Shopping londinese per gli emiri

 Il mercato internazionale è fermo ma si sa che chi come gli emiri del Qatar, ha un bel gruzzoletto da parte, decide d’investirlo adesso che c’è la crisi in modo da massimizzare i profitti. L’ultimo acquisto del fondo dell’emirato è stato quello di un albergo nella City di Londra, uno degli alberghi più lussuosi della capitale inglese.

Moody’s se la prende con l’economia inglese

Gli emiri del Qatar hanno acquistato in questi anni dei grattacieli molto importanti, sono stati i massimi azionisti delle più importanti squadre di calcio ed hanno anche fatto affari dedicandosi ai centri commerciali.

Il fatto che il Qatar abbia giacimenti molto importanti di gas e petrolio, ha fatto sì che potesse investire in altri business. L’ultimo acquisto, l’albergo londinese, è conosciuto come Intercontinental Park Lane ed è affacciato sullo storico Hyde Park.

Londra contro il tetto ai superstipendi

Il prezzo dell’affare non è sconosciuto. Sembra che l’emirato abbiamo portato nelle casse inglesi ben 400 milioni di sterline che equivalgono a 450 milioni di euro. A pagare è stata la Qatar Investement Holding, la finanziaria con cui l’emirato opera in modo diretto sul mercato.

Tanto per avere un’idea degli affari del Qatar si può ricordare che hanno acquistato importanti pacchetti di azioni della banca Barclays e della catena di supermercati Sainsbury.

La crisi francese e le altre fratture europee

 La Francia sembra essere arrivata ad un punto di non ritorno nel senso che i problemi finanziari di paese sono aggravati dalla perdita di competitività tale che non esiste più il contraltare all’ascesa della Germania, prima affidato a Italia, Francia e Gran Bretagna.

Per gli USA la prossima crisi è quella francese

Mario Draghi, da presidente della BCE, ha deciso di acquistare in maniera illimitata i bond dei paesi che sono in crisi ma questa mossa non va a sanare i problemi più importanti dell’Eurozona, quali la situazione post elettorale di Grecia, Spagna e Italia e l’accordo mancato delle banche a Cipro.

Uno sguardo più ampio sulla recessione

Un altro autorevole parere sulla situazione economica europea è quello fornito dal ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schauble (CDU) che ha chiarito le intenzioni della Germania: tenere nell’euro Cipro ed esaminare al tempo stesso tutte le proposte. La paura in tal senso è che come è successo all’isola, succeda poi ad altri paesi periferici. Secondo il ministro tedesco, tutti i paesi della zona euro sono intenzionati a tendere la mano a Cipro ma questo “movimento” deve essere fatto nel rispetto delle regole.

In questo momento, infatti, la tentazione per i paesi dell’Eurozona è forte: usare la soluzione più semplice ma facendo più debiti. Invece è sufficiente realizzare riforme strutturali, intervenire sul mercato del lavoro e mantenere elevata la concorrenzialità.

Per gli USA la prossima crisi è quella francese

 La prossima crisi economica sarà ancora una volta nel Vecchio Continente che sembra procedere a due velocità. Da un lato, infatti, c’è la Germania dove l’economia ha già ripreso vigore e dall’altro ci sono tutti gli altri paesi che non hanno ancora adottato riforme strutturali e fiscali efficaci. Nelle stesse condizioni della Germania ci sono anche i paesi che, come la Polonia, non hanno ancora aderito ufficialmente all’euro, ma questa è un’altra storia di cui abbiamo già parlato.

Uno sguardo più ampio sulla recessione

Secondo gli Stati Uniti, che hanno a cuore la salute del Vecchio Continente, la prossima crisi economica cui si dovrà fare fronte, sarà quella della Francia. A dirlo è l’ex presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, in un’intervista al quotidiano “Der Spiegel”. L’allarme è chiaro: la Francia è in crisi e Parigi non solo ha degli importanti problemi finanziari da risolvere ma ha perso anche molta della sua competitività.

Triple A nel mondo in via d’estinzione

La Francia, nello scacchiere europeo è fondamentale, visto che insieme all’Italia e alla Gran Bretagna era l’unico contrappeso all’ascesa della Germania. Così come si sta configurando la crisi francese, invece, sembra si dia il via allo strapotere tedesco. Anche quel che ha pensato Draghi, in fondo, di acquistare illimitatamente i bond dei Paesi in crisi, è solo una misura temporanea.

Krugman contro la trappola della moneta unica

 Il premio Nobel per l’economia Paul Krugman tiene molto alla situazione europea e da diversi mesi continua a fornire analisi accurate del contesto economico e politico del Vecchio Continente. All’indomani delle elezioni italiane, ad esempio, aveva visto nel successo del Movimento 5 Stelle, la conferma che i nostri connazionali hanno bisogno di un cambiamento e magari anche di un’uscita dall’euro.

