La crescita dell’Europa è ancora lontana

 Lo aveva anticipato Mario Draghi ed ora è stata offerta la versione completa del report della Banca Centrale Europea che, analizzate le condizioni dell’Eurozona, non ritiene che si possa parlare di ripresa prima della fine dell’anno. La crescita, poi, è qualcosa che sarà reale soltanto a partire dal 2014. Insomma lo scenario è più complesso del previsto.

La ripresa ci sarà dal 2014

Nel bollettino mensile della BCE si rende noto che la situazione del mercato nell’area dell’euro è migliorata ma questo miglioramento è legato soltanto al buon andamento delle obbligazioni e non all’andamento dell’economia del paese. Questo vuol dire che la ripresa si allontana.

Ottimisticamente, Mario Draghi, all’inizio del 2013, sotto la spinta che arrivava dall’anno precedente, aveva detto che la ripresa ci sarebbe stata già a partire dal secondo semestre dell’anno. Invece questo non accade e per parlare di crescita si dovrà aspettare almeno la fine dell’anno.

Cause e conseguenze del PIL italiano

Sicuramente le aste di Italia e Spagna, concluse di recente, fanno ben sperare sulla sorte di due paesi che nello scacchiere europeo sono considerati al tempo stesso cruciali e debolissimi. E’ scontato allora che la politica monetaria attuale, definita accomodante, debba continuare in questa direzione, in modo che la crescita economica dei paesi in difficoltà sia sostenuta e i governi stimolati a proseguire con riforme e ristrutturazioni del settore finanziario.

Ritardi nella crescita secondo la BCE

La BCE  – Banca Centrale Europea – ha emesso il bollettino mensile sulla situazione economica che si troverà ad affrontare l’Eurozona nei prossimi mesi. Le previsioni più ottimistiche fanno sperare in una ripresa che sarà graduale nel secondo semestre, ma vi sono all’attivo anche delle forze negative che potrebbero alterare o compromettere questi dati, dunque ritardare la ripresa economica.

Le forze negative sono da considerare dei “rischi al ribasso” con il potere di porre un freno alla ripresa: fra questi, soprattutto, vi è la lenta o insufficiente attuazione delle riforme strutturali.

Bollettino mensile BCE: Europa ancora in recessione

Per far fronte al problema delle riforme strutturali, secondo la BCE, è necessario che i governi combattano la disoccupazione giovanile, creando nuove opportunità di occupazione e di lavoro, promuovendo forme economiche dinamiche e flessibili.

Altro tema bollato come nero e dunque interessato da eventuali riforme è quello del debito pubblico degli Stati membri. La BCE fa notare come alcuni debiti pubblici abbiano raggiunto livelli veramente rari in tempi di pace, ed è proprio questo e il rapporto negativo  con il relativo PIL che può valere come ostacolo alla crescita.

La Germania all’attacco della Banca Centrale Europea

All’interno del bollettino viene segnalato infine il fatto che nell’Eurozona le condizioni per la concessione del credito a piccole e medie imprese appaiono in genere restrittive.

Strategie per uscire dalla crisi

 Per uscire dalla crisi ci sono diverse strategie che, sulla base del governo in carica e sulla base della situazione contingente, possono essere considerate di destra o di sinistra, conformi all’imperativo dell’austerità, oppure in linea con l’idea di sviluppo della produzione.

Il primo approccio, quello che è collegato ad un clima e alle proposte di austerità, è stato duramente contestato dal premio Nobel per l’Economia Paul Krugman che in questo caso ha ritenuto importante la proposta che per l’Italia ha portato avanti il Movimento 5 Stelle.

L’Italia declassata dall’agenzia Fitch

Il sistema dell’austerità si basa su una considerazione estrema, riassuntiva, della situazione del portafoglio di un paese: lo stato ha più spese che incassi e il disavanzo è diventato insopportabile o sostenibile sul lungo periodo. La risposta a queste considerazioni si trova in strumenti talvolta applauditi, tal altra considerati sciagurati, come ad esempio la spending review oppure la riduzione del deficit.

► Non si cresce se scende soltanto l’inflazione

Il secondo approccio, quello maggiormente focalizzato sulla produttività economica, è sintetizzato nell’approccio di “stimolo”. Il suo obiettivo è diametralmente opposto visto che punta ad alimentare la spesa ed “allargare” in qualche modo il deficit per far fronte alla disoccupazione e per far sì che i consumatori abbiano una maggiore dote di liquidità da spendere sul mercato.

La situazione ungherese e quella inglese a confronto

 L’Europa non è un continente solido in questo momento, visto che a parte qualche tensione di natura politica, sta affrontando una crisi economica che finora non era stata opportunamente considerata.

