Quanto vale il redditometro?

 E’ la Cgia di Mestre a dare una prima stima di quanto arriverà nelle casse dello Stato grazie al Redditometro, il nuovo strumento messo in campo dall’Agenzia delle Entrate per combattere l’evasione fiscale.

Il dato emerso parla di un bottino piuttosto misero: ‘solo’ 815 milioni di euro, 700 dei quali arriveranno direttamente dai contribuenti che, per paura di essere scoperti, eviteranno di eludere il fisco e i restanti arriveranno dalle attività di accertamento vere e proprie.

Il Redditometro mette in crisi il mercato del lusso

Si tratta ancora di dati approssimativi che sono stati elaborati sulla base della Relazione tecnica relativa al Redditometro che risale, ormai, al maggio del 2010. Quindi, come ha sottolineato Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, forse è stato fatto tanto rumore per nulla.

Ai comuni mortali una cifra come 815 milioni di euro sembrano un’infinità di soldi, ma, se relazionati al mare di denari che circola nelle casse dello Stato, si tratta, appunto, solo di una goccia. Ovviamente sarà manna dal cielo per le casse pubbliche sempre in rosso, ma non tanta quanto sperato.

Come usare il Redditometro

Cosa aspettarsi dal Redditometro, quindi? Se non un bel po’ di soldi, almeno una reale stretta su evasori totali e su chiunque non paga quanto dovuto.

Evasione fiscale, una voragine nelle casse dello Stato

 L’evasione fiscale è una delle peggiori piaghe italiane. Secondo il rapporto della Guardia di Finanza mancano all’appello ben 41 miliardi di euro, una cifra desinata a salire con il proseguire dei controlli. Di questi 28 miliardi soldi non denunciati e 13 quelli che, invece, sarebbero finiti in conti correnti esteri.

Per tutto l’anno la Guardia di finanza ha passato al setaccio le attività commerciali italiane riscontrando irregolarità nell’emissione di scontrini o fatture in un esercizio su tre. 7.500 gli evasori totali, ai quali si aggiungono ben 600 milioni di euro non pagati all’Iva.

10.000 denunce per reati tributari, 150 delle quali trasformate in arresto. 375 quelle per frode fiscale e riciclaggio e una segnalazione all’Agenzia delle Entrate di 170 milioni di euro di basi imponibili sottratte all’imposizione fiscale.

Numeri enormi a cui si aggiunge anche la difficoltà per le forze dell’ordine a recuperare il capitale: la GdF ha sequestrato beni per oltre 2 miliardi e 300 milioni di euro, ma ne sono stati incassati solo 900 milioni. I capitali più difficili da recuperare sono quelli che sono stati portati all’estero (per ora le indagini hanno portato ad individuare 2.180 violazioni per un valore pari a 102 milioni di euro, e di sequestrare denaro e titoli per circa 44 milioni di euro).

 

Deutsche Bank, perquisizione e cinque arresti per evasione fiscale

 Giovedì nero per la Deutsche Bank e i sui vertici. Nelle sedi di Francoforte, Düsseldorf e Berlino e nelle residenze private dei dirigenti coinvolti sono state effettuate perquisizioni da parte di circa 500 agenti di polizia.

Secondo quanto riportato dallo Spiegel e da Reuters tra i nomi importanti su cui pendono le accuse di evasione fiscale ci sono il co-ceo Jürgen Fischen e lo chief financial officer, Stefan Krause. Il reato di evasione si riferisce alla dichiarazione fiscale della Deutsche Bank del 2009, in modo particolare si segnala una possibile evasione delle imposte relative al commercio di diritti sulle emissioni di CO2.

Secondo la Deutsche Bank  i dati sono stati corretti entro le date previste, ma il procuratore generale di Hessen che indaga dal 2010 sulle attività della banca sostiene i contrario.

I primi risultati delle indagini sono arrivati già nel 2011, quando il tribunale distrettuale di Francoforte ha condannato sei persone, ree dell’evasione di almeno 230 milioni di euro sul commercio di diritti sulle emissioni.

Per ora gli arrestati sono cinque e l’operazione è stata condotta in modo spettacolare: dispiegati un gran numero di agenti e di mezzi, come per ribadire che la campagna di comunicazione messa in atto in questi giorni dalla banca tedesca per ammortizzare l’impatto del coinvolgimento nello scandalo Libor e nella vendita di titoli tossici non può nulla contro l’evidenza legislativa.

Google e i paradisi fiscali

 Sembra ormai certo che i grandi colossi dell’informatica siano ricorsi ai paradisi fiscali per eludere il fisco. Dopo Apple, anche Google è sospettata di aver fatto ricorso ai paesi in cui le leggi sul fisco per eludere in modo legale quello europeo, riuscendo così ad evitare di sborsare ogni anno miliardi di dollari nelle casse dei paesi in cui opera.

E’ quanto dichiara Bloomberg, una dichiarazione che conferma le ipotesi di evasione già formulate in Italia e alle quali si sta cercando di dare un chiarimento attraverso i controlli della Guardia di Finanza fatti nelle sedi di Google, che dovrebbe pagare circa 96 milioni di euro all’erario italiano, e nelle sedi di Facebook Italia.

Le operazioni di trasferimento di denaro di cui parla Bloomberg si riferiscono al 2011, quando BigG avrebbe spostato quasi 10 miliardi di dollari alle Bermuda, riuscendo ad eludere il fisco per circa 2 miliardi di dollari. Nella pratica non c’è nulla di illegale – è possibile spostare i propri capitali e i propri guadagno dove meglio si crede visto che la legge lo consente – ma è proprio questo vuoto legislativo a costituire il problema.

