Lufthansa ci prova con Brussels Airlines

 Grandi manovre nel settore aereo dopo la dichiarazione d’intenti della compagnia aerea Lufthansa: diventare la maggiore azionista, nonché l’unica proprietaria di Brussels Airlines.

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Si chiama Christoph Franz ed è il CEO della Lufthansa. In una recente intervista al Suddeutsche Zeitung ha detto di voler mettere le mani sulla Brussels Airlines nel momento in cui la compagnia tornerà ad essere “conveniente” dal punto di vista commerciale. Sarà sufficiente, infatti, acquisire il 55% del capitale dell’azienda belga per controllarla praticamente in modo “totale”. La convenienza ci sarà soltanto quando la società avrà completato la ristrutturazione.

Lufthansa, tra l’altro, conosce molto bene la realtà della Brussels Airlines visto che dal 2008 ne detiene il 45% del capitale. Dal 2011 è in corso una valutazione sull’opportunità di ampliare il possesso della Brussels Airlines ma fino a questo momento la possibilità di riscattare la quota restante è passata in secondo piano. Lufthansa, infatti, ha dovuto prima sistemare i conti con Bmi British e con Austrian Airlines.

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Poi la società tedesca ha anche approvato una linea di credito di 100 milioni di euro a Brussels Airlines che non è riuscita però a usare a dovere questo piccolo gruzzoletto tanto che anche il 2012 è stato chiuso con una perdita netta di 60,7 milioni di euro. Meglio del 2011 ma sicuramente ancora “preoccupante”.

 

Secondo l’OCSE cresce il costo del lavoro

 Il costo del lavoro continua a crescere, a dirlo è l’OCSE che da quanto è iniziata la crisi non fa altro che tenere sotto controllo il settore in cui dovrebbe rinascere l’economia. Il fatto che cresca questo parametro, però, fa pensare che la crescita sarà ancora più lenta.

La ricognizione dell’OCSE è tutta dedicata alla zona euro dove il costo del lavoro è aumentato andando sopra la media. L’Italia, in tal senso, si aggiudica la medaglia d’argento visto che il lavoro costa ancora di più in Germania rispetto al nostro paese. Nel paese della Merkel, infatti nell’ultimo trimestre del 2012 il costo del lavoro è cresciuto dell’1,3 per cento mentre in Italia è cresciuto soltanto dell’1 per cento.

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In generale, l’aumento del costo del lavoro ha dimostrato un rapporto inversamente proporzionale alle retribuzioni, quindi se da un lato sono aumentati i costi legati all’attività professionale, dall’altra sono aumentate meno del previsto le retribuzioni. Un fattore che poi è stato bilanciato da un complessivo rallentamento della produttività dell’Europa.

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Il Vecchio Continente, in questo movimento, non è solo, perché rallentamento della crescita dei salari e calo della produttività hanno fatto aumentare anche il costo del lavoro negli Stati Uniti dove si parla del +1 per cento e in Canada dove l’aumento è stato più contenuto ed è dello 0,4 per cento.

 

 

Rich Ricci di Barclays si mette in tasca 18 milioni

 La Gran Bretagna, che tutti considerano ancora la gallina dalle uova d’oro per gli europei in crisi alla ricerca di lavoro, in realtà sta affrontando un forte periodo di crisi. È stata costretta a ricalcare una serie di misure di austerità, già conosciute nel resto del Vecchio Continente, al fine di tenere tutti i conti del paese sotto controllo.

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In un momento del genere, un super bonus per un banchiere, dato da una banca nazionale, farebbe infuriare chiunque. E così è stato, visto che Rich Ricci, ex collaboratore di Diamond, il CEO di Barclays che si è dimesso dopo lo scandalo Libor, ha portato nel suo portafoglio un bel gruzzoletto, un bonus da 18 milioni di sterline che vanno a sommarsi al suo già cospicuo patrimonio che sale a 57 milioni di sterline.

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Il banchiere in questione ha soltanto 49 anni e una passione per le banche e per l’ippica che, condita da una buona dose di fortuna, l’ha reso uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra. L’incremento del suo gruzzoletto però, avviene nello stesso periodo in cui il ministro del Tesoro inglese presenta i conti al Parlamento: l’economia del paese è debole, crescerà meno del previsto nel 2013 e sarebbe addirittura opportuno dimezzare le prospettive di crescita.

Dall’Euro potrebbe sempre uscire la Germania

 La Germania, che rappresenta il cuore pulsante dell’economia europea, potrebbe decidere presto di uscire dall’euro. Attenzione, stiamo facendo soltanto un’ipotesi che per quanto strampalata ci abitua ad un’analisi degli scenari molto accurata.

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Il fatto è che il sentimento antieuro e antieuropeista è al centro di moltissimi discorsi  nel nostro paese e nell’UE, perché adesso, in questo momento di grande fragilità del Vecchio Continente, anche la perdita di un solo paese nello scacchiere europeo, sarebbe fatale.

Tutti si sono messi sul piede d’allerta sentendo dell’ascesa del Movimento 5 Stelle in Italia, un voto che per quanto possa essere di protesta, accoglie in sé il malcontento per la situazione economica del paese. Ma questo non vuol dire che siamo gli unici ad essere interessati dalla crisi dell’Euro.

