Autostrade più care dal primo gennaio 2013

In arrivo per i pedaggi c’è un aumento medio del 3,90%. L’aumento potrebbe anche essere più elevato, al punto da toccare in Valle D’Aosta il 14% e in Veneto il 13%. Tutto è disciplinato nei decreti ministeriali, che fungono da lasciapassare per i rincari chiesti dalla Società Autostrade. Rincari obbligatori, per via degli investimenti fatti dalle concessionarie negli ultimi tempi.

Ecco, dunque, un’altra piccola stangata per le tasche degli italiani, con particolare riferimento a coloro che sono soliti viaggiare per raggiungere il proprio posto di lavoro. Il rincaro è ormai tradizione, da tre anni a questa parte. Il bacino degli aumenti varia rispetto alla zona.

In media l’aumento sarà del 3,55% sulla Milano-Roma-Napoli, omogeneo visti gli accordi tra le concessionarie.

Entrando nel dettagli, Autostrade per l’Italia controlla alcune società e gestisce concessioni particolari, le quali faranno si che ci sarà una particolare tipologia di aumenti per quattro zone. Le zone in questione sono:

– Tangenziale di Napoli;

– Traforo del Monte Bianco;

– Autostrade Meridionali;

– Raccordo della Valle d’Aosta (in quest’ultimo caso, in base alle richieste di una delle concessionarie valdostane si registrerà un incremento attorno al 14%.

Per quanto concerne, invece, l’autostrada tirrenica l’aumento dovrebbe oscillare tra il 4 e il 5%.

Queste sono le richieste formalizzate, ora bisogna vedere se sarà effettivamente così dal primo gennaio 2013.

Italia, il 70% delle imprese ha problemi di liquidità

Il male comune che affligge il 70% delle imprese italiane è la mancanza di liquidità. La causa di ciò è il ritardo dei pagamenti, che provocano perdite per mancati incassi pari a 40,5 miliardi di euro su base annua. Una prassi tipicamente italiana, presa in considerazione dalla Cgia di Mestre per spiegare l’altra faccia della crisi.

Un problema che si verifica spesso e che trova alla sua radice una particolarissima metodologia di pagamento. Le transazioni commerciali con altre imprese e con la Pubblica amministrazione hanno tempi complicati e prassi ortodosse.

Ci vogliono ad esempio 96 giorni prima di effettuare una transazione commerciale con altre imprese. Il saldo arriva dunque dopo più di tre mesi. Quando di mezzo ci sono le pubbliche amministrazioni si aspetta anche fino a 6 mesi.

Non migliora la situazione se si considera il rapporto tra aziende italiane e partner economici che afferenti all’Unione Europea.

Le imprese che ne escono peggio sono senza dubbio le piccole e le medie. Un malcostume che però dovrebbe terminare a breve, quello italiano. Giuseppe Bortolussi, Segretario Cgia, spera nella Direttiva Europea che combatte il ritardo dei pagamenti.

Questa disciplina pone il committente nel vincolo di pagare l’azienda entro trenta giorni dal momento in cui riceve la merce o dal momento in cui l’azienda emette fattura. 

Bortolussi non accetta compromessi o anomalie: “Chi lavora deve essere pagato in tempi certi e ragionevoli. Chi, invece, non rispetta gli accordi subirà delle sanzioni economiche di tutto rispetto”.

 

Bollette, da gennaio aumenta il gas e diminuisce la luce

Per il prossimo gennaio c’è una cattiva e una buona notizia. Quella cattiva è che le tariffe del gas aumenteranno. La buona è che in compenso diminuiranno quelle della luce. Nel primo caso la decisione è giunta dall’Autorità per l’energia. La tariffa aumenterà dell’1,7% (22 euro in più all’anno). La tariffa della luce diminuirà invece di 7 euro su base annua, in percentuale dell’1,4%.

Per quanto riguarda la diminuzione dell’1,4% dell’energia elettrica la molla è scattata in virtù della riduzione del 3,6% della componente energia (in termini di produzione, dispacciamento e commercializzazione) grazie ai significativi ribassi del prezzo nel mercato all’ingrosso, iniziato nell’ottobre scorso.

Di contro, però, segnaliamo un aumento di 0,5 punti delle tariffe di rete, nonché da un aumento di 1,7 punti in percentuale per quanto riguarda l’adeguamento degli oneri generali. Tra questi la copertura degli incentivi per le fonti rinnovabili e assimilate. Una novità che si sapeva già da qualche mese.