L’euro sta soffrendo e la natura di questa sofferenza si lega alla stabilità dei governi e alle relazioni che il Vecchio Continente intrattiene con l’economia americana e con quella cinese. Affrontiamo ora, più nel dettaglio, il problema ungherese, prima di effettuare un piccolo parallelismo con l’Inghilterra.

Confermata la crisi del settore auto UE

L’Ungheria è il prossimo problema da risolvere per l’Europa, adesso impegnata nella scelta del salvataggio di Cipro, prima che siano pubblicati i dati sulla ricchezza delle famiglie europee. Il neo premier ungherese, Viktor Orban, per esempio, è riuscito ad avere il sostegno del Parlamento, necessario per un cambiamento della Costituzione, ma allo stesso tempo, dalle Camere, ha ottenuto l’invito a chiudere i ponti con l’Europa.

L’euro non è stato un buon affare per la Slovacchia

Una scelta che per questo paese potrebbe essere anacronistica ed antieconomica. Lo sostengono numerosi analisti promotori dell’euro che scoraggiano ogni stato che decida di valutare l’uscita dalla moneta unica.

In piazza le proteste verso la condotta del premier sono state vigorose e anche Bruxelles ha ribadito più di una volta che la politica di chiusura del premier Orban rischia di essere “perseguita”. Un giro di vite autarchico si è avuto anche quando il presidente ha nominato governatore della banca centrale un suo fedelissimo.

Il parallelo con l’Inghilterra è semplice nel momento in cui si considera che il paese è estraneo all’euro, ma allo stesso tempo si augura di stipulare accordi bilaterali con Bruxelles che gli diano una posizione di rilievo, un po’ come è successo alla Svizzera.

La Germania all’attacco della Banca Centrale Europea

 Una ricerca della BCE, di cui abbiamo parlato, dimostra che gli italiani sono più ricchi dei tedeschi ma non solo, facendo una panoramica sulla distruzione della ricchezza nell’UE, questo report spiega che l’opinione diffusa non corrisponde alla situazione reale.

Qualcuno dice che siamo più ricchi dei tedeschi

Il report, però, non è stato ancora pubblicato e questo non piace alla Germania che finora, considerata la prima della classe, ha dovuto anche contribuire in modo più incisivo alla formazione e al mantenimento del Fondo Salva Stati.

Per questo o per altri motivi che non sono ancora stati spiegati per bene, la Germania è partita all’attacco della BCE accusandola di ritardare nella pubblicazione del documento da lei stessa prodotto, per evitare che si sappia veramente come stanno le cose nell’Eurozona.

► Forbes ha stilato la classifica degli uomini più ricchi del mondo

Le accuse lanciate alla BCE sono gravi e hanno una risonanza ancora più grande se a “pubblicizzarle” ci ha pensato un quotidiano liberalconservatore molto influente, come lo è Frakfurter Allgemeine.

Dalle colonne di questo giornale si spiega che la BCE ha in mente una precisa strategia che è quella di rendere noto il documento, di cui comunque si conoscono già alcune parti, soltanto dopo che sono state approvate le misure per il salvataggio di Cipro. I dati, infatti, potrebbero influenzare negativamente le scelte degli stati.

dei salari che crescono soltanto dello 0,1 per cento.

 

Nessuno si aspettava un exploit del carbone

 Si parla tanto di energie rinnovabili, di risparmio energetico, di progetti delle nazioni per raggiungere l’autonomia energetica bilanciando le importazioni e la produzione di petrolio, che si è finito per perdere di vista il carbone. Numerose previsioni d’investimento, legate al mondo delle materie prime, hanno escluso il carbone dal computo delle materie su cui vale la pena puntare qualcosa.

Il carbone è la materia prima più richiesta

Invece una recente indagine del World economic forum, ha dimostrato che negli ultimi dieci anno il carbone è cresciuto al punto che deve considerarsi la fonte energetica cresciuta di più in termini assoluti. La domanda di questo materiale è cresciuta dieci volte di più della domanda di energie rinnovabili.

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Ma la domanda di carbone è cresciuta anche due volte di più di quella del gas e tre volte di più di quella del petrolio. Eppure la sensibilità ecologica di cittadini ed investitori, sembrava accresciuta. Le rinnovabili, sulla produzione energetica mondiale, mantengono un ruolo marginale rappresentando l’1,6 per cento della produzione di energia nel mondo.

Non stiamo parlando di un improvviso cambio di tendenza. Il risultato di questa ricerca vuole proporre un quadro veritiero della situazione dove, per l’appunto, le fonti fossile non sostituiranno le fonti rinnovabili, prima che siano passati almeno 20 anni.

