Continua il calo della produzione industriale italiana

 L’ Istituto di Statistica (ISTAT) ha intrapreso oggi le rilevazioni per il nuovo semestre del 2013. Guardando tuttavia ai mesi appena trascorsi, ed in particolare al primo trimestre di quest’ anno, l’ Istituto ha potuto rilevare che la produzione industriale italiana ha subito un ulteriore calo, facendo addirittura registrare nel mese di marzo una diminuzione pari allo 0,8% sul mese precedente – febbraio – e pari al 5,2% in relazione all’ anno precedente.

Imprenditoria femminile in calo

L’ Italia ha dunque vissuto in questo ultimo periodo, rileva l’ Istat, il diciannovesimo calo consecutivo nei livelli della propria produzione industriale.

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Guardando ai dati riportati dall’ Istat c’è da dire, inoltre, che questi ultimi hanno purtroppo superato anche le stime e le previsioni che gli analisti avevano attribuito al primo trimestre del 2013. La flessione reale, però, è stata più accentuata.

E scendendo più nel dettaglio, le diminuzioni più significative si sono potute registrare nella produzione dei beni strumentali, che hanno perso ben l’ 8,0%, seguiti poi da quelli intermedi (-6,5%) e da quelli di consumo, ridottisi del 4,5%.

Solo il comparto dell’ energia, infine, ha fatto segnare una crescita annua del 2,2%, soprattutto nel settore della fornitura, che ha subito un incremento del 6,3%. Abbastanza bene anche la produzione farmaceutica  (+3,4%) e quella di apparecchiature elettriche (+1,8%).

Pil ancora in calo, debole ripresa solo nel 2014

 E’ sempre l’ Istat a fornire i dati più aggiornati relativi alla situazione economica italiana e alla produttività generale del Paese. L’ Istituto ha, infatti, recentemente pubblicato  il report dal titolo «Le prospettive per l’economia italiana nel 2013-2014» che lancia uno sguardo abbastanza lungo sui prossimi mesi che attendono gli Italiani.

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Al centro dei dati e dei bilanci dell’ Istat, ovviamente, in primo luogo, la questione del PIL, del prodotto interno lordo e delle sue evoluzioni nel corso del terzo trimestre 2013. Nei prossimi mesi, dunque, afferma l’ Istituto, l’economia italiana sarà caratterizzata ancora da una flessione pari all’ 1,4%, dovuta all’ estrema negatività della domanda interna che i valori, pur debolmente positivi della domanda estera, non riescono a compensare.

Proseguirà, quindi, quella caduta congiunturale del PIL iniziata a marzo del 2011.

Le prime, timide, possibilità di ripresa dell’ economia italiana, invece, potrebbero verificarsi solo a partire dal 2014, quando alcuni fattori potrebbero determinare nel Paese  una crescita dello 0,7%.

Un piano crescita da 10 miliardi

Confrontando, dunque, i dati diffusi in questi giorni dall’ Istat con quelli pubblicati nello scorso dicembre, si nota quindi un peggioramento delle prospettive economiche italiane, dovuto in generale al nuovo assetto del commercio mondiale, alla contrazione dei consumi effettivi e alla revisione della contabilità nazionale.

Le retribuzioni a marzo 2013

 L’ Istat ha recentemente pubblicato i dati relativi alla situazione delle retribuzioni italiane per il mese di Marzo 2013. Il quadro che se ne può dedurre è in linea con il particolare periodo di stagnazione economica che il Paese sta vivendo in questi mesi.

L’ Istat rileva infatti che le retribuzioni contrattuali anche nel mese di marzo sono rimaste ferme, e il loro aumento su base annua, pari circa all’ 1,4% resta comunque al di sotto della percentuale dell’ inflazione che ha raggiunto il valore dell’ 1,6%.

Gli stipendi italiani tra i più bassi d’Europa

Il bollettino Istat conferma dunque il blocco della crescita congiunturale  delle retribuzioni per il secondo mese di fila, dopo quello che si era già verificato a febbraio 2013, descrivendo il primo trimestre dell’anno come un trimestre particolarmente lento da questo punto di vista.

