La certificazione dello stato di disoccupazione

 Il problema della disoccupazione oggi in Italia è uno dei grandi nodi sociali che ancora deve essere risolto. L’ Italia, infatti, tra i Paesi dell’ Eurozona, è uno di quelli che possiede le più alte percentuali di cittadini di diverse età privi di una occupazione. Le ultime stime parlano di circa il 40% della popolazione, e solo una parte di questa percentuale rappresenta la disoccupazione giovanile.

Gli obblighi delle aziende per le categorie protette

 Con la legge 68/99, il Governo ha posto una tutela nei confronti delle persone affette da minorazioni fisiche o psichiche riconoscendo loro il diritto al lavoro. Infatti, anche in caso di minorazione del genere, il disabile può essere lo stesso in grado di lavorare in maniera corretta ed efficiente.

Con questa legge e con il relativo collocamento mirato, il Governo ha predisposto non solo una tutela per il lavoratore, ma anche dei relativi obblighi di assunzione da parte delle imprese.

Vediamoli nello specifico.

Le aziende che hanno un numero di dipendenti superiore a 15 devono assumere personale appartenente alle categorie protette nelle seguenti proporzioni:

– un solo lavoratore nel caso che il numero dei dipendenti dell’azienda sia compreso tra 15 e 35;

– due lavoratori  se il numero dei dipendenti è compreso tra 36 e 50.

Se l’azienda ha un numero di dipendenti superiore a 50, la proporzione di assunti appartenenti alle categorie protette deve essere del 7% del numero totale dei dipendenti.

Le aziende che assumono dipendenti appartenenti alle categorie protette possono usufruire di incentivi fiscali e di supporto tecnico.

Nel caso in cui l’azienda stia usufruendo di cassa integrazione straordinaria e mobilità non ha obbligo di assunzione di lavoratori delle categorie protette.

La normativa sulle categorie protette

Cosa sono le categorie protette 

A chi si applica la legge sulle categorie protette

Gli obblighi delle aziende per le categorie protette

A chi si applica la legge sulle categorie protette?

 Per Categorie Protette si intendono le persone che affette da minorazione fisica, psichica e/o sensoriale ma che sono comunque in grado di svolgere un lavoro.

A regolamentare questa categoria e le loro possibilità di accesso al mondo del lavoro c’è la legge n.  68 del 1999 che, all’articolo 1, indica quali sono le persone che appartengono alle categorie protette.

Ecco l’elenco:

1. persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e portatori di handicap intellettivo che comporta una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, accertata dalle commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile;

2. persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33%, accertata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL);

3. persone non vedenti , ossia coloro che sono colpiti da cecità assoluta o hanno un residuo visivo non superiore ad un decimo ad entrambi gli occhi (legge 38/1970);

4. sordomuti, ossia coloro che sono colpiti da sordità dalla nascita o prima dell’apprendimento della lingua parlata (legge 381/1970);

5. gli invalidi di guerra , invalidi civili di guerra, invalidi per servizio con minorazioni ascritte dalla prima alla ottava categoria del T.U. sulle pensioni di guerra;

6. vittime del terrorismo e della criminalità organizzata ed i loro familiari (legge n.407/ 23.11.98).

La normativa sulle categorie protette

Cosa sono le categorie protette 

A chi si applica la legge sulle categorie protette

Gli obblighi delle aziende per le categorie protette

Cosa sono le categorie protette?

 In molti annunci di lavoro vicino alla posizione aperta proposta dall’azienda si trova scritto ‘appartenenti alle Categorie Protette’, il che vuol dire che il lavoro proposto è ad appannaggio di persone che sono iscritte a questa lista.

Le Categorie Protette sono stata create con la legge 68/99 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” che ha lo scopo di dare a chi ha delle disabilità fisiche le stesse opportunità di lavoro delle persone che non ne hanno, grazie ad apposite tutele e strumenti messi a disposizione dell’azienda e del disabile.

Si tratta di collocamento mirato, ossia di regole che sono state create allo scopo di tutelare le persone disabili da possibili discriminazioni. Il presupposto dal quale è nata la legge n. 68/1999, infatti, è che se anche una persona presenta una minorazione fisica, psichica e/o sensoriale non vuol dire che non sia in grado di svolgere correttamente ed efficientemente un lavoro.