Krugman parla dei problemi dell’Europa

Adesso, proprio mentre è la Polonia a fare un passo indietro sull’entrata nell’Europa unita, Paul Krugman torna sull’argomento “moneta unica”. L’economista usa il suo blog per spiegare ai polacchi che sono ancora in tempo per salvarsi dall’euro che si configura sempre di più come una trappola per coloro che l’adottano.

Krugman parla dei problemi dell’Europa

La classe politica sembra comunque impermeabile a questo genere di discorsi. Ha deciso di proporre un referendum sull’adesione all’euro per chiedere “conferma” alla popolazione della volontà politica di entrare in Europa anche a livello monetario. Secondo i politici la popolazione sarà d’accordo e la Polonia inizierà il percorso di preparazione all’adozione dell’euro che durerà fino al 2015.

Secondo Krugman, però, il caso polacco è molto particolare, visto che si tratta di un paese che finora è riuscito ad evitare la recessione ed ha recuperato terreno rispetto ai paesi che hanno aderito alla moneta unica.

Per l’OCSE sarà recessione fino a giugno

 Per l’OCSE ci sono già molti paesi che in fase di rilancio dell’economia, ma l’Italia è esclusa da questo insieme. La ripresa, per il resto dell’UE si può quindi dire avviata e non è escluso che in occasione del prossimo G7 la BCE annunci un taglio del costo del denaro.

Le dichiarazioni dell’Ocse fanno bene alle borse

Per il nostro paese, invece, sarà necessario aspettare ancora un po’: tutto rimandato alla fine del 2013 o anche all’inizio del 2014. L’aspetto più preoccupante dell’Italia, però, non è individuato nell’instabilità politica, oppure nella riduzione della ricchezza, oppure ancora nei debiti della pubblica amministrazione. A preoccupare è la disoccupazione.

Secondo l’OCSE cresce il costo del lavoro

Il prodotto interno lordo tricolore è sceso del 3,7 per cento su scala annua, con riferimento all’ultimo trimestre del 2012, poi lo stesso Draghi aveva fatto immaginare che la strada ormai fosse in discesa. Invece, i risultati provvisori del primo trimestre del 2013, raccontano che l’unico paese del G7 a non essersi ancora ripreso è proprio l’Italia.

Il rapporto “Interim Assessment” dell’OCSE è duro con l’Italia e spiega che anche nel 2013 ci sarà una contrazione della produzione pari all’1,6 per cento su base annua per il primo trimestre dell’anno e poi si proseguirà con una contrazione dell’1 per cento per i mesi successivi. Tendenzialmente, quindi, il quadro è negativo.

Le dichiarazioni dell’Ocse fanno bene alle borse

 Dopo le dichiarazioni dell’OCSE le borse europee sembrano tirare un sospiro di sollievo ma nel caso dell’Italia sembra ancora pesare l’incertezza della squadra di governo che Pierluigi Bersani sta cercando di mettere a punto. Quindi, se anche le borse respirano, lo spread tra BTp e Bund risale fino a 345 punti.

Secondo l’OCSE cresce il costo del lavoro

A metà del pomeriggio, nel giorno che precede la chiusura delle borse per la pausa festiva pasquale, lo spread sembra sale oltre i 330 punti e tutto si lega agli sviluppi delle consultazioni di Bersani. Il leader PD è salito al Colle da Napolitano e dal risultato dell’incontro, gli investitori hanno dedotto che ci sarà presto un esecutivo.

L’OCSE sul deficit italiano

Una notizia positiva che si accompagna ad altre due importanti novità: prima di tutto la riapertura delle banche cipriote che avevano chiuso forzatamente gli sportelli ben 12 giorni fa. La seconda novità riguarda l’OCSE che spiega che la Banca Centrale Europea sembra pronta a tagliare il costo del denaro visto che in molti paesi dell’UE la ripresa è già cominciata. Il discorso positivo, però, non vale per l’Italia.

La Commissione UE, comunque, ha deciso che seguirà in modo puntuale tutti gli sviluppi legati alla questione cipriota, all’evoluzione economica degli stati membri dell’UE, alla BCE.

La Polonia vuol dire addio all’Europa

 Sempre più di frequente l’Europa appare inaffidabile al punto che i paesi che stavano per entrarne a far parte, o che avevano già messo un piede nel Vecchio Continente “unito”, si trovano a valutare l’opportunità di fare un passo indietro.

Il primo ministro polacco, Donald Tusk, in questi giorni ha detto di voler lanciare nel suo paese un referendum sull’euro, per capire se l’adesione alla moneta unica è un’opportunità da cogliere al volo, o piuttosto un impedimento allo sviluppo del paese.

L’euro, a chi piace e a chi non piace affatto

La popolazione, vista e considerata la situazione del Vecchio Continente, sembrerebbe intenzionata a salutare l’Europa, anche se poi ci sarebbe da valutare la strategia studiata dal presidente e dal suo governo. I sondaggisti, intanto, sono a lavoro. Per prima cosa si chiedono se sia il caso di avviare le pratiche per l’ingresso della Polonia nell’unione monetaria, ingresso che è previsto per il 2015. Gli ultimi sondaggi, comunque, dicono che il 62% dei polacchi sono contrari all’adesione all’euro.

