Per la Corte dei Conti l’austerità ha aggravato la crisi

 Proprio ora che l’ Italia si avvia ad uscire definitivamente dalla procedura di infrazione per eccesso di deficit imposta dalla Commissione Europea, il Presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, si è espresso con parole dure sulle politiche di rigore e di austerity che il Paese ha dovuto attraversare negli ultimi 4 anni.

Verso la chiusura della procedura di infrazione per deficit eccessivo

Secondo Giampaolino, infatti, le politiche di risanamento applicate in Italia e in altri Paesi europei tra il 2009 e il 2013 hanno contribuito in definitiva ad aggravare la situazione di crisi e di recessione economica che l’ Europa stava attraversando. In Italia, ad esempio, è stato possibile registrare, in soli 4 anni, una perdita nominale del PIL che ha raggiunto i 230 miliardi di euro.

Settimo calo consecutivo del PIL italiano

La perdita del PIL ha infatti poi causato anche una perdita sul gettito fiscale, cosa che, nel quadro generale, ha contribuito a produrre quel mancato conseguimento del pareggio di bilancio per 50 miliardi.

Per il futuro, quindi, secondo  Giampaolino, così come la nuova legislatura si è già apprestata a fare, non bisogna guardare solo alle politiche di bilancio, ma anche a quelle che conducano verso la risoluzione del problema della disoccupazione e verso la decrescita economica e l’ equità distributiva.

 

Il piano governativo per i giovani

 “L’Expo del 2015 è un’opportunità che va ben oltre Milano e la Lombardia. Ma non va interpretata come una bolla, altrimenti l’effetto sarà quello visto a Londra con le Olimpiadi: un trimestre di grande successo e poi è finita lì”.

Sono parole del ministro del Lavoro Enrico Giovannini, che ha in programma la sperimentazione di nuovi strumenti per fornire maggiore flessibilità al mercato del lavoro.

E a chi gli chiede quale tipologia di flessibilità vuole sperimentare, Giovannini risponde: “Stiamo ragionando e ci stiamo confrontando. Ad esempio, consideriamo il contratto a termine e l’apprendistato, che permette una serie di flessibilità ma in una prospettiva di assunzione. È chiaro che se l’Expo sarà una bolla le aziende guarderanno tutte al contatto a termine. Se invece costruiamo un progetto che si appoggia nel tempo sui punti di forza dell’Italia, come il turismo, la cultura e l’agroalimentare, allora dobbiamo incentivare l’apprendistato”.

Flessibilità“, soprattutto di questi tempi, è una parola da prendere con le pinze. Per questo Giovannini vuole che il messaggio che passa sia “chiaro”. Il più possibile.

Giovannini ha poi detto la sua sull’argomento – pensioni. Se ne parlerà dopo l’estate: “Tuttavia non si vede perché nel momento in cui si chiedono sacrifici a tutti qualcuno debba essere escluso. Una misura del genere non porterebbe molti soldi ma sarebbe un’operazione di giustizia sociale. E il governo deve fare quello che ritiene giusto, equo. Anche se non risolve tutti i problemi economici”.

 

La Camera taglia spese per 8,5 milioni di euro

 Ha iniziato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a tagliare i costi del mantenimento della sua sede e di tutto ciò che ne compete: due misure di contenimento che porteranno ad un risparmio di circa 10 milioni di euro per i prossimi tre anni, ai quali si affianca la rinuncia all’adeguamento del fabbisogno di bilancio all’inflazione.

► Napolitano tagli ancora le spese del Quirinale

Ora arriva anche la Camera dei Deputati, con un doppio passo che mira a ristabilire la credibilità dei politici e della struttura amministrativa e gestionale del governo.

In primo luogo, infatti, tutti i cittadini potranno consultare i bilanci della Camera – sezione «Spese e trasparenza» del sito di Montecitorio – e i documenti relativi ai bandi di gara, le spese per i vari lavori, la retribuzione del personale e gli emolumenti corrisposti ai deputati.

