Le novità per la ritenuta d’acconto

 La ritenuta d’acconto è una trattenuta che in alcuni paesi, tra questi anche l’Italia, viene applicata su alcuni tipi di compenso. Nello specifico la ritenuta d’acconto si applica su compensi corrisposti da soggetti sostituti d’imposta ai cosiddetti percipienti direttamente in fattura quando si tratta di acquisto di servizi e di prestazioni di lavoro autonomo e dipendente.

► Novità nella fatturazione IVA

Continuando il percorso intrapreso verso la semplificazione della burocrazia italiana, l’Agenzia delle Entrate sta mettendo a punto diverse novità, una delle quali riguarda proprio l’obbligo di ritenuta d’acconto, che è stato eliminato per le fatture inerenti le prestazioni che prevedono solo rimborsi per spese di viaggio vitto e alloggio.

Si tratta delle spese considerate come strettamente necessarie allo svolgimento del lavoro, anche nel caso in cui queste fossero state già anticipate dal committente, che non devono più passibili di ritenuta d’acconto se il reddito prodotto è pari a zero.

Lo ha fatto con la risoluzione n. 49/E dell’11 luglio 2013, nella quale si specifica che:

I redditi di lavoro autonomo non abituale sono determinati, proprio in ragione della loro occasionalità, tenendo conto del collegamento specifico tra compenso e spesa sostenuta per conseguirlo.

 Come si compila una ricevuta fiscale

La ritenuta d’acconto, invece, continua ad essere obbligatoria quando il compenso percepito dal lavoratore sia maggiore delle spese necessarie allo svolgimento del lavoro. In questa circostanza il compenso percepito sarà totalmente assoggettato alla ritenuta d’acconto.

Le novità per la riscossione dei debiti apportate dal Decreto del Fare

 Sappiamo bene quanto sia pesante la pressione fiscale in Italia. Le tasse ‘mangiano’ quasi tutto ciò che si riesce a guadagnare e, data la particolare congiuntura economica che stiamo attraversando, spesso i cittadini e le imprese si trovano impossibilitati a pagare quanto dovuto.

In questi casi subentra l’Agenzia delle Entrate, coadiuvata, anche se ancora per poco, da Equitalia per ottenere in modo coattivo quanto dovuto dai debitori. Una situazione, questa, non sempre sopportabile e che ha messo sul lastrico moltissime famiglie e imprese.

Per questo, con il Decreto del Fare, il Governo ha deciso di ammorbidire i metodi utilizzati per la riscossione coattiva dei debiti, impedendo, da un lato, i pignoramenti di beni e stipendi e dando maggiori possibilità di rateizzazione.

Vediamo come sono cambiate le metodologie di riscossione dei debiti con il Decreto del Fare.

Decreto del Fare e riscossione debiti: quali novità?

Le novità sui pignoramenti di stipendi e pensioni

Per tutelare le famiglie in difficoltà economiche, con il Decreto del Fare il governo ha reso impossibile il pignoramento dell’ultimo stipendio o pensione accreditato sul conto corrente del debitore, che ne avrà così piena disponibilità.

In secondo luogo, nel caso il pignoramento sia a carico di terzi (datore di lavoro o ente di previdenza) il tempo a disposizione per il pagamento è stato portato da 15 a 60 giorni. 

Le novità sui pignoramenti degli immobili

Il Decreto del Fare impedisce ad Equitalia di provvedere al pignoramento degli immobili quando questi risultano essere l’unico immobile in possesso del debitore usato come abitazione principale (sono esclusi immobili di lusso, ville, castelli e palazzi).

Gli immobili, inoltre, non potranno essere pignorati in caso di debito inferiore ai 120 mila euro.

Nel caso, però, in cui il debitore sia in possesso di un solo immobile che però non usa come residenza principale, si potrà provvedere al pignoramento, ma solo in caso di debito superiore ai 120 mila euro.

Le novità sulla rateizzazione

La principale novità per quanto riguarda la possibilità di rateizzazione dei debiti è l’innalzamento della soglia minima entro la quale poteva essere richiesto che è stata portata da 20 a 50 mila euro.

Inoltre sono state aumentate anche il numero delle rate con le quali è possibile restituire il proprio debito: prima erano 72 (sei anni), ora sono 120 (10 anni). Possono accedere all’estensione delle rate tutti i debitori, sia se si tratta della prima richiesta di rateizzazione che di una proroga, ma solo se possono dimostrare:

comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica ed estranea a responsabilità dirette del contribuente.