Grazie a questa legge sono stati predisposti degli specifici strumenti che permettono di fare una valutazione precisa delle competenze, delle capacità e delle inclinazioni professionali del disabile in modo da poterlo inserire nel posto di lavoro a lui più adatto.

La normativa sulle categorie protette

Cosa sono le categorie protette 

A chi si applica la legge sulle categorie protette

Gli obblighi delle aziende per le categorie protette

La nuova normativa sulle professioni non organizzate – Tipologie ed elenco delle Associazioni Professionali

 La legge 4/2013 ha previsto l’istituzione di Associazioni Professionali a scopo di tutela e di garanzia del consumatore e del professionista stesso.

Queste Associazioni, alle quali il professionista non ha obbligo di iscrizione e che possono anche rappresentare diverse tipologie di attività, sono divise in due tipologie: da un lato le Associazioni che non rilasciano l’attestato di qualità e, dall’altro, quelle che lo rilasciano, anche se va specificato che l’adesione ad una Associazione non garantisce un riconoscimento giuridico della professione da essi esercitata.

L’elenco delle Associazioni Professionali

Associazioni che non rilasciano un attestato di qualità

FEDERUFFICITECNICI Fed.ne  degli Uff. Tecnici della Pubblica. Amm.ne

I.A.T.I. International  Association Traduttori Interpreti

A.G.P. Associazione Grafologi Professionisti

U.N.A.I. Unione Nazionale Amministratori d’Immobili

A.G.I. Associazione Grafologica Italiana

A.N.A.C.I. Associazione Nazionale Amministratori Condominiali

ASSOINTERPRETI Associazione Nazionale Interpreti di Conferenza e Professionisti

A.N.AMM.I. Associazione Nazional-europea AMMinistratori d’Immobili

A.N.I.T.I. Associazione Nazionale Italiana Traduttori ed Interpreti

L.A.P.E.T. Libera Associazione Periti ed Esperti Tributari

I.N.T. Istituto Nazionale Tributaristi

A.N.C.O.T. Associazione Nazionale Consulenti Tributari

A.P.N.E.C. Associazione Professionale Nazionale Educatori Cinofili

L.A.I.T. Libera Associazione Italiana dei Consulenti Tributari

A.N.C.I.T. Associazione Nazionale dei Consulenti Tributari Italiani

Associazioni che rilasciano un attestato di qualità

U.N.C. Unione Nazionale Chinesiologi

M.P.I. Meeting Professionals International

I.W.A. International Webmasters Association

L.A.P.E.T. Libera Ass.ne Periti ed Esperti Tributari

A.I.T.I. Ass.  Italiana Traduttori e Interpreti

A.P.N.E.C. Associazione Profess. Nazion. Educatori Cinofili

La nuova normativa sulle professioni non regolamentate 

La nuova disciplina

Obblighi e sanzioni

Le Associazioni Professionali

Tipologie ed elenco delle  Associazioni Professionali 

La nuova normativa sulle professioni non organizzate – Le Associazioni Professionali

 La legge 4/2013 prevede che nella regolamentazione delle attività non regolamentate abbiano un ruolo di primo piano le associazioni professionali che hanno il compito di promuovere delle forme di garanzia per l’utente che si serve dei servizi di questi professionisti.

Fermo restando che il professionista non ha alcun obbligo di iscrizione alle associazioni Professionali, queste, possono essere considerate come una sorta di marchio di garanzia per il professionista iscritto.

Le Associazioni Professionali – che possono essere costituite dai professionisti interessati anche su base volontaria del professionista stesso – hanno il compito di attivare uno sportello di riferimento per il cittadino consumatore, al quale i committenti delle prestazioni professionali possano rivolgersi in caso di contenzioso con i singoli professionisti.

Inoltre, queste Associazioni, garantiscono l’osservanza dei principi deontologici della professione, l’adozione di un codice di condotta e la vigilanza sulla condotta professionale  degli stessi stabilendo anche le sanzioni derivanti dalla violazione del codice di condotta.

