Italia senza governo. A pagarne le spese sono i cittadini

 Secondo una ricerca realizzata nel periodo pre-elettorale da MedioBanca il costo delle promesse dei vari partiti che erano in lizza per aggiudicarsi camera e Senato, tutti con proposte più o meno fattibili di riduzione o eliminazione di tasse varie, avrebbe avuto un costo pari a circa 150-225 miliardi di euro.

Una bella cifra, che indica quanto sarebbe costato allo Stato realizzare una o più di queste promesse. Ora, le elezioni sono finite, ma dallo spoglio non è emerso altro che una grande confusione che, naturalmente, si ripercuote sui cittadini.

Infatti, secondo la Cgia di Mestre, dal momento che ancora non si è giunti alla definizione di un esecutivo che prenda in mano le redini del paese, tutti i nuovi aggravi fiscali previsti per i prossimi mesi entreranno in vigore e svuoteranno, ancora di più, le tasche degli italiani.

Nello specifico la Cgia di Mestre ha stimato che i cittadini italiani si troveranno a pagare almeno 23 miliardi di euro per le questioni di carattere economico e fiscale che, pur avendo un carattere di forte priorità, non possono essere affrontate fino a che i partiti non si metteranno d’accordo su ciò che hanno intenzione di fare.

Quali sono queste questioni?

In primis l’aumento di un punto percentuale dell’Iva che entrerà in vigore a partire dal prossimo mese di luglio, la Tares, la nuova tassa sui rifiuti che sarà in vigore, anche questa, a partire da luglio, i mancati pagamenti alle imprese da parte delle pubbliche amministrazioni e, infine, Irap e Imu.

Come spiega Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre:

Se non si troverà un’intesa politica che permetta la nascita di un nuovo Esecutivo in grado di evitare o ridurre le tasse già programmate e di sbloccare alcuni pagamenti, cambiando completamente rotta rispetto alle politiche attuate in questo ultimo anno e mezzo, il danno economico che graverà su famiglie ed imprese sarà di almeno 23 miliardi.

Cerchiamo di analizzare nello specifico quanto costeranno queste mancate risoluzioni delle questioni fiscali ed economiche italiane.

Iva

Se  non si giungerà ad un accordo al primo luglio scatterà l’aumento di un punto percentuale dell’Imposta sul Valore aggiunto, per un aggravio sulla spesa dei cittadini pari a 2 miliardi di euro per il 2013.

Tares

La nuova imposta sull’asporto rifiuti, che come l’aumento dell’Iva sarà effettiva da metà anno, i cittadini e le imprese si troveranno a pagare 2 miliardi di euro in più rispetto al 2012.

Pagamenti delle pubbliche amministrazioni

Questo è uno dei nodi più difficili che il nuovo governo dovrebbe prendere in immediata considerazione, perché ne va della sopravvivenza delle imprese italiane: al momento, però, su un totale di 80/90 miliardi di euro ancora da pagare, per il 2013 è previsto lo sblocco di soli 10. Troppo pochi per dare una chance di sopravvivenza alle tante imprese in difficoltà proprio a causa dei crediti verso il pubblico.

Irap e costo del lavoro

Anche in questo caso si tratta sempre di rimettere in moto l’economia dando ossigeno alle imprese soffocate dalla pressione fiscale: senza una ulteriore riduzione dell’Irap, infatti, le imprese dovranno sobbarcarsi un altro esborso di circa 5,5 miliardi di euro.

Imu

La tanto odiata tassa sulla casa, quella che Berlusconi aveva promesso di abolire grazie ai fondi che sarebbero stati recuperati con l’accordo fiscale con la Svizzera -accordo che non si farà per almeno un altro anno- potrebbe non essere toccata e, quindi, le famiglie la pagheranno così come anche per quest’anno con un esborso quantificabile in 3,5 miliardi di euro.

La  Cgia di Mestre prevede che il momento cruciale sarà all’inizio dell’estate, con l’entrata in vigore della tasse di cui sopra, con la prima rata dell’Imu prevista per giugno e la maxi rata della Tares il mese successivo.

Le conseguenze?

E’ sempre Bertolussi a delineare il possibile quadro:

Se si considera che tra giugno e luglio è prevista anche l’autoliquidazione Irpef, che tra il saldo 2012 e l’acconto 2013 costerà ai contribuenti italiani 8,5 miliardi di euro circa, conclude Bortolussi, non è da escludere che molte persone si troveranno in seria difficoltà ad onorare queste scadenze. Se si tiene conto che i livelli di credito erogati alle famiglie e alle imprese sono quasi sicuramente destinate a diminuire ancora, è probabile che da questa situazione se ne avvantaggeranno solo gli usurai.