Google, come già fatto per gli accertamenti subiti in Italia, risponde mettendo sul piatto le sue cifre e evidenziando che, anche nel caso in cui ci fosse stato davvero uno spostamento di capitali verso mete offshore, il suo operato sul territorio europeo vale 700 posti di lavoro in Germania e 1200 in Inghilterra.

Controlli fiscali anche per Facebook Italy

 Sono le aziende tecnologiche ad interessare in modo particolare al fisco, non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa. Dopo l’interrogazione parlamentare per Google, che non avrebbe pagato tributi in Italia per circa 96 milioni di euro, adesso è l’azienda fondata da Mark Zuckerberg a essere stata messa sotto controllo.

Le motivazioni sono le stesse: le grandi multinazionali della tecnologia sfrutterebbero le lacune delle leggi tributarie dei vari paesi per non versare quanto dovuto. Nel caso di Facebook Italy, che è una società a responsabilità limitata e appartiene al gruppo Facebook Global Holdings, LLC (Limited Liability Company) con sede nel Delaware, stato che permette alle aziende che vi hanno sede ma che non operano negli Stati Uniti di pagare solo un’imposta fissa annuale di poche centinaia di dollari e nessuna tassa sugli utili.

Per la legge italiana questa modalità operativa non è legale, in quanto la sede italiana di Facebook è una “stabile organizzazione” e quindi deve pagare la sua quota di imposte sul fatturato secondo quanto previsto dalla legislazione nostrana.

Da Facebook replicano:

che la società paga le tasse in Italia come parte della sua attività nel Paese e rispetta molto seriamente i propri obblighi ai sensi della legislazione italiana in materia fiscale. Facebook lavora a stretto contatto con le autorità fiscali di ogni Paese in cui opera per garantire la conformità con la legislazione locale. Facebook ha cooperato pienamente con la Guardia di Finanza nel corso delle indagini e intende continuare a farlo.

Pronto il piano d’azione della Commissione Europea contro l’evasione

 Algirdas Semeta, commissario europeo per la fiscalità e l’unione doganale, l’audit e la lotta antifrode, non ha dubbi:

Ogni anno nell’UE si perdono mille miliardi di euro a causa dell’evasione e dell’elusione fiscali. Non si tratta soltanto di una scandalosa perdita di entrate estremamente necessarie, ma di una minaccia per la giustizia fiscale. Sebbene gli Stati membri debbano potenziare le misure nazionali per la lotta all’evasione fiscale, le soluzioni unilaterali non saranno sufficienti. In un mercato unico, nel contesto di un’economia globalizzata, le incoerenze e le lacune nazionali diventano il terreno di gioco per chi cerca di eludere la tassazione. Una posizione forte e coesa dell’Unione nei confronti degli evasori fiscali, e di coloro che li agevolano, è quindi fondamentale.

Nel piano d’azione presentato oggi in Comissione Europea, si auspica che l’Unione Europea, per mezzo delle sue istituzioni e dell’operato delle singole unità nazionali, si schieri, in maniera forte e coesa, contro i paradisi fiscali, anche attraverso misure specifiche per convincere i paesi terzi ad applicare le norme di governance dell’Unione.

In secondo luogo Semeta ha ribadito la necessità di una pianificazione fiscale aggressiva, che vada a colmare le lacune legislative e a chiarire i tecnicismi che fino ad ora hanno permesso l’evasione e l’elusione fiscale, cercando di creare le condizioni per cui la tassazione si basi sulla reale possibilità economica di ogni azienda che opera nell’Unione.

Tra le altre misure suggerite dal piano d’azione contro l’evasione ci sono: un codice dei contribuenti, un codice di identificazione fiscale dell’UE, un riesame delle disposizioni antiabuso delle principali direttive comunitarie e gli orientamenti comuni per la tracciabilità dei flussi di denaro.

L’elusione fiscale non premia

 L’elusione fiscale non premia le aziende quotate in borsa. Gli investitori, nell’ultimo periodo, tendono a fidarsi molto poco delle aziende che delocalizzano la produzione all’estero per avere benefit dal punto di vista fiscale. Un caso di questo tipo è rappresentato dalla Apple.

L’azienda di Cupertino è finita di nuovo nel mirino dell’Ente che in America si occupa delle riscossione delle tasse. Il problema sembra legato ad una sorta di elusione fiscale che non è illegale, fa bene ai conti delle aziende che la usano, ma non convince gli investitori.

In pratica la Apple avrebbe dovuto pagare un’imposta del 35 per cento sui profitti ottenuti negli Stati Uniti e così ha pensato di delocalizzare la produzione dell’azienda all’estero e in questo modo ha avuto la possibilità di pagare soltanto le imposte estere che sono ferme al 2 per cento circa.

E’ chiaro che in questo  modo gli introiti della Apple sono cresciuti e si può spiegare facilmente l’impennata del titolo negli anni passati. La strategia della Mela Morsicata è stata adottata in passato anche da Microsoft e da Hewlett-Packard.

Per quanto riguarda la Apple, dalla morte di Jobs in poi, l’elusione fiscale è stata accentuata passando da 74 a 82,6 miliardi di contanti. L’America adesso studia un modo per riportare a casa quel denaro e per ridimensionare la portata del titolo Apple.