La migliore carta prepagata dell’estate

 Immaginate di avere soltanto un conto corrente di base e di non aver mai pensato ad una carta per il pagamento dei vostri acquisti su internet, in Italia o all’estero. Se state per partire in vacanza o se volete prenotare una vacanza online, è chiaro che dovete avere dimestichezza con questi strumenti di pagamenti. Per l’estate sono in vista sconti e promozioni.

Chi usa la carta di credito in Italia

Viaggiare con una carta di credito prepagata piuttosto che con una carta di credito tradizionale, è sicuramente vantaggioso e sicuro, consente infatti di avere pochissimi soldi in contanti in tasca e allo stesso tempo di disporre di un piccolo gruzzoletto durante la vacanza.

Tra le migliori carte prepagate dell’estate troviamo al primo posto Enjoy di Ubi Banca, una carta prepagata che è anche una carta conto. In pratica ha un codice IBAN di riferimento  un costo annuale di 0,7 euro. Per il primo anno si dovrà corrispondere un canone di 2 euro, ma poi tutto diventa gratis. Le spese massime da fare con questa carta ammontano a 3500 euro.

Cos’è il diplay delle Mastercard

La seconda carta prepagata per convenienza è la Vincento di Kalixa che costa annualmente 1,7 euro. Ogni anno bisogna corrispondere un canone di 5 euro, ma si paga anche 1,75 euro il prelievo di contanti. Ogni mese, si possono invece spendere fino a 9000 euro.

La terza carta in questa speciale lista di convenienza è senz’altro la PostePay Standard. Si tratta di una carta prepagata che annualmente costa circa 1,7 euro. Il canone si paga soltanto il primo anno ed è di 5 euro. Non si possono caricare sulla carta più di 3000 euro e per tutti i prelievi si deve pagare una quota di un euro.

Valigia sicura con l’assicurazione da viaggio

 Gli italiani hanno finito i risparmi e per questo si trovano in una condizione economica davvero precaria. I consumi medi sono calati anche nel periodo di saldi che l’anno scorso aveva attirato un gran numero di persone alla ricerca dell’occasione del momento. Non basta. Gli italiani, oberati dal fisco, rinunciano alle vacanze invece di provare ad accorciarle.

Poche vacanze perché siamo senza soldi

Così capita che 8 milioni circa di italiani restino a casa e in viaggio, nel periodo estivo, ci siano soltanto poco più di 23 milioni di persone. E proprio a loro che rivolge questo articolo, visto che stiamo per ribadire l’importanza di stipulare un’assicurazione legata alle vacanze. Qualsiasi imprevisto, infatti, non dovrebbe così incidere sul budget famigliare.

In aumento i prestiti legati a matrimoni e vacanze

L’assicurazione da viaggio è una polizza non obbligatoria che il turista di turno deve scegliere se stipulare o meno. I prezzi di queste assicurazioni non sono eccessivi quindi pagando la vacanza leggermente di più, si può ottenere un maggior quantitativo di serenità. Le assicurazioni da viaggio sono di diverso tipo, per effettuare l’opzione è necessario avere ben chiaro l’obiettivo della polizza.

Ci sono infatti le assicurazioni sanitarie che servono a coprire le spese sanitarie in caso di incidenti all’estero; le assicurazioni sulla responsabilità civile per danni a terzi, l’assicurazione bagaglio che non necessita di spiegazioni e l’assicurazione volo.

L’Italia ha le tasche bucate

 Se all’estero si chiede quali sono i simboli dell’Italia ci sentiamo rispondere sempre il solito trio che è entrato nel sentire comune: pizza, pasta e mandolino. In realtà l’immagine dell’italiano all’estero è molto più ricca e di recente si è arricchita di particolari legati al comportamento finanziario del management tricolore.

Nuove notizie sull’evasione fiscale italiana

Insomma, il nuovo luogo comune da sfatare è quello dell’Italia spendacciona, con le tasche e le mani bucate. Un cliché difficile da abbattere se si considera quello che è successo per la spesa pubblica. Basta fare un’analisi dell’Italia nel contesto europeo per scoprire che è il paese con la quota maggiore di pressione fiscale. Nel 2012, il 50,7 per cento del reddito dei nostri concittadini è finito nelle tasche dell’Erario.