Benessere equo e sostenibile, il nuovo indicatore della ricchezza degli italiani

 E’ stato presentato questa mattina a Roma il “benessere equo e sostenibile“, un nuovo indicatore studiato da Istat e Cnel che sarà utilizzato insieme al Pil per comprendere lo stato di salute e di ricchezza del paese.

Un ulteriore indicatore che va ad ampliare la capacità del Pil di riferire in modo preciso e coerente la vera situazione economica del paese, migliorandone le attuali prestazioni. C’era anche il presidente Giorgio Napolitano alla sua presentazione.

► Oltre la metà delle famiglie italiane è in crisi

Al momento, comunque, i due dati coincidono, segno che, quindi, il paese è realmente in uno stato di forte sofferenza, come indicano anche i dati pubblicati oggi sul sentimento delle famiglie rispetto alla loro situazione economica e quelli riguardanti i timori delle aziende per il loro futuro.

Secondo il Bes –benessere equo e sostenibile- 6,7 milioni di persone sono in difficoltà economiche, con un rialzo di 2,5 milioni in un anno. Si tratta di individui in famiglie con 4 o più sintomi di disagio in un set di 9, una percentuale che è salita dal 6,9% all’11,1% tra il 2010 e il 2011.

► Le imprese italiane temono di chiudere

Come si è arrivati a determinare queste percentuali?

Il Bes si compone di 12 indicatori che hanno lo scopo di misurare il livello di progresso che si intende realizzare nel paese, i cui principali sono salute, istruzione e lavoro, benessere economico e qualità delle relazioni sociali, sicurezza e ricerca.

 

 

Pil italiano in calo nel 2013

 L’economia italiana continua a navigare in continue acque. Lo conferma l’Istat,  che lancia ulteriori segnali d’allarme per il prosieguo del 2013. Il Pil è calato del 2,4% nel 2012. Durante questi primi mesi del nuovo anno si sono verificati nuovi rallentamenti, con la conseguenza che il calo per il momento è di un ulteriore punto in percentuale.

Se si dovesse continuare su questa falsa riga il risultato sarebbe ancora negativo. I dati sono in linea con quelli rilanciati dal Rapporto Bes, secondo il quale peraltro gli italiani in difficoltà sono 6,7 milioni: 2,5 milioni in più rispetto all’anno precedente.

Vittorio Grilli fiducioso

Malgrado le preoccupazioni dell’Istituto di Statistica, il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, è fiducioso. I dati, peraltro, non rappresentano una sorpresa per lui: “Miparesembra che tutti convergano sul fatto che la seconda metà del 2013 sarà in positivo. E’ chiaro che bisogna attendere per vedere con che forza si riuscirà ad invertire la tendenza. Il -2,4% era già nei nostri dati sappiamo che è una congiuntura complicata”.

Conferme Istat 2012

Per quanto concerne il quarto trimestre dello scorso anno, l’Istat ha confermato la performance dello 0,9% da parte del Prodotto interno lordo, da mettere a paragone ovviamente con il terzo trimestre. In totale si tratta di un -2,8% se si effettua una comparazione con il periodo ottobre-dicembre del 2011. I dati sono condizionati dal fatto che c’è c’è stata una giornata lavorativa in meno del trimestre precedente e una in più rispetto al quarto trimestre del 2011.

Le imprese italiane temono di chiudere

 Sono giorni di dati e di analisi, questi. Dopo l’elaborazione dei dati dell’Istat fatta dall’Adnkronos che ha messo in luce come oltre la metà delle famiglie italiane sia in crisi, è arrivato anche il sondaggio fatto da Unimpresa tra le 130 mila aziende associate.
► Confindustria: Italia in piena emergenza creditoQuello che emerge è un quadro drammatico, nel quale 5 aziende su 6 delle intervistate hanno timore di non riuscire ad arrivare alla fine dell’anno. I motivi di questo timore?

In primis, come evidenziato anche da altre ricerche, la stretta del credito da parte delle banche, poi i mancati pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni e dai privati e, in ultimo difficoltà nella gestione dei dipendenti.

Anche le nuove normative italiane in materia dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni -massimo di 60 giorni per il saldo delle fatture- non sembrano migliorare la percezione del futuro, in quanto, come asserisce Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, trovano scarsissima applicazione.

► Mancati pagamenti delle imprese italiane a quota 40 miliardi di euro

Le cause macroeconomiche di questa visione negativa del futuro stanno soprattutto in una recessione che, come detto anche dal presidente della BCE Mario Draghi, si sta prolungando più del previsto e dalla quale non si riuscirà ad uscire se non nel 2014. Ma nel 2014, se le cose non cambiano, molte delle imprese italiane potrebbero già non esistere più.

