran Bretagna che consolidano la ripresa.

Angela Merkel sul problema dei tassi della Bce

E’ la situazione della Spagna, in particolare, che preoccupa gli osservatori europei, poiché nel corso di quest’ anno ci si aspetta un ulteriore calo del PIL dell’ 1,3% , che si associa anche ad un rinvio, ormai al 2016, della riduzione del deficit al 3% del Pil.

Il quadro della Spagna, dunque, sebbene accettato dall’ Ue, che ha apprezzato i tentativi di riforma e il programma di stabilità, è comunque quello di una situazione difficile, in cui bisogna fare i conti con 6 milioni di disoccupati, recessione economica in atto e sofferente mercato del lavoro.

Rehn e Constancio aprono a un rallentamento dell’austerity

La Spagna, tuttavia, non è l’unica nazione ad aver chiesto delle proroghe sulla riequilibrazione dei conti pubblici: Portogallo e Francia versano in simili situazioni.

L’opposizione antieuropea vince in Islanda

 L’opposizione antieuropea, quella che spinge le singole nazioni ad estraniarsi dall’euro e dall’Europa, ha vinto anche in Islanda. Il Vecchio Continente, a questo punto, trema per il crollo in molti stati delle sinistre che finora hanno tenuto in piedi il discorso europeista.

Investimenti a rischio nei paesi della black list

In Islanda a vincere ci ha pensato il centrodestra che dopo cinque anni di assenza, o meglio di opposizione, tornerà a governare. I seggi a disposizione nel Parlamento sono 63 e dopo le elezioni, 37 di questi seggi andranno a finire al partito dell’indipendenza di destra e al partito del Progresso di centro.

Il centrodestra islandese, per storia e natura è contrario all’Unione Europea e in fondo la popolazione ha semplicemente usato le urne per spiegare al resto d’Europa cosa pensa e cosa vuole. Le proiezioni sono state fin troppo rispettate, infatti, i verdi e i socialdemocratici non sono stati riconfermati.

Il caso dell’Islanda è emblematico?

Lo spoglio parziale aveva già decretato il Partito dell’indipendenza al 25 per cento e i centristi agrari con il 22 per cento. I due leader di partito, tra l’altro, sono molto giovani: da un lato c’è Bjarni Benediktsson di 43 anni e dall’altro David Gunnlaugsson che di candeline ne ha spente soltanto 38.

L’unico partito pro euro sono i centristi di Futuro Luminoso che hanno ottenuto soltanto 6 seggi.

Usavano le associazioni di beneficenza per evadere il fisco

Creavano un “offshore trust”, un fondo di investimenti collocato nei pressi di uno dei molteplici paradisi fiscali esistenti e successivamente nominavano in qualità di beneficiario un’associazione di carità. Con questo meccanismo riuscivano a sfuggire alla maggior parte dei controlli delle autorità del Regno Unito, nonché di altri Stati e dunque a non pagare le casse.

Ecco la truffa che ha coinvolto a loro insaputa numerose associazioni di beneficenza, tra le quali contempliamo tre associazioni italiane.

Evasori fiscali hanno usato il loro nome in maniera tale da occultare i propri fondi all’estero e non pagare le tasse.

L’inchiesta condotta dal Sunday Times, successivamente all’arrivo di una soffiata di natura anonima fatta da un informatore, è riuscita a portare a galla due milioni e mezzo di documenti, provenienti da uno dei paradisi fiscali sfruttati da qualche grande evasore.

Le associazioni menzionate nei documenti quali beneficiarie non ne erano a conoscenza, e in più di conseguenza non percepivano nessuna cifra in denaro dall’offshore trust. Non percepivano insomma neanche il becco di un quattrino.

Le vittime del raggiro

Ad essere state imbrogliate sono anche grosse associazioni quali Croce Rossa, Amnesty International, Greenpeace, Cancer Research. Ma il Sunday Times ha rivelato che nei documenti che gli sono arrivati anche tre associazioni di carità italiane sono rimaste implicate: si tratta de l’Unione Italiana Ciechi, il Centro Bambino Maltrattato e della Lega Italiana per la Lotta all’Aids.

Tutte e tre, interrogate dal giornale britannico, hanno dichiarato che non erano a conoscenza del “trust” generato a loro presunto beneficio e che non hanno mai ricevuto da esso alcuna donazione.