Ultima novità per la rateizzazione è l’aumento del numero delle rate insolute necessarie alla decadenza del beneficio della rateizzazione che sono state portate da 2 ad 8.

 

Come e quando si paga la cedolare secca?

 Anche se in misura ridotta e in una unica soluzione, la cedolare secca prevede il pagamento di tutte le tasse e le imposte relative ai contratti di locazione. La cedolare secca permette al locatario di pagare Irpef, addizionali regionale e comunale, imposta di registro (2% sul canone pattuito) e imposta di bollo con un solo versamento o in due rate.

 Contratto di affitto – Clausola di cedolare secca

Le scadenze per il pagamento della cedolare secca

La legislazione in materia prevede che le imposte della cedolare secca debbano essere pagate dal locatario in due rate: una che scade il 16 luglio e uno con scadenza al 30 novembre di ogni anno, con un importo pari al 40% del totale dell’imposizione risultante da versare con la prima rata di luglio e il restante 60% a da corrispondere a novembre.

Unica eccezione prevista è prevista nel caso l’imposta risultante dalla cedolare secca è inferiore a 257,52 euro, che potrà essere pagata in un’unica soluzione alla scadenza di novembre.

► Vantaggi e svantaggi della cedolare secca

Come si paga la cedolare secca?

La cedolare secca deve essere pagata tramite Modello F24 presso le banche o gli uffici postali convenzionati.

I codici tributo da utilizzare per il pagamento sono:

  • 1840 per la prima rata
  • 1841 per la seconda o la soluzione unica
  • 1842 per il saldo.

 

Guida all’APE Attestato di Prestazione Energetica

 Cos’è l’APE?

L’APE è l’Attestato di Prestazione Energetica, ossia un documento che certifica le prestazioni energetiche di un immobile. Questo documento sostituisce l’ACE (Attestato di Certificazione Energetica) al fine di equiparare la legislazione italiana in materia a quella europea.

► Via alla vera certificazione energetica

Quanto dura l’APE?

L’Attestato di Prestazione Energetica ha una durata di 10 anni. Nel caso di interventi sull’immobile fatti prima della scadenza che abbiano comportato una modifica delle prestazioni energetiche dell’immobile, il proprietario deve produrre un nuovo documento.

Da chi e quando viene rilasciato l’APE?

L’ACE deve essere rilasciato in caso di nuovi edifici o di interventi di ristrutturazione su immobili esistenti che abbiano comportato un intervento su più del 25% della superficie totale dell’involucro dell’immobile stesso dal soggetto che ha eseguito i lavoro una volta che questi sono terminati.

Chi rilascia l’APE?

Nel caso si tratti di una vendita, locazione o cessione a titolo gratuito di un immobile è il proprietario dello stesso che deve provvedere al rilascio dell’attestato in concomitanza con la stipula del contratto preliminare.

Per immobili di nuova costruzione l’APE deve essere rilasciato quando viene richiesto il certificato di agibilità dell’immobile.

► L’IVA al 22% incide sulle spese di casa

Cosa fare se si è già in possesso di un ACE in corso di validità?

Se si è in possesso di un ACE valido prodotto prima del 5 giugno 2013, questo è da ritenersi valido per i successi 10 anni,  a meno di modifiche sull’immobile che ne modifichino le prestazioni energetiche.

Come funziona il regime delle nuove iniziative produttive per l’apertura di una Partita Iva?

 Quando si decide di mettersi in proprio e di iniziare a lavorare percependo i propri compensi tramite Partita Iva è necessario fare molta attenzione alla scelta del regime fiscale.

Infatti, il Governo, per andare incontro a tutti coloro che hanno volontà imprenditoriale anche in questa difficile situazione economica, ha messo a punto diversi regimi fiscali per i possessori di una Partita Iva. Tra questi ci sono il regime dei minimi e il regime delle nuove iniziative produttive.

► Come si apre la Partita Iva?

Se il primo regime è dedicato a persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni che iniziano una nuova attività, il regime delle nuove iniziative produttive è quello migliore nel caso in cui si rientri nella categoria delle persone fisiche che iniziano una nuova attività d’impresa (incluse anche le imprese familiari) per la prestazione di servizi o per attività industriali o commerciali.

Questo regime – la cui scelta deve essere indicata nel modello AA9/11 necessario alla richiesta dell’apertura della Partita Iva – prevede il pagamento di una tassa unica del 10% che sostituisce l’Irpef e le altre addizionali regionali, ma chi sceglie questo regime deve poi provvedere autonomamente alla regolarizzazione delle posizioni Inps e Inail e agli obblighi amministrativi relativi alla Camera di Commercio.