Oltre la metà delle famiglie italiane è in crisi

 La crisi economica ha fatto strage dei redditi delle famiglie italiane, sopratutto nell’ultimo anno. Questo è quanto emerge dall’analisi dei dati dell’Istat fatta da Adnkronos, che evidenzia come per il 55,8% il 2012 sia stato un anno molto peggiore del precedente.
► Confindustria: Italia in piena emergenza credito

Se, infatti, nel 2011 le famiglie italiane che hanno dichiarato di aver visto peggiorare la propria situazione economica erano il 40,8% del campione, la percentuale relativa al 2012 è salita del 14,8%.

Lo stesso sentimento vale anche per l’andamento delle risorse economiche della famiglie nell’ultimo anno, giudicate scarse o, addirittura, insufficienti per il 47,1% degli intervistati, ossia il 4,4% in più rispetto al 2011, con una maggiore concentrazione di sofferenze per il sud (56,2%), mentre il dato si attenua leggermente percorrendo la penisola verso nord: 47% al centro e 41,1% al nord.

Leggermente diverso il quadro che si delinea se si analizzano le valutazioni: in questo caso l’incremento maggiore è stato rilevato al centro (+5,5 punti), seguito dal sud (+4,6 punti) e dal nord (+3,9 punti).

► Cala il tasso di risparmio delle famiglie italiane

Una situazione di disagio, e in molti casi di vera e propria sofferenza, che è stata già evidenziata anche da altre istituzioni, quali Confindustria, che ha lanciato l’allarme sulla situazione del credito alle famiglie, e da Bankitalia, che ha evidenziato come le famiglie italiane siano impossibilitate al risparmio.

Un miliardo e mezzo di telefonate in meno nel 2012

 La crisi e le nuove abitudini degli italiani si fanno sentire anche sulle chiamate telefoniche. Nel 2012 sono state molto inferiori rispetto agli anni passati: esattamente un miliardo e mezzo in meno. Un numero che fa pensare. Da una parte, c’è la complicità di internet, che con il progresso di servizi quali Skype e Viber sta mettendo sempre più alle corde l’uso dei telefonini.

D’altro canto, la spesa telefonica è talvolta invasiva e non tutti possono permettersi chiamate chilometriche.

Crisi e abitudini, in altri termini, potrebbero portare il telefono a essere ben presto obsoleto. Per essere precisi, potrebbero portare in particolar modo il tasto verde ad essere pressoché inutilizzato.

Dati

Stando ai dati rilasciati tre principali gestori di telefonia del paese, il trend sembra essere proprio questo: basti pensare che nel 2012 i guadagni da rete mobile sono calati di circa un miliardo e mezzo di euro. Parliamo, dunque, di 1.484 milioni di telefonate mancate all’appello.

Nel 2012, dunque, in Italia i ricavi da servizi dei tre maggiori operatori mobili sono scesi da 17,7 miliardi a quota 16,2 miliardi. Il risultato è stato sicuramente condizionato da un taglio delle tariffe legato alle terminazioni mobili, ma, secondo gli analisti finanziari più esperti, si tratta di un trend in atto che dovrebbe proseguire anche nel 2013. La crisi ha messo a dura prova i risultati di colossi quali Tim ,Vodafone e Wind, i quali hanno preferito correre ai ripari annunciando un piano di esuberi per tagliare i costi in parallelo con la contrazione dei ricavi.

Per trovare l’evasore bastano gli appunti

 Un manoscritto, un documento scritto a mano, può essere usato come prova che le scritture contabili non finiscono ai registri e che la situazione patrimoniale dell’azienda ha qualcosa in più. Insomma, la contabilità in nero, annotata a mano, può essere una prova dell’evasione dell’imprenditore. A prescindere dalla sussistenza di altri elementi, gli appunti scritti a penna sono da considerarsi probatori.

In aumento le imprese straniere in Italia

A stabilire questo principio dando un colpo deciso all’evasione, ci ha pensato la Corte di Cassazione con la sentenza 4126 del 20 febbraio. Tutto è nato chiaramente da un fatto: ad una società che operava nel campo del commercio delle opere d’arte, è stato inviato un avviso di accertamento. Sul posto, durante l’esame della Guardia di Finanza, sono stati rinvenuti degli appunti scritti a mano dal rappresentante legale della società.

La comunicazione dati IVA del 2012

Negli appunti si scriveva di diverse opere, dal valore di miliardi di lire, commerciate senza alcuna notazione contabile. Secondo l’amministrazione tributaria, questo manoscritto doveva esser considerato un indizio per l’accusa di evasione, da corroborare poi con una serie di indizi e con altri accertamenti sulla contabilità della società.