Stipendi italiani al di sotto della media di Eurolandia

Per quanto riguarda invece le retribuzioni orarie contrattuali, queste hanno subito nel mese di marzo un incremento tendenziale dell’ 1,8%, che ha interessato soprattutto il settore privato, mentre, se unito con quello della pubblica amministrazione, il tasso di crescita si attesterebbe solo sull’ 1,2%.

Numerosi sono i contratti in scadenza tra i prossimimesi, tra cui quelli del settore moda, dei pubblici esercizi e del settore turistico-alberghiero. In tutto, in Italia, a marzo vi sono stati 44 accordi in scadenza e 5,3 milioni di persone in attesa di rinnovo.

1,5 milioni di disoccupati in più

 L’ Istat ha rilasciato le ultime stime in merito allo stato della disoccupazione giovanile in Italia. Dal 1977 ad oggi il numero dei disoccupati in Italia è cresciuto di circa 1,5 milioni in più.

> Nessun calo della disoccupazione per i prossimi mesi

Trentacinque anni fa, infatti, il numero dei giovani disoccupati con un’età compresa tra i 15 e i 24 anni era pari a 1 milione e 340 mila, mentre oggi il totale è di 2 milioni 744 mila, per quanto riguarda almeno le stime complessive del 2012, con un tasso che è dunque passato dal 6,4% al 10,7%.

Un milione di famiglie italiane è senza lavoro

L’ Istat, che ha ricostruito le medie trimestrali e annuali a partire dal 1977 ha inoltre evidenziato che per quanto riguarda la distribuzione del fenomeno tra la popolazione maschile e quella femminile non ci sono stati sostanziali cambiamenti rispetto al passato: per i primi, cioè per gli uomini, il tasso è cresciuto dal 18,1% al 33,7%; per le seconde, invece, le donne, dal 25,9% al 37,5%.

In generale, invece, i dati relativi ai confronti con il 1977 dicono che la disoccupazione giovanile è passata dal 21,7% al 35,3%.

Per quanto riguarda infine la distribuzione geografica del fenomeno, l’area italiana che al giorno d’oggi risulta più colpita dal fenomeno della disoccupazione giovanile è il Sud Italia, che mostra rispetto al 1977 un tasso di incremento che è passato dall’ 8,0% al 17,2%, cioè praticamente raddoppiato.

L’italia è un paese per vecchi

 L’Italia è un paese per vecchi. Anzi, senza volontà di offendere nessuno, si può dire che l’Italia è un paese di vecchi. Questo, almeno, è quanto emerge dai dati pubblicati dal’Istat – dati che si riferiscono al 2011 – che mettono in relazione il numero delle persone che percepiscono una pensione con il numero delle persone occupate.

► Sale la spesa per le pensioni che però sono sempre più povere

Nel 2011 in Italia c’erano 71 pensionati ogni 100 lavoratori. Un rapporto che fa capire come mai il sistema del welfare in Italia sia così tanto sofferente.

Ma il numero dei pensionati non è uguale in tutta la penisola: nelle regioni del Sud, infatti, sia ha la media più alta di pensionati rispetto ai lavoratori, con un rapporto di 82 pensionati ogni 100 occupati, mentre la media si abbassa salendo verso il nord, regioni nelle quali il rapporto di dipendenza è di 66 a 100.

► Come cambia la pensione anticipata con la Riforma Fornero

Anche l’andamento su base annuale dal rapporto di dipendenza tra pensionati e lavoratori non segue un andamento regolare nel corso degli anni: a livello nazionale, infatti, nel periodo compreso tra il 2001 e il 2006 il rapporto di dipendenza è diminuito, passando da 74 pensionati ogni 100 occupati nel 2001 a 70 ogni 100 occupati registrato nel 2006. I successivi due anni hanno visto mantenersi stabile questa media nazionale, mentre si è rilevato un altro picco nel’ultimo triennio, arrivando al dato odierno di 71 pensionati ogni 100 occupati.

