La diatriba sui transfrontalieri italiani

 I paesi che confinano con il nostro sono disponibili all’accoglienza dei lavoratori italiani, tutti tranne gli svizzeri che in questo periodo hanno lasciato una campagna elettorale contro i transfrontalieri. Ecco la situazione del momento.

La Svizzera invasa dai disoccupati

L’allarme riguardo la questione dei transfrontalieri è stato lanciato dal principale partito svizzero, l’Udc che si sta preparando alle elezioni di Lugano del 14 aprile. A Lugano, infatti i frontalieri italiani sono circa 8 mila ma se si poi si contano tutti i lavoratori italiani che prestano la loro opera nel Canton Ticino, si arriva a circa 56 mila unità.

Anche per il FT la guerra di valute non esiste

Questa situazione è agevolata dal fatto che la retribuzione tra italiani e svizzeri è diversa. Infatti i frontalieri italiani, rispetto agli svizzeri, sono nelle condizioni di poter accettare compensi che sono anche del 40 per cento inferiori rispetto a quelli percepiti dagli svizzeri.

Lo slogan è emblematico ed è “Rischiamo di restare tutti in mutande” e oltre ad essere stato lanciato dall’Udc è sostenuto anche da altri movimenti di destra svizzeri, per esempio la Lega dei Ticinesi che non vedono di buon occhio gli italiani che arrivano soprattutto dalle provincie di Como, Varese, Verbano Cusio Ossola. La situazione sembra ancora più grave da quando gli italiani frontalieri hanno occupato delle posizioni interessanti nel settore terziario.

Perde quota la Immsi di Colaninno

 Colaninno presiede una holding, la Immsi, all’interno della quale pesano i bilanci di diverse aziende, ma al momento, come conseguenza della crisi economica globale, si devono fare i conti con perdite di estremo valore.

Alitalia di nuovo pronta per la vendita

Immsi, infatti, ha chiuso l’esercizio del 2012 con un rosso di 33,6 milioni di euro. E pensare che nel 2011, quindi appena un anno prima, i bilanci erano stati chiusi con un utile di 8,5 milioni di euro. A pesare su questa situazione ci sono state le svalutazioni della quota del 7 per cento di Alitalia, svalutazioni pari a 36,3 milioni di euro. In più sembra abbiano pesato anche le cattive acque in cui si muove la Rcn Finanziaria, l’azienda attraverso cui Colaninno tiene le mani sui cantieri Rodriguez-Intermarine.

Air France smentisce la trattativa

Qualche risultato positivo, in realtà, c’è stato, per esempio gli utili che arrivano dalla Piaggio che fa registrare un buon +42,1 milioni di euro. Se non ci fossero state le svalutazioni che abbiamo detto, in realtà, il risultato sarebbe stato positivo per 2,7 milioni di euro.

Andando ad analizzare nel dettaglio il bilancio di Immsi si scopre anche che nel 2012 i ricavi sono diminuiti da 1.616 milioni di euro a 1.468 milioni. Il margine operativo lordo, in più è passato da 181,5 milioni a 144,7 milioni di euro.

Le donne al Sud lavorano meno

 Ci sono almeno due elementi che possono influenzare in modo deciso il rating del nostro paese: la situazione economica e la situazione lavorativa. Per quanto riguarda il panorama economico, in questo momento, non ci sono grossi barlumi di speranza visto che anche Mario Draghi ha posticipato la ripresa al 2014.

Le imprese attanagliate dal pessimismo

Il settore lavorativo-professionale, purtroppo, non va meglio e l’ultima ricerca che riguarda l’occupazione femminile nel paese, non depone e favore dell’Italia. I dati sono forniti dall’Istat e riguardano il 2012. In pratica si parla del tasso di disoccupazione tra i giovani e dell’inattività degli italiani, nonché della distribuzione geografica dei posti di lavoro.

La crescita dell’Europa è ancora lontana

Quello che emerge è che il tasso di disoccupazione femminile nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 24 anni, è salita fino al 49,9 per cento. Un dato preoccupante, aggravato dalla presa di coscienza del fatto che le donne inattive tra i 24 e i 60 anni sono addirittura il 60 per cento della popolazione.

