Le proposte della FIAIP per la riforma dell’IMU

 In vista della riforma e della definizione delle norme relative alla tassazione degli immobili italiani, che dovrebbe prendere corpo entro la fine dell’ estate, il Governo ha aperto una indagine conoscitiva sulla situazione del mercato italiano delle proprietà immobiliari.

Nella giornata di oggi, infatti, sono stati ascoltati dalla commissione Finanze del Senato i rappresentati della Fiaip, la Federazione Italiana degli Agenti Immobiliari Professionali, i quali hanno subito messo in luce come le condizioni del settore non siano affatto rosee.

Mercato immobiliare italiano ai minimi storici dal 1985

Negli ultimi quattro anni, infatti, hanno affermato i delegati Fiaip, nel comparto immobiliare italiano sono andati in fumo 500 mila posti di lavoro, una perdita causata in massima parte dalla recente attuazione di politiche depressive – vedi la questione IMU -, che si sono negativamente saldate alle difficoltà esistenti sul fronte dell’ accesso al credito da parte delle famiglie e degli investitori.

Primo trimestre 2013 nero per i mutui

Il suggerimento della Fiaip per la futura riforma dell’ IMU è quindi quello della completa eliminazione di qualsiasi forma di tassazione di tipo patrimoniale, dal momento che la prima casa non produce reddito. Sarebbe necessario, poi, ripristinare una diretta relazione tra reddito prodotto dal bene immobiliare tassato e ammontare del tributo imposto.

Moody’s taglia il rating di quattro Regioni

 Quattro Regioni italiane sono recentemente finite nel mirino di Moody’s, a causa dei crescenti timori sorti in merito alla loro posizione finanziaria. Si tratta, nello specifico, di Piemonte, Campania, Lazio e Sicilia, che hanno così visto ribassarsi il giudizio sul proprio debito da parte dell’ agenzia americana.

Moody’s sulla situazione creditizia italiana

Piemonte, Campania e Sicilia sono infatti passate da una valore di  “Baa3” a “Ba1”, mentre il Lazio, da solo, è passato da una posizione di “Baa3” a “Ba2”. Le quattro regioni italiane, del resto, sono quelle in cui c’è la maggiore probabilità della necessità di un futuro risanamento dei conti, attuabile attraverso un aumento delle tasse e una razionalizzazione delle spese.

Moody’ conferma l’outlook negativo per l’Italia

I quattro bilanci regionali risultano, infatti, particolarmente sotto pressione al momento, ragione per cui, all’ accumulo di nuovi debiti, il loro outlook non può che essere considerato negativo.

Andando più nello specifico, la Campania soffre per l’ alto tasso di disoccupazione e per il PIL pro capite inferiore alla media della nazione, il Lazio soccombe sotto grandi pressioni finanziarie, il Piemonte, invece vive di grandi squilibri nel bilancio e grandi livelli di debito.

Anche il taglio del rating della Sicilia, infine, è dovuto a deficit di bilancio.

Arriva la versione definitiva del redditometro

 Fonti ufficiali dell’ Agenzia delle Entrate hanno recentemente confermato che mancano oramai solo pochi giorni al rilascio della versione definitiva del Redditometro, il temuto strumento di cui in futuro l’ Agenzia stessa si avvarrà per l’ effettuazione dei controlli fiscali sui cittadini italiani.

Befera chiarisce ancora sull’utilizzo del redditometro

Nella versione definitiva sono stati a quanto pare rivisti i criteri sulla base dei quali verranno effettuati i controlli, ma il Redditometro, prosegue l’ Agenzia, verrà prevalentemente utilizzato per la lotta alla grande evasione.

Giudice napoletano boccia il redditometro

Certo, verrà sempre tenuto in considerazione il divario esistente tra le entrate e le uscite dei contribuenti, ma i margini previsti saranno più ampi che in passato. In più i consumi quotidiani delle famiglie italiane non verranno calcolati solo sulla base delle medie Istat, ma queste ultime verranno utilizzate solo per le spese che presuppongono l’esistenza di registri pubblici, come auto e immobili.

Una circolare ufficiale dell’ Agenzia delle Entrate, che da qui a pochi giorni accompagnerà l’ uscita del redditometro, chiarirà lo stato della questione relativa all’ utilizzo delle medie.

E infine, due note di procedura. Dai vertici dell’ Agenzia hanno fatto sapere che il Redditometro non avrà una validità retroattiva e che tutti i dipendenti dell’ istituto saranno chiamati a promuovere il dialogo con i contribuenti.

Il perché del caro bollette in Italia

 Perché in Italia i costi dell’ energia elettrica e del gas sono fra i più alti in Europa? A rispondere a questa domanda è l’ Eurostat, che ha svelato le ragioni per cui alcune nazioni europee poco “virtuose”- Portogallo, Grecia, Cipro, tra cui l’ Italia, sono state soggette a pesanti rincari nel settore dell’ energia.