Si tratta, in sostanza, di Associazioni che si pongono sia a difesa del consumatore garantendo la formazione, la qualità e la professionalità degli iscritti, sia del professionista stesso ad esempio in caso di vertenze con altre categorie o, anche, con i consumatori.

La nuova normativa sulle professioni non regolamentate 

La nuova disciplina

Obblighi e sanzioni

Le Associazioni Professionali

Tipologie ed elenco delle  Associazioni Professionali 

 

La nuova normativa sulle professioni non organizzate – Obblighi e sanzioni

 La finalità della nuova normativa per le professioni non regolamentate ha lo scopo di dare una disciplina comune a queste professioni, che regolamenta i vari aspetti dell’attività professionale, tra i quali i requisiti per l’iscrizione all’albo stesso e per l’esercizio della professione, le incompatibilità, i doveri deontologici, gli aspetti previdenziali, gli oneri fiscali e tutto ciò che serve a tutelare i clienti e il professionista stesso.

Gli obblighi del professionista nei confronti del cliente

Nello specifico, a garanzia del cliente, viene fatto obbligo a chi svolge una delle professioni che rientrano nell’elenco delle non regolamentate di evidenziare in tutti i documenti scritti emessi per i clienti venga espressamente indicato il riferimento alla legge 4/2013.

La legge 4/2013, comunque, non impone nessun obbligo per i professionisti che svolgono questo tipo di attività di iscriversi alle varie Associazioni Professionali.

Le sanzioni previste in caso di irregolarità

Nel caso il professionista non rispetti l’obbligo di riferimento alla normativa vigente, al professionista stesso può essere applicata una sanzione – come prevede il Codice del Consumo per pratica commerciale scorretta nei confronti del consumatore (Dlgs 206/2005) – che va da un minimo di 5mila ad un massimo di 500mila euro, in base alla gravità e alla durata della violazione.

Anche se è alquanto impossibile che venga applicata la sanzione massima, anche la pena pecuniaria minima è di una certa rilevanza.

La nuova normativa sulle professioni non regolamentate 

La nuova disciplina

Obblighi e sanzioni

Le Associazioni Professionali

Tipologie ed elenco delle  Associazioni Professionali 

La nuova normativa sulle professioni non organizzate

 La legge n. 4 del 4 gennaio 2013, pubblicata in Gazzetta Ufficiale l’11 febbraio 2013, regola, per la prima volta in Italia, le professioni non organizzate, cioè tutte quelle professioni per lo svolgimento delle quali non è prevista l’iscrizione ad un apposito albo o ordine professionale.

A chi si applica la nuova disciplina in materia di professioni non organizzate

La normativa sancita con la legge n. 4 del 4 gennaio 2013 ha la finalità di inquadrare l’attività di quei professionisti che, pur svolgendo delle attività rilevanti in ambito economico, non hanno un albo, un ordine o un collegio al quale iscriversi per la tutela della professione stessa e dei clienti.

Per professioni non organizzate si intendono, inoltre, tutte le professioni che prevedono prestazioni di servizi o opere a favore di terzi, esercitate abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo.

In questa categoria rientrano: tributaristi, consulenti fiscali, amministratori di condominio, urbanisti, consulenti legali in materia stragiudiziale, consulenti aziendali e chi si occupa della tenuta della contabilità, della dichiarazione dei redditi, dell’imposizione fiscale che non siano già iscritti ad un albo professionale.

A chi non si applica la nuova disciplina in materia di professioni non organizzate

La nuova disciplina in materia di professioni non organizzate non si applica a tutte le professioni per l’esercizio delle quali è prevista l’iscrizione all’apposito albo (avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili, consulenti del lavoro, geometri etc) anche nel caso svolgano attività concernenti le professioni non regolamentate, come ad esempio un commercialista o un avvocato che svolgano anche l’attività di amministratore di condominio.

Le nuove regole previste dalla legge n. 4 del 4 gennaio 2013 non riguardano neanche gli esercenti professioni sanitarie e attività e mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio.

La nuova normativa sulle professioni non regolamentate 

La nuova disciplina

Obblighi e sanzioni

Le Associazioni Professionali

Tipologie ed elenco delle  Associazioni Professionali 

 

Visite fiscali – La guida per i lavoratori

 Quando un dipendente si assenta dal lavoro per malattia, dietro presentazione del relativo certificato emesso da un medico abilitato, può essere oggetto di controlli da parte dell’Inps che può intervenire spontaneamente o su richiesta del datore di lavoro.