Per usufruire del regime delle nuove iniziative produttive è necessario essere in possesso di tutti i requisiti necessari per l’adesione al regime dei nuovi minimi, ai quali si aggiunge il limite di 30.987,41 euro per i compensi derivanti da attività di prestazione di servizi e di 61.974,83 euro  se si tratta di attività industriali o commerciali.

► Chi può avvalersi del regime dei minimi per l’apertura di una Partita Iva?

Non è prevista ritenuta d’acconto, ma chi sceglie il regime delle nuove attività produttive, differentemente da quanto accade per il regime dei minimi, ha l’obbligo di conservare i documenti contabili e di fatturare le operazioni attive.

 

Chi può avvalersi del regime dei minimi per l’apertura di una Partita Iva?

 Sempre più spesso le aziende richiedono ai giovani il possesso di una Partita Iva. In questo modo le aziende non hanno particolari carichi fiscali, in quanto questi sono riversati sul lavoratore stesso che dovrà provvedere al pagamento delle tasse e delle imposte relative ai redditi percepiti, alla previdenza e alle varie addizionali regionali.

► Come si apre la Partita Iva?

Con una normale Partita Iva queste imposizioni fiscali sono piuttosto proibitive, soprattutto per chi si accinge a iniziare una nuova attività: per questo è stato studiato il regime dei minimi – trasformatosi nel 2011 in regime dei nuovi minimi – che prevede una minore imposizione fiscale e meno oneri burocratici.

La Partita Iva con il regime dei nuovi minimi (scelta che deve essere indicata nella compilazione del modello AA9/11 necessario per l’apertura della stessa) è destinata a nuovi imprenditori, giovani e lavoratori in mobilità che hanno aperto un’impresa o un’attività autonoma a partire dall’1 gennaio del 2012, ma per potersi avvalere dei suoi benefici è necessario essere in possesso anche dei seguenti requisiti:

1. Età non superiore ai 35 anni;

2. Non aver esercitato attività artistiche o professionali nei tre anni precedenti;

3. L’attività per la quale si apre la Partita Iva con il regime dei minimi non deve essere la prosecuzione dell’attività svolta precedentemente;

4. Il compenso percepito nell’anno precedente all’apertura della Partita Iva non deve essere superiore ai 30.000 euro.

Il regime dei minimi vale per cinque dalla prima richiesta ed è rinnovabile fino al compimento del 35° anno di età.

► Come funziona il regime delle nuove iniziative produttive per l’apertura di una Partita Iva?

Va ricordato, inoltre, che chi decide di aprire una Partita Iva con il regime dei nuovi minimi non è sottoposto alla registrazione e alla tenuta scritture contabili per imposte dirette ed è anche esonerato dal versamento e dagli obblighi IVA.

Bonus asilo nido e baby sitter: come presentare la domanda

 La maggior parte delle madri lavoratrici potranno, a partire dal primo di luglio e fino al 10 dello stesso mese, presentare la domanda per ricevere l’ erogazione di un Bonus asilo nido e baby sitter, di cui abbiamo discusso anche in una serie di altri post che potrete trovare all’ interno di questo sito.

Bonus asilo nido e baby sitter: chi può presentare la domanda

 A partire dal 1 luglio 2013 e fino al prossimo 10 luglio sarà possibile presentare la domanda per usufruire delle agevolazioni che lo Stato mette a disposizione delle neomamme. Si tratta del Bonus asilo nido e baby sitter, che è costituito dall’ erogazione di un importo di 300 euro al mese per 6 mesi.

Bonus asilo nido e baby sitter

 Dall’ inizio del mese di luglio sono in arrivo buone notizie per tutte le neomamme d’ Italia. A partire dal 1 luglio 2013, infatti, e per un periodo di tempo di 10 giorni sarà infatti possibile presentare la domanda per fruire di una agevolazione che lo Stato italiano mette a disposizione per aiutare le famiglie ed in particolare le mamme lavoratrici.

Come ottenere il Bonus mobili

 Il testo del Decreto sulle ristruturazioni e l’ efficienza energetica degli edifici, passato recentemente alla Camera per la definitiva approvazione, prevede, a fianco di incentivi per le suddette operazioni, anche la possibilità per i contribuenti di ottenere una detrazione fiscale per l’ acquisto di elettrodomestici e di mobili che dovranno però trovare luogo sempre all’ interno dell’ immobile interessato dal progetto di ristrutturazione.