Aumento Gas

Per quanto riguarda il gas, sull’aumento dell’1,7% hanno influito l’incremento dell’1,4% per l’upgrade delle tariffe di distribuzione, misura, trasporto e stoccaggio e l’aumento dello 0,5% circa per l’aggiornamento degli oneri di natura generale. C’è per fortuna un minimo controbilanciamento, proveniente dalla riduzione dello 0,2% circa per l’aggiornamento della materia prima, che è diminuita rispetto al quarto trimestre 2012 come riflesso degli andamenti pregressi delle quotazioni dei prodotti petroliferi sui mercati internazionali. Ulteriori cali potranno essere conseguiti con la riforma della componente materia prima gas, rispetto alla quale l’autorità ha già messo in consultazione i propri orientamenti.

 

Pompe “bianche” e GDO per rompere l’oligopolio dei carburanti

 Il prezzo dei carburanti aumenta costantemente e anche per il 2013 sono stati previsti dei nuovi aumenti a causa del prezzo elevato con cui questo bene viene scambiato nelle piazze internazionali. Prezzi sempre più alti che mettono in difficoltà i consumatori.

Ma la possibilità di risparmiare c’è, facendo rifornimento alle pompe bianche, cioè a quelle che non hanno nessun marchio che sono intorno alle 2000 sul territorio, o a quelle della Grande Distribuzione (86 punti vendita), che mettono a disposizione il carburante a prezzi molto più bassi, fino a 13 centesimi al litro. Per questo l’Antitrust ha avviato un’indagine per capire come rafforzare i meccanismi della libera concorrenza anche in questo mercato che da sempre è governato da un regime di oligopolio.

Sono due le compagnie petrolifere che hanno le quote di mercato più ampie e sono più efficienti (Eni ed Esso) e proprio su queste due, insieme alle altre cinque di maggior rilievo – 22.000 punti vendita sul territorio nazionale – si è concentrata l’attenzione del garante del mercato che ha evidenziato come la loro presenza sul mercato potrebbe essere nata da un accordo collusivo tra i diversi operatori teso a eliminare la concorrenza. Nella pratica non sono state trovate delle prove a sostegno di questa tesi, ma l’Antitrust chiede che siano emesse delle leggi più chiare ed efficaci per combattere questo regime di oligopolio.

Per ora la situazione italiana in merito al prezzo di vendita dei carburanti si presenta piuttosto diversificata in base alle zone di riferimento –  Sud con prezzi sempre più elevati, Nord Est ed il Nord Ovest con i prezzi più bassi e il Centro con prezzi intermedi – ma la situazione cambia se si prendono in considerazione i prezzi applicati dai singoli operatori presenti sul mercato: le pompe della Grande Distribuzione sono quelle che riescono a fare i prezzi più bassi solo se hanno il marchio esclusivamente il marchio del distributore, mentre se sono in co-branding hanno maggiori difficoltà a mantenere i prezzi bassi.

I distributori più economici, comunque, sono le pompe bianche, che riescono a praticare prezzi più bassi di almeno due centesimi per litro rispetto alla Grande Distribuzione. Il problema, però, di questi operatori, è la scarsa presenza sul territorio, che rende impossibile una situazione di concorrenza.

L’Antitrust evidenzia anche che la situazione potrebbe cambiare già nel breve termine, con alcuni operatori che non saranno più concorrenziali e usciranno dal mercato, mail processo è ancora lungo e, per giungere ad una situazione in cui i distributori di carburanti si contendano il mercato in regime di concorrenza reale, e non più di oligopolio, è necessario affrontare i seguenti step:

agevolare lo sviluppo di operatori indipendenti efficienti;
– per la grande distribuzione preferire il modello di vendita con il solo marchio dell’operatore e non il co-branding:
– incentivare lo sviluppo di infrastrutture logistiche e di raffinazione coerenti con una presenza uniforme sul territorio delle cosiddette pompe bianche:
ampliare i controlli sui distributori con la creazione di una banca dati dei prezzi praticati da ogni singolo distributore, che servirebbe anche per aumentare la percezione, da parte dei consumatori, di una reale opportunità di scelta tra prezzi diversificati;
– cercare maggiore spazio per le pompe bianche con lo sfruttamento del mercato all’ingrosso dei prodotti petroliferi liquidi;
– creare delle misure che favoriscano l’ingresso degli operatori indipendenti nel mercato dei carburanti per migliorare le condizioni di accesso ai servizi di stoccaggio e mantenere costante il grado di liquidità del mercato all’ingrosso dei prodotti petroliferi.