Nel 2012, si scopre che una donna su cinque, residente nel Sud del paese, era disoccupata e questa quota di “non lavoratrici” è cresciuta in un anno, dal 2011 al 2011 del 3,2 per cento. I dati, però, non sono indicativi di una situazione di discriminazione visto che anche per gli uomini, questi non sono tempi d’oro. Al Sud, infatti, la disoccupazione maschile è in crescita del 3,8 per cento fino al 15,9 per cento e se poi si fa una zoom tra i giovani, quelli tra i 15 e i 24 anni, di scopre che i disoccupati sono il 45,1 per cento.

Via al progetto PiùBorsa

 La Borsa Italiana sta attraversando un momento di crisi e l’osservazione più semplice che viene fatta riguarda è che in Borsa non ci sono le azioni rappresentative del panorama industriale italiano. Da questo spunto parte il progetto PiùBorsa.

Tutte le borse chiudono in rosso per colpa di Cipro

I dati in possesso delle autorità raccontano che nel 2012 le società quotate nel listino principale del nostro paese sono diminuite: erano 263 e sono diventate 255. Alla fine dell’anno, complessivamente, la capitalizzazione di Piazza Affari è stata di 364,1 miliardi di euro che sono il 22 per cento del PIL.

Quello che però colpisce in tutta questa storia è che il listino italiano non rispecchia la situazione del nostro paese. In Italia, infatti il 77,5 per cento del tessuto produttivo è rappresentato dalle Piccole e Medie Imprese, le PMI che sono anche il 16,4 per cento delle aziende quotate in borsa.

La recessione dell’Italia non deve sorprendere

Per tutti questi motivi sia la Consob che gli operatori del mercato hanno deciso di dare il via al progetto PiùBorsa, pensato come un memorandum per agevolare la quotazione in borsa delle PMI. Il progetto prevede un percorso di education, dei servizi di consulenza, l’assistenza nelle attività di quotazione e l’avvio sul mercato delle debuttanti. rto invece 14,25 dollari per azione. tati al servizio.

Bilancia commerciale italiana in fase di miglioramento

 L’economia italiana non sembra essere in una fase di ripresa e anzi, dall’Europa, arriva il monito riguardo il deficit che in questo momento rappresenta in Italia il 2,9 per cento del PIL. Eppure la bilancia commerciale dà indicazioni diverse, fa quasi ben sperare sul futuro tricolore.

Saldo positivo per l’export italiano

La certificazione della situazione arriva dall’Istat che parla di un surplus della bilancia commerciale di ben 704 milioni di euro che sono un risultato positivo soprattutto in relazione a quanto successo a gennaio, quando la bilancia ha accusato un deficit di 1,5 miliardi di euro. In generale, a livello mensile, le esportazioni sono diminuite del 5,7 per cento, ma quello che ha maggiormente colpito gli analisti è la crescita del flusso import-export verso la Russia. A questo flusso fa da contraltare anche il calo delle vendite in Cina.

L’Istat registra il dimezzamento del deficit extra Ue a Gennaio

L’Istat, nell’analizzare la bilancia commerciale con i paesi extra UE ha notato anche un aumento delle esportazioni rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Si parla di una crescita delle esportazioni del 2,1 per cento e di una diminuzione delle importazioni del 12,4 per cento. In generale, in termini che potremmo definire congiunturali, c’è stata una flessione sia nelle esportazioni che nelle importazioni, rispettivamente del 5,7% e del 3,4%.

Il rischio dell’Italia sul deficit

 L’Italia sta correndo un grande rischio in relazione al suo deficit ed è già stato dato l’allarme in Europa visto che in questo momento, se l’economia del Belpaese continua con questa andatura, non ci sono speranze si uscire dalla procedura UE.

Strategie per uscire dalla crisi

Le indiscrezioni, stavolta, sono attribuite niente di meno che al commissario degli Affari Economici dell’Unione Europea, Olli Rehn che si è appellato al fatto che per il 2013 il deficit del nostro paese sarà fisso al 2,9 per cento e questo non consentirà di chiudere la procedura d’infrazione contro il nostro paese. Una chiusura che in realtà è auspicata da più parti.

L’accordo europeo sui bilanci degli stati membri

A rispondere per le rime alle accuse di Rehn ci ha pensato Mario Monti, oggi Senatore della Repubblica che parla di un decreto imminente e dell’uscita entro aprile 2013 dalla procedura UE. Nello stesso decreto saranno inseriti i 40 miliardi per le imprese.