Ma non solo. Infatti l’Ufficio di presidenza della Camera ha già approvato tagli ai costi per circa 8,5 milioni di euro. Una cifra piuttosto alta – il 2,6% in più rispetto a quanto previsto dai tagli approvati dalla precedente legislatura – che arriveranno dal taglio di 3 milioni all’anno al fondo attribuito ai gruppi parlamentari e di altri 5,5 milioni di euro che saranno risparmiati sugli appartamenti di servizio per il presidente della Camera, per i vicepresidenti e per i questori, dalla riduzione del 30% delle indennità di carica, dal taglio del 25% della spesa per il personale di segreteria, dalla soppressione dei fondi di rappresentanza singoli e dal dimezzamento del fondo generale di rappresentanza.

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Tagliate anche le spese per le auto blu. La dotazione monetaria a disposizione della Camera si ridurrà, con questi provvedimenti, di 150 milioni di euro in 3 anni.

 

Per Coldiretti l’aumento IVA potrebbe ricadere sui consumi di vino

 Dovrebbe scattare il prossimo primo luglio l’ incremento dell’ aliquota IVA, la quale passerà, per effetto di una misura del Governo Monti, dall’ attuale 21% al  futuro 22%. A meno che, ovviamente, il Governo Letta non decida di rinunciare in extremis al provvedimento: reperendo, tuttavia, le necessarie coperture.

Servono tre miliardi per evitare l’aumento dell’Iva

Da alcuni giorni a questa parte, quindi, si susseguono gli allarmi lanciati dalle diverse componenti del mondo produttivo italiano, che teme dalla revisione dell’ imposta un ulteriore effetto di depressione dei consumi.

> L’aumento dell’IVA peserà sulle famiglie più numerose

Tra queste voci spicca oggi quella di Coldiretti, che, dalla manifestazione Cantine Aperte, sottolinea i possibili effetti negativi dell’ aumento dell’ aliquota dell’ IVA sui consumi del vino in Italia.  Consumi che, nel primo trimestre del 2013 hanno già subito una drastica riduzione del 7%.

Ma il dato, in realtà, conferma una tendenza di più lungo periodo che ha caratterizzato il mercato interno italiano. Nel giro degli ultimi 10 anni, infatti, il consumo di vino da parte degli italiani si è ridotto di circa il 25%, cosa che ha ridotto gli stessi ad un totale di soli 22,6 milioni di ettolitri.

A fianco a questa riduzione interna, tuttavia, ha tenuto diversamente bene il settore dell’ export, di cui hanno beneficiato Paesi come la Cina e la Germania che hanno incrementato i loro consumi di vino Made in Italy.

L’aumento dell’IVA peserà sulle famiglie più numerose

 Gli effetti della revisione dell’ aliquota dell’ IVA, che a partire dal prossimo primo luglio, come abbiamo più volte anticipato, passerà dal 21 al 22%, tenderanno a ricadere sulle spalle delle famiglie meno abbienti e più numerose.

Servono tre miliardi per evitare l’aumento dell’Iva

Lo affermano, dopo accurati studi, gli analisti dell Cgia di Mestre, che hanno calcolato che l’ incremento dell’ aliquota inciderà sui nuclei familiari che constano di più individui in maniera inversamente proporzionale al reddito.

Confesercenti lancia l’allarme sull’Iva

Insomma, secondo i calcoli della Cgia, che ha preso in considerazione tre nuclei familiari – tipo e sette livelli retributivi,  a soffrire saranno soprattutto le retribuzioni più basse e le famiglie più numerose: ragione per cui l’ innalzamento dell’ aliquota andrebbe a tutti i costi scongiurato, proprio per non creare una ulteriore emergenza sociale.

Andando più nello specifico, invece, per i nuclei familiari composti da single, l’ incremento peserà maggiormente sulle fasce meno abbienti, con un aggravio annuale fino a 99 euro.

Per un nucleo familiare composto da un lavoratore dipendente con moglie e figlio a carico si avranno spese in più per altri 113 euro l’ anno, mentre nella stessa situazione, ma con 2 figli a carico, si arriva fino a 120 euro l’anno in più.