La ripresa ci sarà dal 2014

 L’economia della zona euro è in difficoltà ed è complicato in questo momento tirare fuori gli elementi che potrebbero rimettere in ordine i bilanci dell’UE e dei suoi stati membri. Nonostante gli sforzi, infatti, la ripresa resta molto lenta e a parlare di tutto questo, nei giorni scorsi, ci ha pensato Mario Draghi.

Fiducia per le banche centrali

La rinnovata fiducia nelle banche centrali, ha dato al presidente della BCE la possibilità di fare un’analisi lucida della situazione. Si è parlato soprattutto di taglio dei tassi, di tassi invariati e di previsioni per la ripresa. Se fino a gennaio l’ottimismo impone una rincorsa della ripresa che si sarebbe vista dalla seconda metà del 2013, a distanza di qualche mese bisogna rifare i conti.

Scende lo spred e vanno bene le banche

Secondo Draghi la ripresa non ci sarà prima di un anno. Gli investitori, a questa nuova previsione, avrebbero potuto gettare la spugna, invece sono andati avanti senza considerare le nuove stime di Draghi.

A livello nazionale è chiaro che l’Italia dovrà affrontare un altro anno di crisi ma dagli atteggiamenti degli investitori, sembra che tutti siano fiduciosi sul futuro del nostro paese. Insomma, l’Italia, anche quella post elettorale, non è un motivo di preoccupazione. E per quanto riguarda la politica? In Europa sono meno scandalizzati i politici e gli investitori di quanto non lo siano i media e i politici tricolore.

Troppe poche donne nei cda europei

 Nei 27 paesi dell’Unione Europea ci sono troppe poche donne che figurano nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa: solo una su ogni dieci uomini.
► Nel 2012 è stato boom di donne imprenditrici

E’ questo il risultato dello studio della Commissione Europea sulla composizione dei board delle spa europee. Un dato che fa parecchia impressione, soprattutto se visto in percentuale: 10,2% di donne contro il 97,6% di uomini. Percentuali che, come fa notare la Commissione Europea nella nota di accompagnamento della ricerca, non prende in considerazione il fatto che i motori del cambiamento sono proprio quei dove le ‘quote rosa’ imposte per legge.

Come in Italia, paese che la Commissione prende ad esempio dal momento che dopo l’entrata in vigore della legge del luglio 2011 il numero delle donne presenti nei consigli di amministrazione è passato dal 5,6% di ottobre 2011 all’11,0% di ottobre 2012.

Nello studio è stata fatta una distinzione fondamentale tra tra membri esecutivi e ‘non esecutivi’ dei board. Prendendo come riferimento solo questa ultima figura la media europea di presenze femminile migliora e si allinea con quelle degli altri paesi. In Europa sono il 16,8%, come negli Stati Uniti. Percentuale appena più bassa per l’Australia(15%) poi segue il  Canada (10%) e la Cina (9%).

► A Yahoo! piacciono le donne

A chiudere la classifica India, Russia e Brasile con solo il 5% ed il Giappone che arriva appena all’1%.

L’euro, a chi piace e a chi non piace affatto

 L’euro è una moneta che unisce ma un concetto che divide e lo possiamo vedere bene dalla contrapposizione che la moneta unica genera soltanto nel nostra paese. Ci sono i convinti europeisti che vedono nell’ipotesi del ritorno alla valuta locale, la lira nel nostro caso, il principio di una disfatta economica senza precedenti. Ma ci sono anche coloro che al contrario ritengono che uscire dall’euro sia la sola via di uscita alla crisi.

Allianz non lascia, anzi raddoppia

Il problema e la riflessione si concentra soprattutto sulle scelte che vogliono fare i paesi che dell’euro fanno già parte, per esempio l’Italia dove il sentimento antieuro sta crescendo, sostenuto dal perdurare della crisi. Molto interessante è anche quel che sceglieranno di fare i paesi dell’Est Europa.

La ripresa ci sarà ma alla fine dell’anno

Per esempio la Lettonia spinge per entrare il prima possibile nell’euro, mentre la Polonia non ha alcuna fretta e preferisce restare fuori dai giochi. La Slovacchia che prima dei due paesi ha già aderito alla moneta unica del Vecchio Continente, è in una fase di pentimento e revisione del pensiero.

Il fatto è che la crisi sta incidendo in modo forte sulle economie nazionali e i vincoli di stabilità che pone l’Europa sono molto stringenti. La fine del 2013, quindi, dovrà portare necessariamente una soluzione alla crisi del debito sovrano.