Non è certo una soluzione definitiva per la crisi che interessa il nostro paese e infatti sia Confindustria che Confcommercio hanno accolto questa proposta con molta freddezza. Il problema, comunque, resta, perché il deficit pari al 2,9 per cento del PIL non è adeguato al rilancio dell’economia, non consente di mettere al sicuro i conti della pubblica amministrazione e via dicendo.

Sempre più pesante il fisco sui salari italiani

 Secondo quanto emerge dal rapporto Taxing Wages del 2012 dell’Ocse, i salari degli italiani sono sempre più sotto la pressione del fisco: il cuneo fiscale, ovvero la differenza tra il salario lordo e quello netto, è arrivata al 47,6% nel caso di un single senza figli e al 38,3% per i lavoratori che hanno a carico una famiglia con due figli.
► Secondo l’OCSE cresce il costo del lavoro

La media dei paesi Ocse per il cuneo fiscale è del 35,6% per un single senza figli e del 26,1% per una famiglia con un reddito e due bambini, L’Italia, quindi, si posiziona ben oltre la media, stessa condizione che si rileva anche per quanto riguarda il salario medio netto degli italiani, ma al contrario, in quanto è molto più basso della media dei paesi Ocse: siamo, infatti, al 22° posto.

Il valore medio di un salario in Italia, infatti, è di 25.303 dollari (dato aggiornato al 2012), posizionandosi così al 22esimo posto sui 34 paesi aderenti all’Ocse: anche la Spagna, paese che si trova in una condizione anche più difficile di quella in cui versa il nostro paese, ha un salario medio netto superiore (27.500 dollari).

► Secondo l’Ocse è stato raggiunto un nuovo record del tasso di disoccupazione

Superiori alla media Ocse anche i dati che riguardano la velocità di crescita del cuneo fiscale sui salari: 0,8 punti percentuali dal 2009 al 2012, contro 0,6, per i single, e di 1,4 punti percentuali, contro 1,1, per le famiglie monoreddito con due figli.

Le piccole imprese bocciano la Riforma Fornero

 I numeri che emergono dal sondaggio fatto dalla Ispo-Confartigianato mostrano come la Riforma Fornero, che avrebbe dovuto sistemare il mondo del lavoro in Italia, non sia riuscita nel suo intento, anzi, sembra davvero che abbia peggiorato la situazione.

► Il ministro Fornero annuncia il terzo decreto esodati

Secondo il sondaggio, infatti, dopo l’entrata in vigore ad inizio anno della Riforma, la disoccupazione è aumentata fino a toccare quota 11,7%, percentuale doppia rispetto alla media europea, sono stati persi 1.641 posti di lavoro al giorno e nessun risultato è stato ottenuto per far diminuire la precarietà che attanaglia le giovani generazioni: anche il numero dei contratti atipici continua a scendere trimestre dopo trimestre.

Ovviamente non tutto può essere attribuibile a quanto il ministro Fornero ha deciso di fare: la crisi economica è un fatto che accomuna tutto il mondo, a parte i paesi in via di sviluppo, ma, se anche dopo che è stata varata una riforma che avrebbe dovuto apportare qualche miglioramento, i risultati continuano a peggiorare, è una chiara indicazione che nella riforma stessa c’è qualcosa che non va.

A confermare questa intuizione c’è il sondaggio della Confartagianato, che mette in evidenza come, soprattutto tra le piccole imprese, il malcontento è molto diffuso: il 65%, infatti, ha bocciato in pieno la riforma, dichiarando che ha avuto solo effetti negativi sia sull’occupazione che sulla crescita.

Giorgio Merletti, presidente della Confartigianato, ha così commentato i dati:

Le nostre rilevazioni confermano quanto avevamo temuto e denunciato: la riforma Fornero ha frenato la propensione ad assumere e ad utilizzare contratti flessibili, ha aumentato il costo dell’apprendistato e dei contratti a tempo determinato, senza peraltro alcuna riduzione del costo del lavoro dei cosiddetti contratti standard. Inoltre la confusa formulazione delle norme su partite iva e associazioni in partecipazione, sta determinando un freno anche rispetto al lavoro autonomo genuino e, conseguentemente, al sistema produttivo. Ed ha ulteriormente complicato la normativa sul lavoro. Insomma, tutto il contrario rispetto a ciò che serve.