Sale la spesa per le pensioni che però sono sempre più povere

 Secondo i dati previdenziali resi noti dall’Istat nel 2011 lo stato ha visto aumentare il suo esborso per le pensioni del 2,9% rispetto all’anno precedente, pari a 265,963 miliardi di euro divisi tra i 16,7 milioni di pensionati presenti in Italia. L’aumento della spesa si traduce anche in una maggiore incidenza di questa voce sul Pil (in aumento dello 0,2%, dal 16,66% del 2010 al 16,85% del 2011).
► Conguaglio fiscale 2012 – CUD 2013 per i pensionati della Gestione Dipendenti Pubblici

Altro dato che mette in evidenza questa contraddizione è il fatto che il numero dei pensionati è sceso di 38 mila unità dal 2010 al 2011.

Questo aumento di spesa per lo Stato non si traduce, almeno nella maggiori parte dei casi, in un assegno pensionistico più alto per coloro che vivono di questo tipo di reddito. Analizzando i dati dell’Istat, infatti, quasi la metà degli italiani percepisce un assegno mensile che non arriva ai 1000 euro.

Nello specifico: il 13,3% dei pensionati italiani meno di 500 euro, il 23,1% riceve tra 1.000 e 1.500 euro al mese e il 32,8% ne incassa di più. La media del rateo pensionistico mensile è di 15.957 euro all’anno, in aumento di 486 euro rispetto al 2010.

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Analizzando i dati ancora più a fondo emerge che le donne sono svantaggiate rispetto agli uomini: per loro il reddito medio da pensione per un anno è pari a 13.228 euro, contro i 19.022 euro degli uomini, e più della metà delle donne percepisce una pensione inferiore ai 1000 euro mensili, contro il 33,6% degli uomini.

 

Nel 2012 c’è stato il record storico della pressione fiscale

 Sono i dati pubblicati dall’Istat a rendere evidente come gli italiani siano pesantemente pressati dal fisco: nell’ultimo trimestre del 2012 la pressione fiscale ha toccato la quota record del 52% con un balzo di 1,5 punti percentuali in più rispetto allo stesso periodo del 2011.

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Dei guadagni dei cittadini nei tre mesi presi in considerazione, ottobre, novembre e dicembre, un mese e mezzo è servito per pagare le imposte, dirette e indirette, dello Stato. Un’imposizione enorme, che sembra anche voler continuare a crescere, che sta mettendo in ginocchio le famiglie italiane.Infatti, non si tratta solo di un record occasionale: tutto il 2012 è stato caratterizzato da questo livello di imposizione fiscale, pari, in media annua, al 44%, 1,4 punti percentuali della media del 2011.

In miglioramento, invece, sempre secondo i dati trimestrali sui conti pubblici pubblicato dall’Istat, il rapporto tra deficit e Prodotto interno lordo: nel 2010 si è arrivati al 2,9%, quindi +0,8% sul 2011. Inserendo nel conteggio anche le operazioni sui derivati (pari a circa 2 miliardi di euro) si arriva al 3%, il parametro fissato come tetto massimo dalla Ue.

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Altro dato in miglioramento quello sul deficit pubblico: nel 2012 il rapporto tra indebitamento netto e Pil è stato pari all’1,4%, in calo dell’1,2% rispetto alll’anno precedente.

Inflazione al minimo storico dal 2010

 I dati Istat relativi a marzo 2013 mostrano come la crisi in Italia sia ancora nel vivo. Secondo le analisi fatte dall’Istituto Nazionale di Statistica, infatti, è la crisi la causa principale delle frenata della corsa dei prezzi e del rallentamento dell’inflazione.
► Consumi ancora in calo: iniziano a soffrire anche i discount

Nel dettaglio, a marzo 2013  la crescita dei prezzi al consumo è stata dell’ 1,7%, contro l’1,9% di febbraio. Con questo nuovo rallentamento, il dato registrato è il più basso dal novembre del 2010, siamo arrivati al sesto calo consecutivo, trainato dalla decelerazione del prezzo dei carburanti.

