Secondo Munchau l’Italia sta peggio di tutti

 L’Eurozona non soltanto è in crisi ma è piombata nella recessione economica e secondo quanto detto dal presidente della BCE, la situazione non cambierà fino all’anno prossimo. Insomma, prima della ripresa occorrerà aspettare almeno il 2014.

Nessun calo della disoccupazione per i prossimi mesi

A dirlo è un giornalista del Financial Times molto quotato, Wolfang Munchau che cerca d’individuare anche il paese che in Europa sta peggio di tutti. In generale il Vecchio Continente è stato sbaragliato dall’aumento della disoccupazione che ha raggiunto la quota record del 12 per cento e non riesce a fare una previsione accurata sul futuro, quindi non riesce a sapere se effettivamente il parco dei “non lavoratori” aumenterà.

Scende la disoccupazione ma l’Italia non convince

L’interrogativo, a questo punto, sembra scontato: perché la BCE non ha deciso di tagliare i tassi d’interesse per sostenere ancora con più forza la ripresa dell’Europa. E poi, tra tutti qual è il paese che se la passa peggio.

Mentre è delicato affrontare il tema della politica monetaria comune, è più semplice individuare il neo d’Europa: l’Italia. Secondo Munchau nessuno sta peggio di noi, visto che le piccole e medie imprese dello stivale sono state colpite dalla crisi del credito e dall’austerity fiscale, praticamente nello stesso momento.

Le famiglie non stanno certo meglio e lo dimostra la crisi dei consumi e il decremento delle richieste di mutuo.

I timori della Germania per la Francia e i prossimi paesi che chiederanno aiuto

 Dopo la Grecia e Cipro, i due casi più eclatanti di fallimento di un paese da quando è iniziata la crisi, potrebbero ancora essere tanti i paesi che, in tempi più o meno brevi, potrebbero rivolgersi all’Unione Europea per chiedere aiuto.

► Come sta cambiando la Grecia post crisi

Il prossimo, fino a qualche tempo fa anche insospettabile, potrebbe essere la Francia. Questo perlomeno è quanto trapela dal Welt am Sonntag, dalle cui colonne si leva una sorta di grido di allarme da parte di Thomas Mayer, ex capo economista della Deutsche Bank, che parla di un pericolo molto reale per la Francia, paese che, nonostante il Ministro delle Finanza abbia parlato di una revisione al ribasso delle stime di crescita del paese, non ha ancora intrapreso nessuna riforma.

Stupisce che sia la Francia al primo posto dei paesi a rischio fallimento. Meyer la posizione anche prima della Spagna e dell’Italia. L’ultimo dei paesi che potrebbe chiedere il ricorso al fondo Salva Stati dovrebbe essere il Belgio.

► I rischi italiani dell’uscita dall’euro

Secondo Meyer il rischio più grande per l’Italia, in questo momento, sono i soldi che lo Stato dovrà garantire a copertura del decreto per il pagamento dei debiti alle imprese. Infatti, anche se il decreto ha ricevuto il benestare di Olly Rehn, comporterà un sostanzioso esborso per le casse italiane che potrebbe avere infauste conseguenze su conti pubblici già molto provati.

Nel vino non c’è la verità ma il lavoro

 L’economia italiana arranca, come d’altronde anche quella europea ma ci sono alcuni settori che continuano a proliferare e a crescere. Uno di questi è il settore del vino italiano che, per quanto riguarda le esportazioni è cresciuto del 6,5 per cento.

Oggi, quando si parla di esportazioni del vino, si fa riferimento ad un business di 4,7 miliardi di euro cui devono aggiungere altri 4,2 miliardi che derivano dalla vendita del vino sul mercato internto, anche questa in aumento del 2 per cento.

Firmato il decreto per incentivare l’occupazione femminile

Dalle aziende vitinvinicole, dunque, parte la rinascita e sembra che siano pronte nuove opportunità di lavoro, il 3 per cento in più rispetto al passato. A dirlo sono i risultati del settore presentati all’apertura di Vinitaly dalla Coldiretti. Si parla di record del fatturato, in crescita del 5 per cento con il raggiungimento della soglia di 8,9 miliardi toccata nel 2012. Questo successo è da legare alle capacità imprenditoriali degli operatori del settore che hanno usato l’innovazione tecnologica per restare sul mercato.