Al pari di Croce Rossa, Amnesty e Greenpeace, scrive il Sunday Times, anche le tre associazioni di beneficenza italiane stanno attualmente valutando l’opportunità indire azioni di natura legale per chi si è appropriato indebitamente del loro nome e anche per vedere se, a questo punto, è possibile reclamare almeno una parte dei fondi nascosti a questo modo.

Elezioni Islanda: vincono gli antieuropeisti

La vittoria alle elezioni del centro-destra, da sempre antieuropeista, pesa in Islanda. La coalizione, negli ultimi quattro anni all’opposizione, torna al potere approfittando delle riforme sull’austerity sancite dal governo di sinistra. Un nuovo cambiamento, dunque, che allontana ulteriormente l’Islanda dall’Europa.

Alla guida del Partito dell’Indipendenza c’è Bjarni Benediktsson, quarantatré anni. Benediktsson si dice pronto a guidare il governo. Un governo di coalizione con il Partito del Progresso. I due partiti hanno nello specifico guadagnato 19 seggi a testa in Parlamento. La sinistra, al potere dal 2009, esce male da questa tornata elettorale. Colpa di una rigida politica che ha deluso l’elettorato. La sconfitta della sinistra ha un significato anche più profondo: con la destra nuovamente al potere l’Islanda non si candiderà per l’adesione all’Unione europea.

C’è da dire che la politica di sinistra, votata all’austerity ha concesso all’Islanda di uscire dalla recessione, con un Prodotto Interno Lordo in salita e una disoccupazione in calo. Gli elettori, però, sono stremati.

Alle urne si è recata l’83 per cento della popolazione avente diritto.  I conservatori del Partito dell’Indipendenza (di destra) che hanno guadagnato il 26,7% dei consensi, con 19 seggi al Parlamento. I centristi del Partito del Progresso, invece, hanno raccolto il 24,4% e adesso possono contare ugualmente su 19 deputati. La coalizione di centro-destra avrà dunque 38 seggi su un totale di 63.

Francia interviene sul libero scambio

Quando siamo ormai vicinissimi al negoziato tra Unione europea e Stati Uniti relativo ad un accordo di libero scambio, libero scambio la Commissione di Bruxelles spera di avviare prima dell’estate con l’obiettivo di un’intesa entro la fine del 2014, la Francia scende con decisione in battaglia. Parigi formula la richiesta di escludere esplicitamente l’industria culturale, e nello specifico il cinema e l’intero settore degli audiovisivi, dal testo del mandato negoziale affidato al commissario Karel De Gucht. Al momento la versione stilata lo scorso 13 marzo, contempla invece cinema e audiovisivi.

Occorre ricordare che proprio la Francia ha inventato il concetto di “eccezione culturale” traducendolo in norme e regolamenti, al fine di difendere appunto la propria industria culturale – cinematografica in primis nonché l’industria musicale dall’invasione statunitense. Una battaglia iniziata già nel dopoguerra, dal ministero della Cultura con allora a capo André Malraux, ma che si è tradotta in una strategia organica nei primi anni 90, quando all’Eliseo c’era François Mitterrand.

D’un lato in virtù del sostegno pubblico al comparto e dall’altro con il sistema delle quote. I provvedimenti sono molti. Ecco i più importanti e simbolici:

– istituzione di un fondo di finanziamento della produzione cinematografica alimentato da un prelievo dell’11% su ogni biglietto e dal versamento di una parte del loro fatturato da parte delle società televisive (più oneroso per le pay tv), per un totale di circa 700 milioni all’anno;

– l’obbligo per gli operatori tv di destinare una parte dei loro ricavi alla produzione di film francesi ed europei (fondi che rappresentano in media il 35-40% del budget)

– obbligo di quote di diffusione di musica francese ed europea e di film francesi ed europei da parte di radio e televisioni;

– la nascita di una specie di super cassa integrazione per i lavoratori dello spettacolo nei periodi in cui non ricevono una retribuzione.

La Lettonia vuole l’Euro

 La moneta unica è sicuramente uno degli argomenti più discussi nella cronaca finanziaria attuale perché molti paesi hanno iniziato a pensare che si tratti di un inganno, di un modo un po’ arzigogolato per tenere in vita l’economia tedesca.

E’ davvero tutta colpa della Germania?