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Anche la Germania, per esempio, cova le serpi al suo interno e il partito anti-euro “Alternativa per la Germania” sta prendendo piede nel paese. Se il governo tedesco decidesse allora di uscire dall’euro tornando al marco, cosa ci si può aspettare che accada?

Il marco potrebbe apprezzarsi nei confronti dell’euro e delle altre valute, anche del 40 per cento e questo potrebbe determinare la definitiva perdita di competitività del paese. Gli investimenti non sarebbero più così appetibili e quindi è probabile che la considerazione della Germania tra gli investitori, sarebbe in discesa. Infine i rimborsi dei crediti verso l’estero che sarebbero restituiti con sempre maggiore difficoltà.

Chi c’è dopo Cipro?

 La storia del salvataggio di Cipro non ha precedenti e infatti è mal digerita sia dalla popolazione sia dal governo del paese. Per la prima volta, infatti, l’Europa ha vincolato l’erogazione dei fondi, degli aiuti, ad una riforma del comparto fiscale. 10 miliardi di euro pronti sul piatto se si procederà con il prelievo sui conti deposito.

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Il governo, non proprio d’accordo con la misura proposta, ha deciso tentare con la differenziazione del prelievo, promettendo di andare a prendere da chi ha più risparmi. Ma la tensione, in due giorni, è aumentata molto.

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Il prelievo forzoso sui conti deposito, se dovesse essere in qualche modo digerito, non sarà sicuramente confinato all’esperienza di Cipro. Al contrario anche l’Italia, la Grecia, la Francia, la Spagna e l’Irlanda potrebbero doversi adeguare al new deal europeo.

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Non è un’ipotesi da prendere sottogamba, soprattutto se a parlarne è un membro autorevole del Partito Democratico di Cipro che è convinto che presto questa misura sarà allargata all’Europa dei 17. In teoria, dal prelievo fiscale così studiato, si dovrebbero recuperare 5,8 miliari di euro, non pochi, che sommati a quelli dell’Europa, riuscirebbero a mettere in sicurezza le casse dello stato.

Ma è davvero già stato deciso tutto? E come reagiranno gli altri stati a questa proposta?

La negazione del codice IVA deve essere provata

 Per aprire un’attività di tipo commerciale o imprenditoriale è necessario dotarsi di una partita IVA e qualora la propria attività si svolga all’estero, è necessario anche chiedere al paese di riferimento del business, il rilascio di un codice IVA.

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Di recente è capitato che con riferimento ad alcuni documenti comunitari, un paese abbia rifiutato la richiesta di codice da parte di un’azienda, offrendo come motivazione, l’esiguità del business della stessa, insufficiente a giustificare l’attività. In pratica, il paese ha respinto la richiesta perché l’azienda considerata, non avendo la possibilità di portare a termine certe attività, avrebbe usato il codice rilasciato per finalità evasive.

Banche tedesche campionesse di evasione

In questa controversia è stato chiesto il ricorso alla Corte Europea che ha ribadito l’importanza di avere prove certe dell’ambiguità del business di un’azienda. Tutta la questione giuridica è ruotata attorno all’interpretazione degli articoli 213, 214 e 273 della direttiva 2006/112/CE. La controversia era tra una società a responsabilità limitata e l’amministrazione fiscale della Lettonia. Secondo quest’ultima, la richiesta d’iscrizione dell’azienda nel registro dei soggetti passivi IVA era da considerare elusiva perché la richiedente non aveva le capacità materiali, tecniche e finanziarie per svolgere l’attività economica dichiarata. L’azienda in questione si occupa di servizi di costruzione.

Il punto del FT sulla crisi europea

 Il salvataggio di Cipro ha mandato in tilt il sistema europeo dove si torna a parlare di contagio, di coinvolgimento dell’euro e dei paesi del Vecchio Continente nella crisi cipriota e quant’altro. La verità è che probabilmente la crisi del debito europea non è stata ancora superata.

Ecco perché infatti, anche il Financial Times ha deciso di tornare sull’argomento “Europa”. L’autorevole giornale economico spiega che la situazione economica del Vecchio Continente è sicuramente meno preoccupante che in passato e parliamo di 6 mesi fa, di un anno o di 18 mesi addietro.

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Però è anche vero che non si parla più tanto di protagonismo dell’Europa per salvare se stessa, invece si preferisce impegnare gli Stati Uniti. Con gli USA si parla d’investimenti, di accordi commerciali, si discute di stabilità finanziaria e di crescita.

Questo ha determinato un pericoloso allentamento della pressione sui politici delle diverse nazioni che non avendo il fiato dell’Europa sul collo, forse, non stanno opportunamente convogliando le energie sugli adeguamenti politici utili al Vecchio Continente.

La Germania contro l’antieuropeismo italiano

E poi, si può dire che l’Europa sia davvero fuori pericolo? Finora, anche grazie ai discorsi sempre molto chiari di Mario Draghi, abbiamo scoperto che deve essere posticipata la ripresa. Questa crescita deprimente, collegata ad investimenti ridotti e alla tendenza dei prezzi, non bilancia i progressi in termini di spread e stabilità fatti dai paesi periferici. Insomma, l’Europa sta meglio ma non è fuori pericolo.