Martedì 16 il terzo decreto per gli esodati

Innovazione tecnologica che ha portato anche alla presenza sul mercato di nuovi prodotti, per esempio lo spumante dietetico, oppure il vino che è invecchiato in fondo al mare, quello che è messo ad invecchiare nei giacciai, oppure ancora il vino d’orchestra.

Si tratta di sperimentazioni che hanno già ottenuto un discreto successo e potrebbero essere un trampolino di lancio anche per la riscoperta di altre tradizioni locali. Che l’Italia abbia trovato la chiave della ripartenza?

La settimana post-pasquale di Piazza Affari

 Di rientro dalle vancanze pasquali, la Borsa ha dovuto fare i conti con i dieci saggi e con una settimana di scambi ridotta a soli 4 giorni. Al di là delle naturali oscillazioni, è interessante capire come si è concluso questo periodo.

Il debutto “lussuoso” di Moleskine

Piazza Affari ha chiuso con un rialzo molto lieve dello 0,62% e rispetto agli altri listini europei occorre dire che è andata molto bene visto che le principali borse dell’UE hanno chiuso in parità oppure in territorio negativo.

Sembra che a condizionare questo andamento dei mercati, sia stato il consueto discorso della BCE. Mario Draghi, infatti, è entrato nel merito della situazione economica del Vecchio Continente ma non ha dato indicazioni precise sulla strategia che intende perseguire la BCE per sostenere la crescita dell’Europa.

Piazza Affari non crede alla potenza dei dieci saggi

In pratica si prende atto dell’indebolimento dell’economia, dei rischi dell’Europa e del fatto che la ripresa oltre ad essere graduale è anche più lontana. L’unica certezza che Draghi dà ai mercati è che resterà invariato il costo del lavoro allo 0,75%.

Per quanto riguarda le vendite al dettaglio, invece, ci si aspetta un calo dello 0,3% rispetto al mese precedente, con un conseguente calo degli ordini industriali che salgono soltanto in Germania. Qui l’aumento degli ordini è addirittura superiore alle previsioni.

I rischi italiani dell’uscita dall’euro

 La situazione economica italiana, indipendentemente dalle minacce delle società di rating, è a dir poco imbarazzante visto che il nostro paese, aggiustati i conti, si trova a far fronte a nuove emergenze economiche.

Questa situazione fa pensare che da un anno all’altro ci possa essere un nuovo capovolgimento di fronte. Insomma si crede a ragione che la situazione del nostro paese possa peggiorare e che l’Italia faccia la fine della Grecia o peggio di Cipro.

Si può tornare alla lira?

Il debito italiano, infatti, è già molto alto ma potrebbe arrivare a livelli insostenibili nel giro di due anni, toccare il tetto del 140 per cento. Una situazione che potrebbe essere difficilmente assorbita dall’Eurozona. In pratica un paese che abbia la moneta unica, non è pensabile che raggiunga certi livelli di reddito.

La Germania si mette dalla parte dell’Italia

Che conseguenze ci potrebbero essere in questa situazione? In primo luogo si potrebbe avere una nuova fase d’instabilità politica e stando al Parlamento attuale, si potrebbe non raggiungere mai un punto di comunione. Il primo tentativo italiano potrebbe essere nella costituzione di un governo tecnico ma questo vorrebbe dire che anche decisioni politiche saranno prese dai tecnici.

La decisione più importante riguarderà l’adesione o il rifiuto dell’Europa. Se l’Italia fosse in procinto di dichiarare il fallimento, con un Parlamento diviso e un governo di tecnici, arriverebbe immediatamente alla decisione più drastica: l’abbandono dell’Europa.

 

Rivalutata la funzione dei buoni locali, gli Scec

 Dietro l’acronimo SCEC c’è un mondo, c’è un progetto nato a Napoli nel 2008 e portato avanti dall’associazione Arcipelago SCEC.