Possibile proroga per bonus energia e ristrutturazioni

Negli ultimi sei mesi del 2012, infatti, nel nostro Paese il prezzo dell’ energia elettrica per uso domestico è cresciuto dell’ 11,2%, tanto che gli italiani, a fronte di una media europea di 19,2 euro, hanno pagato invece 23 euro per ogni 100 KWh consumati.

Rischio rincari sulle bollette secondo l’Authority

Per quanto riguarda invece il prezzo del gas, le tariffe italiane hanno subito un incremento del 10,6%, più vicino all’ incremento medio europeo, ma gli utenti hanno anche pagato 9,2 euro per ogni 100 KW consumati.

Al di là dei dati Eurostat, tuttavia, quello che ancora oggi incide in maniera determinante sul prezzo dell’ energia comprata dagli utenti italiani è il peso della tassazione statale.

Il peso dello Stato italiano, infatti, secondo le associazioni dei consumatori, è presente in molte delle voci di spesa che compongono il dettaglio delle fatture relative all’ energia: non solo le imposte vere e proprie, che gravano per un 13,5%, ma anche i cosiddetti servizi di rete e gli oneri di sistema, che pesano per un 33,88%.

Quanto gravano le tasse italiane sul lavoro

 Una indagine europea ha recentemente fatto luce sulla situazione del costo del lavoro in Italia, caratterizzato, a differenza di altri Paesi europei, da una fortissima incidenza del cosiddetto cuneo fiscale, ovvero del grande divario esistente tra i soldi versati da una impresa per un lavoratore e la retribuzione da questo poi effettivamente percepita.

Le modifiche ai contratti a termine richieste dalle imprese

Il dato di fatto, dunque, secondo la fondazione belga New Direction, è che in Italia lo stipendio medio di un lavoratore viene tassato al 52,1%, quando la media europea si aggira all’ incirca 7 punti percentuali più in basso. Questo, in altre parole significa quindi che, nel nostro Paese, per ogni euro netto incassato da un dipendente, l’ azienda ne spende quasi 2, cioè 1,9.

Le proposte delle imprese per il rilancio dell’occupazione giovanile

A far lievitare il costo totale dei lavoratori ci sono, infatti, una serie di tasse e di balzelli, all’ interno dei quali sono in genere compresi gli oneri sociali e previdenziali, ma anche l’ IVA che poi si paga sui consumi, quando, a detta degli analisti, la retribuzione viene spesa.

E se si guarda alla situazione del costo del lavoro che vige, invece, in altri Paesi europei, si scopre che nel Regno Unito, in Spagna e in Svezia, ad esempio, la tassazione oscilla al massimo tra il 36 e il47%.

Le modifiche ai contratti a termine richieste dalle imprese

 Gli imprenditori italiani hanno chiesto, già a partire dalla scorsa settimana, in occasione dell’ incontro tra il Ministro del Lavoro Enrico Giovannini e le parti  sociali, di apportare delle modifiche alle norme che oggi disciplinano la contrattualistica del lavoro, in modo da garantire una maggiore flessibilità in entrata.

Modifiche alla riforma Fornero per risolvere il problema esodati

Le richieste delle imprese si sono concentrate, in particolare, sui contratti a tempo determinato, rivisitati nel corso della precedente legislatura, cui la Riforma Fornero aveva però applicato una serie di limitazioni e vincoli mal digeriti dal mondo dell’ imprenditoria.

Le modifiche alla riforma Fornero

Gli imprenditori hanno infatti chiesto al Governo di rivedere nello specifico le norme che regolano i rinnovi contrattuali e la posizione contribuiva dei datori di lavoro.

Sul primo fronte, dunque, quello dei rinnovi contrattuali, le imprese hanno chiesto di riportare ad un range compreso tra i 10 e i 20 giorni – così come era prima della Riforma l’ arco di tempo che deve passare tra la scadenza di un contratto a tempo determinato e il suo rinnovo, e di limitare ai 36 mesi la durata massima dei contratti a termine stessi.

Sul fronte della contribuzione, invece, gli imprenditori hanno chiesto di abbassare il carico contributivo sospendendo il pagamento dei contributi aggiuntivi imposti dalla Riforma Fornero.

Per le imprese record di fallimenti e liquidazioni nel primo trimestre 2013

 Per il mondo dell’ imprenditoria italiana il 2013 non sembra essere assolutamente iniziato sotto buoni auspici. La crisi, infatti, ha colpito e continua impietosa a colpire tutto il settore produttivo italiano, generando, nei primi tre mesi del 2013 un numero record di fallimento e di liquidazioni volontarie per le imprese italiane.

In crescita il numero dei fallimenti in Italia

Il Cerved – gruppo specializzato nell’ analisi delle imprese e nei modelli di valutazione del rischio di credito – ha infatti calcolato che nei primi tre mesi dell’ anno si sono potuti  registrare 3500 fallimenti da parte delle aziende italiane, mentre 23 mila imprese hanno avviato una procedura di insolvenza o di liquidazione volontaria.

> Record di aziende chiuse nel primo trimestre del 2013

Dal punto di vista strettamente statistico, quindi, i fallimenti hanno fatto registrare in Italia un incremento del 12% rispetto all’ anno precedente, mentre le aziende in attivo che hanno deciso volontariamente di chiudere l’ attività hanno avuto un aumento del 5,8%.