Gli stipendi dei precari sono più bassi del 25%

 L’ Istituto nazionale di Statistica – Istat – fa i conti in tasca al lavoro precario. E scopre quello che, vivendolo tutti i giorni sulla propria pelle, molti lavoratori atipici sanno ormai molto bene: le retribuzioni medie dei lavoratori precari sono in genere più basse di un buon 25% rispetto a quelle dei dipendenti regolari.

> Ad aprile le retribuzioni sono cresciute più dell’inflazione

Il mercato del lavoro italiano, dunque, a conti fatti, gioca a ribasso. Gli analisti dell’ Istat hanno infatti calcolato, nel loro Rapporto annuale 2012, che in Italia lo stipendio medio di un dipendente a tempo determinato si ferma in genere sui 1070 euro, ovvero 355 euro più giù rispetto a quello di un dipendente “standard”, a tempo indeterminato.

Per gli statali 3000 euro in meno in tre anni

Parlando di lavoratori atipici, dunque, il rapporto dell’ Istat stigmatizza la situazione dei numerosi lavoratori con contratto a termine e contratti di collaborazione che vi sono oggi in Italia. Ma anche guardando ai soli lavoratori full time le differenze rimangono le stesse.

L’ Istituto ha quindi spiegato che il divario tra le retribuzioni è in genere dovuto ad una serie di fattori, come l’ età, il settore di attività, la professione, etc. Ma tra questi quelli che incidono maggiormente sono gli scatti di anzianità, che nei contratti a tempo determinato non vengono applicati. La differenza tende così a crescere con l’ anzianità.

Confindustria lancia l’allarme sulla disoccupazione giovanile

 Dopo le parole accorate del presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, anche il numero uno di Confindustria, Giorgio Squinzi lancia l’ allarme sulla disoccupazione giovanile e sul problema dell’ occupazione in Italia.

> Draghi parla della disoccupazione giovanile

Al Convegno dell’ Osservatorio permanente giovani – editori, infatti, il presidente di Confindustria ha sottolineato la gravità della situazione italiana, definendola “disperata“, poiché la perdurane mancanza di impiego tra i giovani rischia di far perdere al Paese una o due generazioni.

La Germania lotta contro la disoccupazione giovanile

Per evitare ciò l’ Italia ha quindi bisogno di promuovere politiche che incentivino l’ entrata dei giovani nel mondo del lavoro, che non deve rimanere ancorato all’ idea della sola flessibilità in uscita. Una soluzione potrebbe allora essere l’ apprendistato, che in altre nazioni europee, come la Germania, riesce a dare risultati importanti in termini di occupazione.

Il mondo del lavoro italiano, tuttavia, al momento non ha solo bisogno di  flessibilità, ma anche di posti di lavoro fisso o a tutto campo, che sostituiscano quelli – troppo numerosi – a tempo determinato, in vista di una maggiore competitività delle imprese italiane.

Alla luce di questa competizione globale, di conseguenza, ha aggiunto Squinzi, è necessario che aziende e sindacati dei lavoratori remino nella stessa direzione, così come sotto il Governo Letta si è già iniziato a fare.

Modifiche alla riforma Fornero per risolvere il problema esodati

 Già da alcuni giorni l’ esecutivo – i tecnici del Ministero del Lavoro in particolare –  è a lavoro per risolvere in via definitiva il problema degli esodati, coloro che, in seguito alla riforma Fornero, si sono trovati nella scomoda posizione di non percepire più un reddito, ma di non poter accedere neanche ai contribuiti pensionistici.

> Il piano del Governo per pensioni ed esodati

Il Governo Letta avrebbe quindi intenzione di apportare delle modifiche al testo  della riforma in modo da permettere la risoluzione del problema e di favorire un migliore turn over generazionale.

Per Giovannini è necessario ragionare ancora su risorse e misure per il lavoro

Le modifiche alla riforma Fornero riguarderebbero, in particolare, il limite dell’ età pensionabile, che vorrebbe essere abbassata all’ età  di 62 anni, prevedendo, però, delle penalizzazioni sul calcolo dell’ assegno per chi usufruisce dell’ anticipo.