La Corte suprema, invece, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate ed ha considerato che questi appunti fossero parte di una contabilità in nero e quindi validi a livello indiziario.

La questione del reddito di cittadinanza

 La situazione politica e la politica monetaria possono determinare le sorti di un paese a livello economico. E’ quello che è successo per esempio all’Italia che è stata declassata dall’agenzia Fitch perché non si ritiene che il prossimo governo avrà la stabilità necessaria per portare avanti le riforme. L’agenzia di rating spiega anche che presto potrebbe essere operato un nuovo downgrade.

 L’Italia declassata dall’agenzia Fitch

Certo è che ci sono dei temi che sono affrontati con molta confusione e poco approfondimento, facendo sì che l’immagine del paese s’incrini ancora di più. Uno di questi argomenti è il cosiddetto reddito di cittadinanza che è stato messo nel programma elettorale da molti partiti, tra cui anche il tanto discusso Movimento 5 Stelle.

Obiettivo occupazione: le proposte dei partiti in lizza per le elezioni

Il reddito di cittadinanza è diverso dal reddito minimo garantito. Il primo dei due, infatti, è una forma di sussidio da considerarsi universale e non condizionata. Il reddito di cittadinanza lo ricevono tutti, senza considerazione della loro ricchezza e senza considerare se hanno altri redditi. Il reddito minimo garantito, al contrario non è universale e ci sono delle regole da rispettare per l’accesso al sussidio. Per esempio il reddito minimo garantito è subordinato alla percezione di un altro reddito o all’iscrizione alle liste di collocamento.

Quello che è assente da entrambi i concetti è il requisito della cittadinanza che non esiste.

L’Italia declassata dall’agenzia Fitch

 Le opzioni binarie legate all’Italia stanno per subire una flessione che dipende dall’ultima notizia, non proprio positiva, diffusa in relazione al nostro paese. Tutto, probabilmente ha origine dalle elezioni, il cui risultato, tra l’altro, è stato considerato positivo dal premio Nobel per l’economia Paul Krugman.

Krugman parla dei problemi dell’Europa

Il problema dell’Italia, comunque, agli occhi di tutti, resta la stabilità del governo. Il prossimo esecutivo, infatti, sia guidato dal PD o sia il risultato della cernita di un gruppo di tecnici, sarà chiamato a proseguire sulla scia delle riforme inaugurata da Mario Monti. Per questo più che sulla composizione del governo, i politici insistono sulla stabilità, fondamentale per ottenere dei risultati.

Il rating italiano in bilico

Fitch non crede che tutto questo sia possibile e quindi, giudicando negativamente la solidità finanziaria dell’Italia, ha declassato i suoi titoli da A- fino al livello BBB+ e l’outlook negativo spiega che ci potrebbe essere a breve un nuovo downgrade. La motivazione con cui l’agenzia Fitch ha accompagnato il declassamento italiano è stata la seguente:

I risultati inconcludenti delle elezioni rendono improbabile che l’Italia possa avere un Governo stabile nelle prossime settimane. L’incertezza politica e il possibile conseguente freno alle riforme strutturali costituiscono un ulteriore shock per la già provata economia reale.

Qualcuno dice che siamo più ricchi dei tedeschi

 L’Italia da tempo si confronta con la Germania per sapere quanto è credibile nello scenario internazionale ed europeo. Stiamo chiaramente parlando dello spread che misura la differenza di valore tra i bund tedeschi e i BTp italiani. Come noi anche il resto dei paesi d’Europa di confronta con la Germania considerata a livello economico anche la prima della classe.

► L’Europa è il continente adatto su cui investire

Per questo è addirittura shockante venire a sapere che gli italiani sono più ricchi dei tedeschi. E come facciamo a saperlo? Nel 2006 ci ha pensato la BCE a istituire un’indagine sui bilanci e sui consumi delle famiglie in Europa, al fine di percepire anche le più piccole informazioni riguardo la ricchezza delle famiglie. Dopo l’istituzione dell’indagine le rilevazioni sono iniziate nel 2010  i primi risultati sono pronti a distanza di tre anni.

► La ripartenza pronta dei tedeschi

La scoperta più eclatante riguarda la l’Austria dove la ricchezza c’è ma è mal distribuita, visto che a detenere la ricchezza è il 5 per cento della popolazione. Una cosa simile accade anche in Germania ma il governo di questo paese non ci tiene troppo a pubblicizzare la ricerca che contiene anche un altro dato importante: mentre in periodo di crisi la ricchezza dell’Italia è aumentata del 5 per cento ogni anno, quella dei cittadini tedeschi è rimasta stabile e questo fa sì che oggi gli italiani siano più ricchi dei tedeschi.