Il dato più inaspettato del periodo, tuttavia, riguarda l’ incremento dei cosiddetti concordati preventivi – disciplina fallimentare, tra l’ altro, da poco riformata, ovvero delle procedure di insolvenza diverse dai fallimenti, che, sempre nei primi tre mesi del 2013, hanno fatto registrare un aumento annuale del 76%.

Dal punto di vista geografico, infine, è stato colpito in particolare il Nord Est del Paese.

Risparmia sul mutuo condividendo la casa

 I metodi per risparmiare sul mutuo sono numerosi, uno di questi, suggerito da numerosi portali che si occupano di mediazione creditizia, è lo sharing dell’appartamento. Di norma chi acquista una casa pagandola con il sudore della fronte, non è disposto poi a condividerla, eppure per il risparmio si fa questo ed altro.

Risparmiare, infatti, in tempo di crisi, è sicuramente un imperativo e considerando che il mutuo rappresenta la spesa più consistente per la famiglia, è necessario partire da questo elemento. Condividere la casa consente di dividere i conti, ma comporta anche la creazione di nuovi nuclei famigliari, la modifica del proprio stile di vita e il mantenimento di rapporti nuovi.

La rata dei mutui scende se sono accesi online

Questo trend è stato ben descritto dall’analisi di Easystanza che si occupa di annunci di appartamenti in condivisione. Tra i suoi utenti, il 32,8 per cento delle coppie ha dichiarato di condividere l’appartamento principale. Nella maggior parte dei casi si tratta di lavoratori, il 54,6%, poi ci sono gli studenti che rappresentano il 25,7 per cento della popolazione e infine ci sono disoccupati e pensionati che rappresentano il 13,1 e il 4,9 per cento del campione.

Come si usa lo stipendio degli italiani

La scelta di condividere la casa, che nasce soltanto dal bisogno di risparmio, era molto utilizzata negli anni Settanta, ecco perché molti lo considerano un passo “indietro”.

L’Italia promossa dall’Europa

 L’Italia ha ottenuto il placet dell’Europa e questo potrebbe influenzare positivamente anche gli investitori. A far cambiare idea al management europeo ci ha pensato, in fin dei conti, Mario Monti che, tanto per usare un gioco di parole, ha messo a posto i conti pubblici facendo decadere la procedura d’infrazione.

La crescita dell’Italia passa per lo spread a 100

Enrico Letta ha colto la palla al balzo per dire che si tratta di una notizia molto positiva per il nostro paese, anche se poi, il premier ha incassato la dura critica degli industriali che si sentono soffocare dalle decisione in materia di economia e fisco, prese dal governo. Il documento stilato dalla Commissione Europea ha offerto anche sei consigli all’Italia e agli stati membri, per evitare nuovi avvisi dall’UE.

L’Eurostat sui conti italiani

Dalle parole ai fatti, adesso: Olli Rehn, entro metà settimana, dovrà proporre la chiusura della procedura di deficit a carico dell’Italia che dal governo Berlusconi in poi, quindi dal 2009, è da considerarsi sotto lo scatto di una vertenza europea.

Questo tipo d’intervento, a livello politico, premia il partito di Monti che quand’era al governo, anche se solo per un anno, ha contribuito decisamente al risanamento dell’Italia. Sotto il profilo economico, in qualche modo, si può dedurre anche un plauso rivolto all’austerity.

La metà degli atenei italiani a rischio default

 E’ ormai la quarta volta consecutiva che i Rettori delle università italiane lanciano l’ allarme al Governo sulle precarie condizioni economiche in cui versa la più alta fra le istituzioni della cultura nel nostro Paese: la metà degli Atenei italiani è oggi a  rischio fallimento.

Calo investimenti pubblici per alloggi a studenti

La denuncia, questa volta, arriva dalla Crui, la Conferenza dei Rettori Italiani: a partire dal 2009, infatti, le risorse erogate dallo Stato alle università italiane sono diminuite dell’ 11%, tanto che oggi il Fondo di finanziamento ordinario è arrivato a disporre di soli 6,690 milioni per tutti gli atenei, cioè già il 4,6% rispetto al 2012.

La classifica delle università

E nell’ anno in corso, sulla base dei limitati finanziamenti a disposizione, la situazione è divenuta pressoché insostenibile. Solo le spese relative al personale interno assorbono il 95% delle risorse erogate dallo Stato, dato che già oltrepassa il limite dell’ 82% imposto per legge e che non consente altri tipi di investimenti.

Nuovi tagli agli atenei significano, infatti, nuovi blocchi nella sostituzione del personale docente, a causa del blocco del turn – over, blocco che, a rigor di cronaca, sussiste già da sei anni.

Niente ricambio generazionale, dunque, niente ricerca e, quel che è peggio, niente diritto allo studio: per il 2014, infatti, non potranno più essere totalmente coperte neanche le borse di studio. I rettori chiedono dunque che il Governo si impegni in un piano di finanziamento e revisione triennale da almeno 150 milioni di euro.