Il Ministro del Lavoro Enrico Giovannini avrebbe infatti allo studio una versione del sistema che prevede 62 anni e 35 di contributi, e per quanto riguarda l’ entità delle penalizzazioni per chi volesse lasciare prima, si parla dell’ 1% per ogni anno di anticipo e del 2% per ogni anno superiore ai primi due. 

Nell’ attuare queste modifiche, tuttavia, l’ obiettivo rimane quello di trovare soluzione al problema degli esodati e di cercare, al tempo stesso, di incidere il meno possibile sul problema della disoccupazione giovanile. Ma la strada delle soluzioni è ancora lunga.

700 milioni di euro in meno a causa delle sigarette elettroniche

 Sono circa 700 i milioni di euro che nel 2013 mancheranno all’ erario italiano, cioè ai Monopoli di Stato, dal gettito delle accise sul tabacco. Da quando, infatti, il mercato del fumo è stato letteralmente invaso dalle cosiddette  e-cig, le sigarette elettroniche, il gettito delle imposte sulle sigarette tradizionali ha subito un tracollo verticale.

E la situazione italiana non dà speranza di segni di miglioramento, perché le vendite delle e-cig raddoppiano di anno in anno.

Una nuova tassa sulle sigarette elettroniche?

E’ per questo motivo che, mentre il fatturato del settore elettronico aumenta e ogni giorno nascono nuovi punti vendita sul territorio, lo Stato ragiona incessantemente su come far fronte alle perdite subite.

> I tagli all’editoria salveranno le sigarette elettroniche

Così l’ unica soluzione possibile sembra proprio quella di introdurre una nuova tassazione anche sulle sigarette elettroniche, un tentativo che, tuttavia, è stato disatteso già almeno tre volte. Si era pensato, infatti, di introdurre un balzello già nel Decreto Sviluppo e nella legge di Stabilità del 2012 e, quest’ anno, nel recente decreto sui debiti della Pubblica Amministrazione.

Ma niente da fare. Sulla spinosa questione grava inesorabile un problema di definizione del prodotto stesso, che, se succedaneo del tabacco – come non è – dovrebbe essere regolarmente soggetto all’ accisa, se invece dispositivo medico, dovrebbe essere venduto in farmacia.

Ma i tecnici del Ministero della Salute ancora non hanno trovato una soluzione.

Importazioni in calo per effetto della crisi

 La crisi inizia a sentirsi in modo molto forte nel nostro paese e più si va avanti e più uscire dal baratro è difficile, infatti arrivano delle richieste sempre più insistenti anche dall’unione degli industriali.

Squinzi pessimista sull’Italia

Nell’ultima assemblea di Confindustria, per esempio, Giorgio Squinzi, il numero uno di viale dell’Astronomia, parlando dopo il neopremier Enrico Letta, ha bacchettato il Governo spiegando che il nord del paese, in questo momento, sta affrontando una crisi importante e potrebbe presto trascinare nel baratro tutta l’Italia.

Le lamentele di Squinzi sono andate di pari passo con la pubblicazione da parte dell’Istat, dei dati sulle vendite al dettaglio nel mese di marzo. Si è scoperto infatti che nel mese in questione, soltanto per effetto delle festività pasquali, c’è stato un incremento delle vendite alimentari pari al 2 per cento, ma per i prodotti non alimentari si parla di crollo, nonostante la tenuta dei beni tecnologici ed informatici.

Grazie alla Pasqua la ripresa dei consumi

In linea con queste analisi e con l’allarme lanciato di Confindustria, ci sono anche i dati sulle importazioni che sono state tagliata dalla crisi. Gli ultimi report, in questo caso, si riferiscono ad aprile. Nel quarto mese dell’anno, i flussi commerciali dell’Italia con i paesi che non appartengono all’Unione Europea hanno registrato un calo dello 0,3 per cento per le importazioni e dello 0,7 per cento per le esportazioni.