In questa associazione confluiscono persone diverse che sia a livello di formazione, sia a livello culturale, appartengono a gruppi differenti ma hanno tutti messo a disposizione del progetto la loro caratteristica rilevante.

Draghi fa il quadro della situazione monetaria UE

Arcipelago ha deciso di partire con il suo progetto affrontando i temi caldi della società, quindi ha deciso di partire dal contesto economico e in particolare dalla moneta. La convinzione è che la questione monetaria sia in grado di dividere i cittadini.

Vademecum dell’Inps sull’utilizzo dei buoni lavoro

Da lì l’idea di dotarsi di una propria moneta, lo SCEC che ha come obiettivo quello di ridare valore alle comunità di persone ancor prima alle persone stesse. Anche in questo caso siamo di fronte ad un acronimo visto che SCEC sta per Solidarietà ChE Cammina. In pratica è uno sconto di cui possono usufruire i cittadini che vogliono riconoscersi negli scambi economci di beni e servizi.

Chi si associa ad Arcipelago decide autonomamente di offrire uno sconto su prodotti e servizi, la riduzione del prezzo varia in termini percentuali dal 5 al 30 per cento. Lo SCEC, è importante ricordarlo, può essere usato soltanto insieme agli euro e serve per favorire le produzioni locali.

I giovani scappano dall’Italia

 Da tanto tempo nel nostro paese si parla di fuga di cervelli, ma i dati che ha trasmesso l’Aire (Anagrafe della popolazione Italiana Residente all’Estero) mostrano come il fenomeno si stia allargando a macchia d’olio e non sono più solo i ricercatori ad andarsene dal paese in cerca di un futuro migliore, ma una grande fetta della popolazione giovanile.
► Fuga di cervelli triplicata in dieci anni

Durante lo scorso anno il numero degli italiani che decide di lasciare il proprio paese è cresciuto del 30% rispetto al 2011. A scegliere la via dell’emigrazione sono più gli uomini che le donne e il paese di destinazione prediletto è la Germania.

Nello specifico, durante il 2012 i cittadini italiani che hanno scelto l’emigrazione sono stati 78.941, contro i 60.635 del 2011, con una percentuale del 56% di uomini e del 44% di donne e una maggiore concentrazione di migranti nella fascia di età tra i 20 e i 40 anni (il 44,8% del totale).

In proporzione la regione che ha visto il maggior numero di espatri è stata la Lombardia (13.156 persone), seguita dal Veneto (7456), dalla Sicilia (7003), Piemonte, Lazio (5952), Campania (5240), Emilia Romagna (5030), Calabria (4813), Puglia  (3978) e Toscana (3887).

► Work in Progress: il rapporto dei giovani italiani con il lavoro

Le mete di destinazione più scelte sono state Germania (10.520), Svizzera (8906), Gran Bretagna (7520), Francia (7024), Argentina (6404), USA (5210), Brasile (4506), Spagna (3748), Belgio (2317) e Australia (1683).

Il dramma del lavoro in Italia: 1 milione di licenziati nel 2012

 A tracciare il quadro di questa drammatica realtà del mondo del lavoro sono i dati che emergono dal sistema delle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro. Dati che parlano fin troppo chiaro: nel 2012 il numero dei licenziamenti è stato superiore al milione (1.027.462) facendolo aumentare del 13,9% rispetto all’anno precedente (nel 2011 i licenziamenti sono stati 901.796.

 Record di licenziamenti per il 2012

Il momento peggiore è stato l’ultimo trimestre dell’anno, quando i licenziamenti sono stati 329.259 in un aumento del 15,1% sullo stesso periodo 2011. Un dato molto pesante che si aggiunge alla già difficile situazione emersa dai dati che hanno fatto registrare 10,2 milioni attivazioni di rapporti di lavoro contro i 10,4 milioni di rapporti cessati tra dimissioni, pensionamenti, scadenze di contratti e licenziamenti.