Queste visite da parte dell’Istituto di Previdenza sono previste dallo Statuto dei Lavoratori al fine di verificare il reale stato di malattia del lavoratore. Le regole e gli orari delle visite fiscali variano in base alla tipologia di contratto e in base alle categorie lavorative. Vediamoli nel dettaglio.

► Guida all’Aspi – Come e quando si deve presentare la domanda

Dipendenti statali

Gli orari delle visite fiscali per i dipendenti statali

I dipendenti statali, quelli delle pubbliche amministrazioni, gli insegnanti, i militari, i dipendenti delle ASL e degli Enti Locali in caso di assenza dal lavoro per malattia hanno l’obbligo di reperibilità 7 giorni su 7, anche durante i fine settimana e nei giorni festivi.

L’orario in cui i dipendenti statali possono ricevere visite fiscali, e quindi ha l’obbligo di trovarsi presso la propria residenza o presso l’indirizzo indicato nel certificato consegnato al datore di lavoro, sono dalle 9.00 alle 13.00 e dalla 15.00 alle 18.00.

Dipendenti privati

I dipendenti di aziende private che presentino un certificato di malattia hanno l’obbligo di reperibilità 7 giorni su 7, anche nei giorni festivi, dalle ore 10:00 alle 12:00 e dalle ore 17:00 alle 19:00.

Visite fiscali – Le esenzioni dall’obbligo di reperibilità presso l’indirizzo indicato

I dipendenti che presentano un certificato di malattia al datore di lavoro sono esentati dall’obbligo di presenza all’indirizzo indicato in caso di:

– patologie per le quali sono necessarie terapie salvavita;

– da infortuni sul lavoro;

– da malattie per cui viene riconosciuta la causa di servizio;

– dagli stati patologici relativi alla situazione di invalidità riconosciuta;

– gravidanza a rischio.

► Liquidazione TFR: come si calcola?

Cosa può fare il medico dell’Inps durante la visita fiscale?

Quando il medico dell’Inps si reca presso il datore di lavoro per una visita fiscale, una volta che ha accertato le reali condizioni di salute del lavoratore assente per malattia, può:

– confermare la prognosi indicata sul certificato;

– prolungare il tempo di assenza dal lavoro di ulteriori 48 ore;

– ridurre la prognosi indicata se il lavoratore presenta evidenti miglioramenti del suo stato di salute che permettano il rientro al lavoro;

– richiedere una visita specialistica se accerta la presenza di patologie specifiche o in caso di prognosi dubbia. In questo caso il lavoratore ha l’obbligo di sostenere la visita indicata.

A cosa va incontro il lavoratore che non venga trovato all’indirizzo indicato in caso di visita fiscale?

Nel caso in cui il lavoratore non venga trovato all’indirizzo indicato nel certificato di malattia dal medico preposto alla visita fiscale, riceve comunicazione dall’Inps per presentarsi presso la sede Asl di competenza per giustificare la sua assenza.

Nel caso in cui il lavoratore non possa giustificare la sua assenza con un valido motivo, non percepirà l’indennità di malattia per i primi 10 giorni richiesti e vedrà ridursi la stessa indennità del 50% per eventuali periodi eccedenti i 10 giorni, esclusi i giorni per i quali è stato certificato il ricovero ospedaliero o sono stati documentati da precedenti visite fiscali.

► Guida alla richiesta di tutela per gli esodati all’Inps

Se il lavoratore non giustifica l’assenza durante la visita fiscale entro 15 giorni dalla richiesta incorre in una decurtazione dello stipendio.

Sono considerati motivi validi per l’assenza ragionevoli impedimenti che non sarebbero potuti occorrere in altre fasce orarie. Non sono considerati motivi validi comportamenti giudicabili non diligenti da parte del lavoratore (tutti i comportamenti consapevolmente atti ad evitare la visita fiscale).

Guida al contributo per il licenziamento

 Dal 1° gennaio 2013 è entrato in vigore il contributo di licenziamento. Prevista dalla Riforma del Lavoro voluta dal Ministro Elsa Fornero, va di pari passo con l’ASpI.