I prezzi dei prodotti di consumo del tipico carrello della spesa degli italiani sono anch’essi in frenata, anche se c’è da notare che il loro aumento su base annua, pari al 3%, è stato ben più alto del tasso di inflazione, che si è fermato al + 1,7%, comunque in rallentamento rispetto a febbraio 2013 (2,4%).

► Non si cresce se scende soltanto l’inflazione

A far calare i prezzi al consumo le dinamiche dei prezzi del carburante, una delle voci più importanti del paniere, che è salito dell’1,1% su base annua, ma ha fatto segnalare una diminuzione tendenziale pari allo 0,5%, contro il +1,3% registrato a febbraio. In riduzione anche  l‘indice dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali, che, crescendo dello 0,1% rispetto a gennaio e dello 0,3% su base annua, è il più basso che si sia mai registrato da gennaio del 2010.

In calo il fatturato industriale italiano

 Non sono solo i consumi degli italiani ad aver avuto una brusca frenata nel mese di gennaio, secondo quanto riportato dall’Istat la stessa sorte tocca anche all’industria, per la quale, nel mese di gennaio 2013, si è registrato un evidente contrazione degli ordinativi e, quindi, del fatturato.

► Consumi ancora in calo: iniziano a soffrire anche i discount

Secondo i dati rilasciati dall’Istat il fatturato industriale italiano è sceso dell’1,3% rispetto a dicembre 2012, distribuito tra mercato interno (-1,7%) e mercato estero (- 0,4%). Raffronta gli ultimi dati mensili con quelli dei mesi precedenti si evince su base trimestrale la flessione del settore industriale italiano è stata complessivamente dell’1,7% rispetto ai tre mesi precedenti.

A trainare verso il basso il dato industriale è stato il calo dalla componente interna dell’energia, con una diminuzione del 17,0% della fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati, mentre hanno avuto ottime performance il comparto dedito all’alimentare, alle bevande e al tabacco, con un +5,7%.

Il problema maggiore, come spiega anche Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, si riscontra sul mercato interno, mentre le aziende che si orientano all’esportazione oltre i confini nazionali hanno delle maggiori opportunità di crescere:

► La produzione industriale si riprende ma la crisi continua

la crisi continua soprattutto per le imprese che sono orientate al mercato interno. Mentre il fatturato scende, gli ordinativi, quelli esteri in particolare, continuano ad aumentare. La nostra industria deve riuscire a cogliere sempre di più le opportunità dei mercati emergenti perché purtroppo anche l’Europa è in difficoltà.

Donne e occupazione, un confronto impari

 Il rapporto Istat sulla disocupazione in Italia ha messo in evidenza come sia sempre più difficile trovare un’occupazione nel nostro paese. Tanti laureati a spasso, ma non solo loro: ad essere colpiti dalla mancanza di un impiego sono tutte le categorie della fascia d’età compresa tra i 15 e i 35 anni, con un aumento su base annua pari al 32,3%.

► Indagine Almalaurea sulle condizioni lavorative dei neolaureati

Ma la mancanza di lavoro, anche se colpisce più o meno ugualmente i giovani senza grandi distinzioni in merito al titolo di studio, si accanisce in particolare su di alcune categorie: le donne, soprattutto se residenti al sud.

Infatti, secondo quanto riportato dall’Istat, al Sud sono circa 87 mila le donne senza lavoro, mentre al centro sono 65 mila e nelle regioni del nord ‘solo’ 45 mila. Nelle regioni del Mezzogiorno una donna su cinque è senza lavoro, percentuale in crescita del 3,2% rispetto al 2011.

Se si considera poi una fascia di età più ristretta, quella che riunisce le donne tra i 15 e i 24 anni, i dati sulla disoccupazione femminile sono ancora più severi: il tasso di disoccupazione sale al 49,9 %, con le inattive (dai 24 ai 60 anni) che salgono oltre il 60%.

► Nel 2012 è stato boom di donne imprenditrici

L’inattività femminile è in crescita dell’8,6%, rispetto al 2011, quelle che non ritengono di riuscire a trovare lavoro. Insomma rassegnate all’inattività.