► Come cambia la pensione anticipata con la Riforma Fornero

La Riforma Fornero aveva tra gli obiettivi primari quello di ridurre la precarietà tra i giovani, introducendo dei disincentivi per i contratti a termine, soprattutto in termini di costo. Anche se secondo i dati rilasciati dal Ministero del Lavoro i contratti a termine sarebbero passati dal 63,1 % al 65,8% dopo la Riforma, gli artigiani intervistati, nel 59% dei casi, dicono il contrario, affermando di non aver intenzione di rinnovare i contratti a termine già attivi.

I dati concordano, invece, per quanto riguarda i contratti a chiamata (chiamati anche a intermittenti o job on call): nel primo semestre di applicazione della riforma si sono ridotti del 37,4 % rispetto al secondo semestre del 2011. Stesso discorso per i contratti parasubordinati: – 15,3 %. In media entrambe le tipologie scendono del 24,4 %.

 

 

A febbraio raccolta da record per il risparmio gestito

 Le sottoscrizioni di fondi di investimento a febbraio hanno raggiunto un nuovo record. Con 5,25 miliardi di euro di nuove sottoscrizioni, che si aggiungono ai sei miliardi ottenuti a gennaio, il risparmio gestito è riuscito a compensare il deflusso che ha caratterizzato il 2012.

► Tipologie e caratteristiche dei fondi di investimento aperti

A spingere in alto le sottoscrizioni di fondi di investimento sono stati i fondi aperti, che hanno raggiunto, da soli, una raccolta pari a 4,5 miliardi di euro, seguiti dai fondi obbligazionari (2,5 miliardi) e dai fondi flessibili (1,87 miliardi).

I dati sono stati raccolti da Assogestioni e mostrano, nello specifico, come l’ottimo risultato raggiunto sia stato, in larga misura, ottenuto grazie ai grandi afflussi di capitale che è riuscita ad attirare Aletti Gestielle, sgr del gruppo Banco Popolare, per un totale di 876,3 milioni di euro.

► Profili distintivi dei fondi comuni di diritto italiano

Per quanto riguarda l’industria del risparmio gestito, le gestioni collettive mostrano una tendenza piuttosto spiccata a preferire prodotti istituiti fuori dal nostro paese, in circa il 70% dei casi, con sottoscrizioni per 3,32 miliardi di euro. Bene anche i fondi bilanciati, che raccolgono 713 milioni di euro, il doppio di quanto fatto a gennaio, mentre i fondi azionari hanno subito un calo piuttosto sostanzioso: 138 milioni di euro, contro i 204 di gennaio.

Quanto sono aumentate le tasse locali?

 Regioni, provincie e comuni hanno rispolverato il vecchio metodo per far quadrare i conti dei loro esercizi: laddove manca qualcosa, viene immediatamente colmato il vuoto con l’aumento delle tasse. Una gioco che in tempo di crisi mette davvero in condizioni molto difficili sia i lavoratori che le imprese.
► Aumento delle tasse, chi ci salverà dalla stangata estiva?

Solo nel corso del 2012, secondo uno studio dell’Istat, le imposte che le amministrazioni locali hanno fatto pagare ai loro contribuenti sono salite del 5% su base annua, pari a un aumento del gettito di 9,2 miliardi, per un totale di 182,9 miliardi.

Come evidenzia l’Istat, c’è stata una inversione di marcia rispetto a qualche anno fa e la colpa, ovviamente, viene fatta ricadere sulla crisi economica: nel 2008/2009, infatti, si è assistito ad un allentamento della pressione fiscale, che si è subito ritrasformato in aumento già a partire dal 2010. Gli incrementi annuali sono stati, mediamente, del 10%, per un aumento complessivo in dieci anni di 44,5 miliardi di euro (+32,2%), così distribuiti: 23,9 miliardi per i comuni (+31,1%); 1,4 miliardi per le provincie (+41,3%) e 19,3 miliardi in più (+33,1%) per le regioni.

► IVA, IMU e Accise le tasse più remunerative

Per le amministrazioni locali le tasse sono diventate una delle fonti di sostentamento più alte:  nel 1991 le entrate fiscali ammontavano al 14,2% del totale per i comuni e al 15,2% per le regioni, mentre al 2011 si è arrivati al 39,7% per i comuni e al 42,3% per le regioni.