Fuga di cervelli triplicata in dieci anni

 Il rapporto Istat “Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente” ha messo in luce una situazione tragica per i giovani laureati italiani. Negli ultimi dieci anni (dal 2001 al 2011) il numero dei ragazzi che hanno scelto di andarsene dalla propria patria per cercare lavoro all’estero oscilla tra le 29 e le 39 mila unità.

Le mete verso cui si rivolgono i giovani con un titolo di studio universitario e con più di 25 anni sono principalmente Germania, Svizzera, Regno Unito e Francia, dove emigra circa il 44% del totale; fuori dall’Europa le mete più ambite sono il Brasile e gli Stati Uniti. Ma le percentuali cambiano se si prendono in considerazione solo gli emigrati con laurea, le cui principali mete di destinazione sono la Gran Bretagna (11,9%), Svizzera (11,8%), Germania (11%) e Francia (9,5%).

L’indagine dell’Istat non mette solo in evidenza l’aumentato numero dei cervelli in fuga, ma chiarisce anche come stanno cambiando le dinamiche dell’emigrazione: il numero dei laureati che hanno lasciato il paese è passato dall’11,9% del 2002 al 27,6% del 2011, mentre la percentuale degli emigrati che hanno titolo di studio fino alla licenza media è diminuito dal 51% al 37,9%.

Alla fine del decennio di preso in considerazione il saldo migratorio è negativo per tutte le categorie di emigrati: -5.200 individui con titolo di studio fino alla licenza media, -6.300 quelli con diploma e -10.600 laureati.

Partita Iva, non ci sarà la ‘Stretta-Fornero’

Elsa Fornero, Ministro del Lavoro, parte piano. L’azione di contrasto delle false partite Iva partirà in maniera soft. I lavoratori che di fatto aprono una posizione Iva per fingere di essere lavoratori autonomi in contesti che in realtà sono di collaborazione coordinata e continuativa o di lavoro subordinato, per il momento non vengono puniti.

Il decreto del Ministero, unitamente alla circolare diramata dall’Ufficio ispettivo dello stesso Ministro Fornero, elenca i casi in cui non si applicherà la presunzione di ‘falsa partita Iva’.

– Qualora la prestazione è svolta da un iscritto a un Ordine professionale;

– Qualora il lavoratore è in possesso di una specifica “competenza”, che (secondo la circolare) può derivare anche dal possesso di una laurea o di un diploma di scuola superiore (liceo o istituto professionale).

I controlli partiranno comunque tra du anni, esattamente il 18 luglio 2014. Perché tutto questo tempo?

Devono per forza trascorrere ben due anni prima che la riforma del lavoro (la cosiddetta legge 92/2012) entri in vigore.

La Riforma ci mette due anni per controllare se sia presente una prestazione di eccessiva prevalenza da parte del lavoratore e resa a un committente soltanto, in esclusiva o in ampissima parte. Lo prevede l’articolo 69/bis. Per ora dunque non ci sarà alcuna Stretta Fornero.

La Crisi si sente maggiormente al Sud

Grave crollo del Pil del Sud. In quattro anni, dal 2007 al 2011, è diminuito di circa 24 miliardi di euro. Un considerevole meno 6,8%. I dati provengono da uno studio di Confindustria dal titolo “Check-up Mezzogiorno”.

Che la crisi si sente maggiormente al mezzogiorno non è una novità. Il problema è che oltre al danno si è aggiunta anche la beffa. 16.000 imprese hanno chiuso negli ultimi 4 anni, causando una perdita del lavoro per 330.000 persone. Metà delle imprese in questione hanno chiuso in Campania. Nel 2012, inoltre, il tasso medio di disoccupazione è ulteriormente salito dal 13,6% al 17,4%.

Confindustria rileva che la crisi persiste per via del forte calo degli introiti provenienti dagli investimenti pubblici e da quelli privati. 7 miliardi in meno negli ultimi quattro anni, e 8 miliardi di euro in meno per quanto riguarda gli investimenti fissi lordi nello stesso periodo.

Il Sud dunque è in situazioni drammatiche dal punto di vista occupazionale. Molti giovani decidono di lasciarlo per andare a vivere al Centro, al Nord, o all’estero. Due anni fa 110.000 persone hanno optato per questa (amara decisione). Il capitale umano che rimane sul territorio, però, è inutilizzato.