La Germania contro l’antieuropeismo italiano

 I risultati delle elezioni hanno fatto emergere un sentimento antieuropeista molto forte nel nostro paese. Secondo Paul Krugman, infatti, il Movimento a 5 Stelle, guadagnando così tanti successi, ha soltanto fatto avanzare la protesta contro l’austerità posta dall’Europa.

Krugman parla dei problemi dell’Europa

Eppure, se adesso l’Italia uscisse dall’euro, ci sarebbero delle gravi ripercussioni su tutta l’economia del Vecchio Continente. Ecco perché, ad esempio, si teme tanto anche il contagio di Cipro. Il salvataggio dell’isola, deciso nel fine settimana, comporta un prelievo sui conti deposito ciprioti. Le nostre banche, comunque, sono poco esposte da questo punto di vista e non ci dovrebbero essere problemi.

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Cipro a parte, nella prima giornata di contrattazioni a parlare è ancora il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann che fa suonare il campanello d’allarme per il nostro paese. Ci potrebbero essere delle battute d’arresto nell’economia se si lasciasse l’euro e l’Italia sarebbe chiamata a fare delle riforme così dure da poter dire che le conseguenze sarebbero drastiche.

Ecco le parole di Weidmann:

“Se in Italia protagonisti importanti della politica discutono di una marcia indietro sulle riforme o addirittura sull’uscita dell’Italia dall’euro e come conseguenza aumenta lo spread dei titoli italiani, allora ciò non può e non deve essere un motivo per interventi della banca centrale.

Ogni Paese è responsabile delle sue azioni, quindi una completa garanzia o un finanziamento della banca centrale sono per questo motivo escluse in base ai trattati. I cittadini ed il governo decidono sulla linea della politica nazionale e devono sopportarne le conseguenze”.

Raggiunto l’accordo europeo per salvare Cipro

 L’Italia, la Spagna, in fondo queste sono situazioni gestibili se paragonate a quello che sta succedendo ad esempio a Cipro dove il paese, per diverse settimane, è stato in tensione nell’incertezza dell’erogazione degli aiuti europei.

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Adesso il via libera è arrivato dai Ministri delle Finanze degli Stati membri dell’Unione che hanno trovato un accordo sul salvataggio cipriota. Che l’Isola-Stato fosse da salvare era praticamente fuori dubbio. Il problema restava nella scelta dell’entità del finanziamento e soprattutto nella capacità dell’UE di contribuire al salvataggio.

Che strumenti sono i conti deposito

Alla fine è stato stabilito che per salvare Cipro servono 10 miliardi di euro. Una cifra portata davanti alle telecamere come un’indiscrezione sulla quantità massima di soldi da erogati dall’UE a Nicosia che, da parte sua, aveva chiesto un fondo di almeno 17,5 miliardi di euro. Il FMI internazionale, in questa storia, entrerà partecipando al finanziamento con 1 miliardi di euro.

Oltre ai soldi è stato studiato un piano d’assistenza, una strategia per recuperare soldi dalle risorse di Cipro, nota come un luogo in cui molti vanno a depositare il denaro da investire. Proprio per questo si è pensato di emanare un tassa che vada a colpire i depositi bancari negli istituti di credito ciprioti, tassati al 9,9 per cento. Una ritenuta alla fonte che ridurrà gli interessi ma contribuirà a rimettere in piedi i forzieri del paese.

Fitch taglia tutti

 L’agenzia di rating Fitch non ha fiducia nella possibilità che nel 2013 si riesca ad uscire dalla crisi economica o iniziare la strada che porta alla fine del tunnel.► Fitch abbassa il rating del debito italiano

Prendendo anche spunto dal bollettino mensile della BCE emanato ieri che mette in evidenza come siano ancora presenti degli altissimi margini di rischio recessione per l’economia della zona euro, l’agenzia americana ha deciso di tagliare le stime di crescita per il mondo intero.

Fitch ha rivisto al ribasso le stime di crescita globali per il 2013 e per il 2014, portandole ad un +2,2% per quest’anno, contro il 2,4% precedentemente stimato, e al 2,8% per il prossimo anno (prima la crescita prevista era del 2,9%).

La situazione più problematica, secondo Fitch, è quella dell’Eurozona: per il 2013 il Pil del complesso dei paesi dell’Unione è previsto in contrazione dello 0,5% (la stima di dicembre era di -0,1%) e solo nel 2014 si potrà assistere ad una leggera crescita, stimata all’1%, contro l’1,2% delle stime di dicembre.

► Morgan Stanley abbassa stime del Pil italiano

Meglio, invece, per gli Stati Uniti dove per l’anno in corso è prevista una crescita dell’1,9%, comunque in calo dalla precedente stima del 2,3%. Questo abbassamento è il risultato del sequester, che porterà ad un taglio lineare alla spesa pubblica di circa 85 milioni di dollari, con un’incidenza diretta sul pil dello 0,5%.