L’Europa è il continente adatto su cui investire

Una decisione di questo tipo richiederebbe anche aggiustamenti diversi visto la banca nazionale polacca, incaricata di emettere moneta, non potrebbe avere l’incarico senza raggiungere il consenso dei due terzi del parlamento.

Comunque, sull’adesione all’euro e sull’uscita dall’Europa, il presidente ha basato tutta la campagna elettorale.

Triple A nel mondo in via d’estinzione

 Il cosiddetto club delle triple A, cui aderiscono quei paesi che possono essere considerati appetibili dagli investitori, in base al giudizio complesso delle agenzie di rating, stanno diminuendo. Per colpa della crisi, adesso, molti stati non risultano più affidabili.

► Moody’s se la prende con l’economia inglese

È questo il risultato di una recente indagine condotta del Financial Times che parte dalla considerazione dei giudizi espressi da Standard&Poor’s, da Moody’s e da Fitch sui titoli disponibili legati agli stati presenti nel mondo.

► Il mappamondo economico del 2050

Ora il parco dei titoli affidabili si è assottigliato tantissimo e così dal valere 11 mila miliardi di dollari nel 2007, è sceso fino a 4 mila miliardi che è l’attuale valore. Questo si deve non tanto alla svalutazione dei titoli di stato quanto piuttosto alla fuoriuscita dal club della Tripla A, di 6 paesi su 10. La flessione del 60% in cinque anni, si lega alla crisi che ha messo in ginocchio anche colossi dell’economia mondiale come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia. Al giorno d’oggi, dunque, i paesi che hanno la tripla A sono rimasti soltanto in 9. La perdita di credibilità, ad ogni modo, ha subito un’accelerazione dall’agosto del 2011, mese segnato dal tracollo dell’Europa.

Da questa condizione possono trarre spunto soprattutto i paesi emergenti.

Le donne al Sud lavorano meno

 Ci sono almeno due elementi che possono influenzare in modo deciso il rating del nostro paese: la situazione economica e la situazione lavorativa. Per quanto riguarda il panorama economico, in questo momento, non ci sono grossi barlumi di speranza visto che anche Mario Draghi ha posticipato la ripresa al 2014.

Le imprese attanagliate dal pessimismo

Il settore lavorativo-professionale, purtroppo, non va meglio e l’ultima ricerca che riguarda l’occupazione femminile nel paese, non depone e favore dell’Italia. I dati sono forniti dall’Istat e riguardano il 2012. In pratica si parla del tasso di disoccupazione tra i giovani e dell’inattività degli italiani, nonché della distribuzione geografica dei posti di lavoro.

La crescita dell’Europa è ancora lontana

Quello che emerge è che il tasso di disoccupazione femminile nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 24 anni, è salita fino al 49,9 per cento. Un dato preoccupante, aggravato dalla presa di coscienza del fatto che le donne inattive tra i 24 e i 60 anni sono addirittura il 60 per cento della popolazione.

Nel 2012, si scopre che una donna su cinque, residente nel Sud del paese, era disoccupata e questa quota di “non lavoratrici” è cresciuta in un anno, dal 2011 al 2011 del 3,2 per cento. I dati, però, non sono indicativi di una situazione di discriminazione visto che anche per gli uomini, questi non sono tempi d’oro. Al Sud, infatti, la disoccupazione maschile è in crescita del 3,8 per cento fino al 15,9 per cento e se poi si fa una zoom tra i giovani, quelli tra i 15 e i 24 anni, di scopre che i disoccupati sono il 45,1 per cento.

Per l’Europa la ripresa sarà davvero nel 2014?

 Visto che dal Vecchio Continente, da diversi mesi, non arrivano notizie positive, ci si chiede se davvero si possa pensare che la ripresa arriverà nel 2014. Il governatore della Bce che aveva aperto il 2013 con una serie d’incoraggianti report, adesso si trova nelle condizioni di posticipare tutto.

Il punto del FT sulla crisi europea

Non entro la fine di questo anno ma già dal 2014 si può parlare di ripresa: parola della BCE. Ma è davvero così che stanno le cose? Le condizioni dell’Europa non sono certo rosee, basta osservare i maggiori indici. Il commercio, per esempio, ha subito una grossa contrazione e per questo è venuta a mancare una delle basi della rinascita.

La crescita dell’Europa è ancora lontana

In più c’è da prendere atto della crisi del settore bancario dove la ripresa è sempre più lenta visto che le banche sono costrette a chiedere garanzie maggiori ad un paese che in questo momento non ha una solidità adatta a sopportare il nuovo credit crunch. Se poi si pensa al recupero crediti, allora la situazione si complica visto che i tempi del recupero si allungano in modo non prevedibile.

I paesi che si stanno impegnando nella ristrutturazione dei conti e dell’economia interna danno segnali positivi ma quello che allarma sono i danni sul lungo periodo che questo prolungarsi della crisi può portare.