► Il dramma del lavoro in Italia: 1 milione di licenziati nel 2012

Si tratta, infatti, di una tassa a carico del datore di lavoro che ha lo scopo di finanziare l’ASpI – Assicurazione Sociale per l’Impiego, ossia il nuovo sussidio di disoccupazione che lo Stato versa a favore di tutti coloro che hanno perso il lavoro per motivi diversi dalle dimissioni volontarie del dipendente.

Per l’anno 2013 il contributo di licenziamento è pari a 483,80 euro per ogni 12 mesi di anzianità accumulati dal lavoratore subordinato. Vediamo nel dettaglio la normativa relativa al contributo di licenziamento.

In quali casi il datore di lavoro deve pagare il contributo di licenziamento?

In linea teorica il contributo di licenziamento deve essere versato in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro rientri nei presupposti di specie che danno diritto al lavoratore di ricevere l’Aspi, il nuovo sussidio di disoccupazione, anche nel caso in cui, poi, il lavoratore non arrivi a percepirla (ad es. se trova un’altra occupazione).

Nello specifico i casi in cui il datore di lavoro deve versare il contributo per il licenziamento sono:

1. licenziamento per giustificato motivo oggettivo o soggettivo;

2. dimissioni per giusta causa (ad esempio mancato pagamento delle retribuzioni, demansionamento, mobbing etc);

3. interruzione del rapporto di apprendistato se non derivate da dimissioni dell’apprendista;

4. risoluzioni consensuali intervenute nell’ambito del tentativo di conciliazione;

5. trasferimento ad altra sede della stessa azienda, nel caso in cui suddetta sede sia distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore o che comporti l’impiego di un tempo superiore agli 80 minuti, calcolati mediamente con l’utilizzo dei mezzi pubblici, per essere raggiunta dal lavoratore.

► Le modifiche alla Riforma Fornero

Quando, invece, il datore di lavoro non ha l’obbligo di versare il contributo di licenziamento?

Il datore di lavoro non ha l’obbligo di versare il contributo di licenziamento nel caso in cui il rapporto di lavoro venga cessato per:

1. dimissioni volontarie e documentate del dipendente;

2. risoluzione consensuale del rapporto di lavoro (escluse le risoluzioni derivanti da tentativi di conciliazione presso DTL);

3. decesso del lavoratore.

A quanto ammonta il contributo di licenziamento? 

La Riforma del Lavoro prevede che il contributo di licenziamento sia pari al 41% del massimale ASpI.

Per il 2013, questo massimale è di € 1.180,00, quindi l’importo che deve versare il datore di lavoro è di € 483,80 per ogni 12 mesi di anzianità aziendale maturati nell’ultimo triennio (36 mesi), con un massimo di € 1.451,00 per i dipendenti che possono vantare i 36 mesi di anzianità aziendale.

Il contributo viene ricalcolato sulla base dei mesi di effettivo servizio del lavoratore se non si raggiungono i 12 mesi di anzianità, mentre la percentuale da versare non cambia se il lavoratore era impiegato con contratto part-time.

► Vademecum sulla Riforma del Lavoro

Quali sono i termini per il pagamento del contributo di licenziamento?

Il datore di lavoro ha l’obbligo di effettuare il versamento del contributo di licenziamento entro il giorno 16 del mese successivo all’interruzione del rapporto di lavoro. Il contributo deve essere versato in un’unica soluzione.

Specifiche per le risoluzioni di rapporti di lavoro avvenuti nel primo trimestre del 2013

Questa scadenza non si applica alle risoluzioni di rapporti di lavoro intercorse nei primi tre mesi del 2013. In questo caso i datori di lavoro che, come specificato sopra, hanno l’obbligo del versamento del contributo, hanno tempo per farlo fino al 16 giugno 2013 senza rischio di incorrere in sanzioni o oneri accessori per il ritardo nella contribuzione.

Per le interruzioni di rapporti di lavoro intercorse nei primi tre mesi l’importo del contributo da versare sarà inserito nel modello F 24 del mese di maggio, che potrà essere pagato entro il 17 giugno 2013.