L’austerity blocca il PIL americano

I cittadini hanno quindi pagato le imposte e offerto tantissimi soldi allo Stato che non è stato però capace di usarli in modo efficace visto che oggi la spesa pubblica ha raggiunto quota 50,1 per cento, vale a dire 805 miliardi di euro. Nel 2001, circa 11 anni fa, la spesa pubblica ammontava a 536 miliardi di euro.

Non si può nemmeno attribuire l’incremento della spesa pubblica a quello o a quell’altro partito visto che 8 anni e mezzo di centrodestra hanno comportato una spesa di 206 miliardi di euro, 2 anni e mezzo di centrosinistra hanno comportato una spesa di oltre 60 miliardi di euro e 1 anno e mezzo di governo Monti oltre 8 miliardi di euro.

I derivati e il caso particolare del Piemonte

 I derivati sono degli strumenti finanziari studiati per fare soldi ma in questo momento sono al centro del dibattito economico perché potrebbero far aprire un altro capitolo della crisi molto importante. Nello specifico, in questa settimana, si è parlato del caso dei derivati in Piemonte.

Nuovo accordo USA – Europa sui derivati

In Tribunale di Londra, infatti, deve decidere della validità di un accordo, che mette sul piatto parecchi milioni di euro, e che coinvolge la Regione Piemonte. Un funzionario della regione italiana, tra l’altro, ha dichiarato all’agenzia di stampa Bloomberg che al momento della firma del contratto, nel 2007, chi ha siglato l’accordo non parlava bene italiano e per questo non ha capito la profondità e la complessità dell’intesa. 

Le borse crescono grazie a Draghi

Riepiloghiamo brevemente l’accordo che è al centro delle considerazioni. Tutto parte dal 2007 quando Mercedes Bresso, presidente della Regione per il PD, ha emesso un’obbligazione del valore di 1,8 miliardi di euro. Al fine di non perdere troppo denaro la Regione Piemonte ha deciso anche di sottoscrivere qualche contratto derivato, che fungesse da assicurazione sulle oscillazioni dei tassi d’interesse, con Merryl Lynch, Dexia e con Intesa Sanpaolo.

Dall’anno scorso però, la Regione ha smesso di pagare gli interessi sull’obbligazione ed ha smesso anche di corrispondere le cedole alle tre banche coinvolte nell’affare, accusandole di truffa. Il TAR, chiamato in prima battuta a pronunciarsi sull’argomento, ha detto di non essere competente in materia finanziaria ed ora è tutto nelle mani dei porporati londinesi.

Un’impresa su tre chiude i battenti

 Se si dovesse giudicare la situazione dell’Italia a partire dalla condizione delle imprese potremmo dire di non navigare in buone acque visto che come sottolinea la CGIA di Mestre, oggi, un’impresa su tre abbassa le serrande per i debiti accumulati negli anni con la Pubblica Amministrazione.

La crisi di oltre 23 mila imprese italiane

I crediti che le aziende hanno maturato nei confronti dello Stato sono di circa 120 miliardi di euro. Al capitale finora accumulato si aggiunge il ritardo endemico nei pagamenti. Il bilancio di questo pessimo atteggiamento è così fatto: dal 2008 al 2012 più di 15.000 aziende sono state portate al fallimento.

Pagare entro il 2013 tutti i debiti della PA

Ad aggravare la situazione ci ha poi pensato la crisi che dura ormai da troppo tempo. A marzo la Banca d’Italia aveva effettuato un’audizione per tirare le somme sui debiti accumulati dalle PA. Allora il debito della Pubblica Amministrazione era di 91 miliardi di euro ma adesso sembra plausibile che sia cresciuto fino a 120 miliardi.

Nella prima fotografia scattata dai ricercatori di via Nazionale, tra l’altro, erano stati esclusi tutti gli imprenditori a capo di aziende con meno di 20 impiegati, vale a dire il 98 per cento del tessuto “industriale” italiano. Considerando tutti i tipi di imprese e considerando i debiti complessivi delle PA, non si può evitare di lanciare l’allarme.

Le pensioni degli italiani nel 2012

 L’ INPS, l’ Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale ha recentemente pubblicato la Relazione sul 2012, che riporta i dati relativi alle pensioni erogate nel corso dell’ anno passato, considerate dal punto di vista della spesa totale, sia da quella dei singoli contributi.

Per l’ INPS un rosso da 9 miliardi