Oltre al dato sui licenziamenti, c’è da notare, sull’altro fronte, la costante diminuzione delle assunzioni: poco più di 1,6 milioni (1.610.779) solo nell’ultima parte del 2012, che segna, quindi, un -8,2% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Ad essere sempre più esclusi dal mondo del lavoro i giovani con un -13,9% tra i 15-24enni e un -10,9% nella fascia di età che va dai 25 ai 34 anni.

► Linee guida per la contribuzione Aspi per i licenziati

Si registra, comunque, un piccolo aumento delle assunzioni dei lavoratori tra i 55 e i 64 anni (+0,4%) e un aumento del 7,6% tra i lavoratori con età superiore ai 65 anni.

 

Finalmente il prezzo dei carburanti inizia a scendere

 Benzina e gasolio stanno scendendo di prezzo. E’ l’effetto del calo delle quotazioni internazionali che, molto probabilmente anche a causa delle diverse polemiche che si stanno alzando in questi giorni sulle maggiori compagnie petrolifere, sta facendo abbassare anche i prezzi dei carburanti al distributore.
► GDF indaga sulle società petrolifere per truffa a danno consumatori

Sono sopratutto i cali delle quotazioni che si stanno registrando già da qualche tempo nell’area del Mediterraneo, 45 euro per mille litri di benzina negli ultimi quattro giorni di mercato) hanno indotto le compagnie petrolifere a rivedere i prezzi applicati ai clienti finali.

Eni è stata la più coraggiosa e ha dato un taglio netto al prezzo della benzina applicato nei suoi distributori, già venerdì scorso la compagnia ha tagliato di un centesimo il prezzo al litro della benzina e di tre quello del gpl, al quale si è aggiunto ieri il taglio di altri 2 centesimi sul gpl e d altrettanti sul diesel.

Anche altre compagnie si sono aggiunte a questa corsa al ribasso, anche se con meno enfasi: Ip e Tamoil (-1 centesimo sulla benzina); Q8 e Shell (-1 centesimo sulla benzina e -1 sul diesel); Totalerg e Esso (-0,5 sulla benzina e altrettanto sul diesel).

► Nuova legge per la trasparenza del prezzo dei carburanti

In generale la media del prezzo dei carburanti in Italia è di 1,857 euro/litro per la “verde“, 1,757 per il diesel e 0,824 per il gpl, un andamento al ribasso trainato anche dai prezzi nettamente inferiori che applicano le pompe bianche.

Pubblicato in GU il decreto che sblocca il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni

 I ministri hanno dovuto lavorare anche nel week end per giungere ad un accordo sul decreto per lo sblocco del pagamento dei debiti scaduti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese italiane: le riunioni straordinarie hanno prodotto un nuovo testo che è stato approvato e pubblicato questa mattina in Gazzetta Ufficiale.

► Decreto per il piano biennale di restituzione del debito delle Pubbliche Amministrazioni

Il testo presentato originariamente ha subito delle importanti modifiche, prima fra tutte quella sui tempi del pagamento del debito: si passa da un piano biennale ad uno annuale con lo sblocco immediato di 40 miliardi di euro, da erogarsi entro 12 mesi.

Il decreto firmato dal Consiglio dei Ministri prevede che, a partire dal 15 maggio tutte le Amministrazioni Pubbliche sapranno di quanto dispongono per iniziare ad effettuare il pagamento del debito, eccezion fatta per Comuni e Province che potranno iniziare a pagare già da domani (9 aprile).

Anche per il prossimo anno le date sono più o meno le stesse, gli enti potranno fare richiesta di anticipi dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp) entro il 31 gennaio 2014 e le anticipazioni saranno elargite a partire dal 15 di febbraio. Per il 2014 il decreto prevede anche un allentamento del Patto di Stabilità 2014.

► Nessun anticipo dell’addizionale Irpef nel decreto per il pagamento dei debiti delle Pubbliche Amministrazione

Inoltre le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo, entro 20 giorni dalla data di pubblicazione in GU del decreto, di iscriversi alla piattaforma telematica per la certificazione dei crediti. I dirigenti che non lo faranno saranno passibili di sanzioni piuttosto pesanti: il decreto prevede 100 euro di multa per ogni giorno di ritardo.