Confindustria lascia anche un dato che funge da ‘magra consolazione’. L’export del Sud è tornato ai valori pre-crisi, aumentando del 7%. Una cifra superiore del doppio rispetto a quanto accaduto al centro-nord.

Famiglie con poco budget per i saldi

Le famiglie hanno pochi soldi per i saldi. Sembra un gioco di parole, ma in realtà c’è ben poco su cui scherzare.

Già, perché il budget di spesa a disposizione delle famiglie è la metà di quello di 4 anni fa. Nel 2012 è sceso infatti a 224 euro per un intero nucleo familiare.

Nel 2008, invece, la spesa media delle famiglie in regime di saldi eguagliava i 450 euro; per i prossimi saldi in partenza il 2 gennaio, invece, le famiglie spenderanno una media di 224 euro, con una contrazione del 50,2% in soli 4 anni”.

Pochi potranno, dunque, permettersi acquisti onerosi.

I dati provengono dal Codacons, e sono stati diffusi nei giorni scorsi dopo aver effettuato le prime stime sui saldi invernali.

La contrazione delle vendite è dunque evidente. Le famiglie, ormai è palese, non riescono a sopravvivere alle troppe e continue tasse. Dall’Imu alle bollette, passando per le rate da pagare, non rimane spazio per uno sfizio in più.

Così il Codacons osserva che il trend negativo degli acquisti durante il periodo dei saldi proseguirà per tutto il 2013, senza colpi di scena.

Piazza Affari chiude il 2012 positivamente

 Il 2012 sarà archiviato in modo molto positivo da Piazza Affari e non soltanto perché si prevede un miglioramento delle condizioni economiche dell’Italia per il 2013, con il conseguente calo dello spread sotto i 250 punti. Piazza Affari, dopo due anni di flessione che hanno messo in ginocchio la finanza tricolore, archivia il 2012 con un bilancio davvero positivo.

Borsa Italiana ha aggiornato i dati al 21 dicembre ed ha mostrato che il FTSE MIB storico ha subito un rincaro del 9,79% dall’anno scorso ad oggi con un massimo di quotazione toccato il 19 marzo scorso. In rialzo anche l’indice All Share che è salito dell’8,74 per cento e lo Star che è cresciuto del 15,80 per cento.

Per capire l’importanza di questi incrementi sarà sufficiente ricordare che il FTSE MIB, nel dicembre del 2011 aveva registrato una flessione del 25,28% rispetto all’anno precedente.

Per quanto riguarda i titoli nel dettaglio, quello che ha vissuto l’anno da protagonista, la cosiddetta regina degli scambi, è stata assolutamente Unicredit che ha archiviato questo 2012 con un business di 89,9 miliardi di euro. I contratti registrati sul titolo sono stati 6,7 milioni. Gli scambi di azioni Unicredit nel 2012 sono stati in media di 2 miliardi di euro.

Il numero delle società quotate in borsa nel 2012 sono state 323, in calo rispetto all’anno passato quando erano 328.

Le previsioni sullo spread italiano

 E’ facile che in questo periodo dell’anno molti investitori vadano alla ricerca dell’affare, del trend da anticipare, dell’analisi che interpreta in modo corretto l’avvio dell’anno finanziario.

Nel 2013 la ripresa non ci sarà dal punto di vista economico, al massimo, a partire dal secondo semestre, dicono gli esperti, inizierà una fase di miglioramento degli indici. Adesso, in questo senso è bene scoprire che fine faranno lo spread e gli altri indici sintetici.

Il 2012 si chiuderà con due aste, quella dei Bot e dei CTZ e poi quella del BTP a 5 e 10 anni. L’anno che si sta per concludere doveva essere addirittura pessimo e si pensava che il nostro Ministero del Tesoro non fosse in grado di coprire con le aste i debiti accumulati e rifinanziare il debito in scadenza.

Si pensi soltanto al fatto che nell’ultima asta del 2011, furono piazzati 2,5 miliardi di BTp a tre anni ad un rendimento record del 7,89 per cento. Oggi che il debito italiano è salito fino a 2 mila miliardi di euro e  ci sono circa 1680 miliardi di titoli italiani in circolazione, non si pensa che il governo centrale non sia in grado di rimborsare il debito.

Riguardo allo spread si pensa che dal 2013 scenderà sotto la quota dei 250 punti.