Il fatto è che a fronte della Polonia che sta per fare marcia indietro e propone un referendum sull’Euro, c’è la Lettonia che invece è cresciuta molto in questo ultimo periodo ed è pronta a fare il suo ingresso nell’Eurozona. Quello che però si chiedono i cittadini lettoni, di fronte alla volontà espressa dal paese di integrarsi nel mercato unico è: è davvero la soluzione giusta?

Sicuramente ci sono dei lati “negativi” che la popolazione lettone sta sottovalutando. Per esempio è molto probabile che tutto inizierà a costare di più e potrebbe verificarsi sul lungo periodo la stessa situazione che si è verificata a Cipro. La crisi dell’isola in questione, infatti, ha messo in crisi la sostenibilità dell’euro ed ora gli interrogati legati alla moneta unica sono sempre maggiori.

L’Europa e gli alert del resto del mondo

La Lettonia è comune decisa ad entrare nell’Euro, nonostante lo scetticismo della popolazione al fine  di superare lo status di paese povero e fare in modo che la sua posizione nel Vecchio Continente e soprattutto nell’Est Europa, sia consolidata.

Le sigarette di contrabbando rubano un miliardo l’anno allo Stato

 Ogni anno più un miliardo di euro, invece di finire nelle casse dello Stato, finisce nelle mani dei contrabbandieri. La cifra che scaturisce dall’analisi del gettito fiscale connesso al traffico illegale di sigarette di contrabbando ammonta a tanto. Nel 2012, come riporta uno studio realizzato tradizionalmente da Philip Morris International e Kpmg, si è raggiunto un nuovo record per quanto riguarda il commercio illecito di sigarette. Si registra un aumento del 50% in confronto al 2011. Rispetto al 2009 siamo al +300%. In soldoni si tratta di un valore pari a 7,3 miliardi.

Il risultato dell’indagine colpisce particolarmente e segnala l’Italia in cima a questa classifica negativa nell’Unione europea; il mercato illecito ha ormai un valore pari all’8,5% del consumo complessivo di sigarette. A livello europeo la situazione non è poi così positiva: il commercio illegale di sigarette nell’Unione ha toccato un nuovo record, che supera gli 11 punti percentuali del totale, in confronto al 10,4% del 2011.

La perdita netta per le entrate fiscali comunitarie ha un valore stimato pari a dodici miliardi e mezzo di euro. In Europa siamo già al sesto anno consecutivo di forte aumento per quanto riguarda il commercio illecito, a riprova di come la crisi economica abbia portato anche a cercare ‘risparmi’ per alimentare il vizio/piacere del fumo.

L’Italia, in compagnia di Regno Unito, Grecia ed Estonia, è tra gli Stati con aumenti del traffico illecito più alti rispetto al 2011.

Rapporto BCE 2012: la crisi europea deriva dall’Europa

 Se si vuole trovare una causa alla crisi economica e finanziaria che continua a mordere l’Europa questa va cercata nelle condizioni stesse dell’Unione e nelle scelte dei governi. La responsabilità di quello che sta accadendo non può ancora essere addebitata alla crisi globale.

Non siamo più nel 2009. Allora si che aveva un senso parlare di crisi globale. Nel 2012, come ben spiega il Rapporto Annuale della BCE riferito proprio allo scorso anno, la mancanza di crescita dell’Europa è dovuta alla debolezza dei mercati interni: dopo il 2009, infatti, il Pil dell’Eurozona è cresciuto per due anni consecutivi, per poi contrarsi nuovamente nel 2012.

L’andamento della crescita è stato fortemente influenzato dalla debolezza degli investimenti e dei consumi privati con la domanda interna che ha segnato il primo calo dal 2009. Investimenti e consumi, a loro volta, sono stati appesantiti dai bassi indici di fiducia delle imprese e dei consumatori, da prezzi del petrolio elevati, da condizioni di accesso al credito bancario.

Qual è il problema reale, allora?

Secondo la BCE il problema risiede nell’insostenibilità del debito pubblico di diversi paesi dell’area Euro che perdura nonostante siano stati dati ai governi tutti gli strumenti necessari per risolvere la situazione.

Una soluzione duratura si potrà trovare solo se i governi decideranno di prendere i giusti provvedimenti per la sostenibilità del debito pubblico per rendere più competitive le proprie economie, rafforzare la resistenza delle banche e continuare a migliorare il quadro istituzionale dell’Unione Monetaria.