Crollo del Mercato Immobiliare

Vi sono alcuni dati in possesso dell’Istat che non lasciano spazio a dubbi per quanto riguarda la prosecuzione della crisi del mercato immobiliare e la crisi dei mutui. Una crisi reiterata per un comparto che qualche anno fa aveva raggiunto dei picchi molto alti. Attualmente parliamo della peggiore crisi per il settore mai capitata dal 2008 in poi .

L’Istat lancia l’allarme. Le compravendite sono diminuite del 23,6% e anche i mutui sono molto più bassi. Si tratta dunque di una diminuzione del 41,2%. Il confronto è tra quest’anno e il medesimo periodo dell’anno precedente.

L’Istat sottolinea che i dati riguardano il secondo trimestre dell’anno in corso e si può (si deve) parlare di crollo delle compravendite immobiliari, nonché di crollo dell’elargizione di mutui. Per quanto concerne il primo elemento (le compravendite), l’Istat ha messo in evidenza in particolar modo che nel periodo preso in considerazione, esse sono state circa 168.000, quasi tutte riguardanti immobili da usare come abitazioni. Si attesta, pertanto, un calo del 23,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Restando a parlare di immobili per i quali è previsto un uso abitativo il calo è dunque del 23,6%, mentre è del 24,8% il calo per quanto riguarda gli immobili ad uso residenziale.

Il Mercato Immobiliare, dunque. è una delle prime vittime della Crisi economica. Il segmento preso in considerazione risente anche dei fenomeni economici e dei fenomeni sociali connessi, quali ad esempio gli ostacoli posti dall’accesso al credito, disoccupazione e precariato. Tutte le zone d’Italia, senza alcuna eccezione, sono interessate alla diminuzione delle compravendite. In particolar modo il calo riguarda le Isole, dove si parla di un calo del 58,3%. Poco meglio il centro Italia, dove si registra un calo del 36%.

 

Confindustria: ripresa sempre più difficile

 Il nuovo rapporto di Confindustria dipinge una situazione quanto mai allarmante per l’Italia, lontana dalle prospettive di ripresa di cui si sta parlando in questi giorni.

In modo particolare a destare preoccupazione è il mercato del lavoro, per il quale le stime sono molto simili a quelle prospettate dall’indagine di ManPower sulle assunzioni per i primi mesi del 2013. Secondo quanto riportato da Centro Studi di Confindustria, infatti, la disoccupazione è destinata a crescere: si arriverà all’11,8% di disoccupati nel 2013 e al 12,4% nel 2014. Le unità lavorative perse dal 2007 fino ad ora sono un milione che diventeranno uno e mezzo nel terzo trimestre del 2013.

Ulteriori problematiche, secondo Condfindustria, arrivano dal crollo dei consumi, che è arrivato a toccare le cifre del dopoguerra, e che si stabilizzerà solo nel 2014 e la pressione fiscale che

rimarrà prossima ai massimi storici e insostenibilmente elevata, specie quella effettiva: 53,9% del Pil nel 2014 tolto il sommerso dal denominatore

Le famiglie, quindi, sono messe in ginocchio da questa drammatica situazione economica che, come precisa  il presidente dell’Istat Enrico Giovannini, non tiene ancora conto di quanto successo nell’ano in corso:

I dati diffusi non tengono conto ancora della difficile situazione del 2012, quindi le cifre sulla situazione della povertà in italia sono destinate a peggiorare nel corso dell’anno. La situazione è molto difficile: avere quasi un terzo di italiani a rischio povertà ed esclusione è un dato molto elevato, che segnala la difficoltà di famiglie che non riescono a far fronte ad una spesa improvvisa oppure non riescono a riscaldare adeguatamente il proprio appartamento, oppure hanno tagliato le spese alimentari.

Squinzi interviene su Conti Pubblici

Giorgio Squinzi, intervenendo al convegno del Centro Studi Confindustria (ente da lui presieduto), ha dichiarato che un’ulteriore manovra correttiva deve essere esclusa e la priorita’ assoluta riguarda solo ed esclusivamente la crescita. Se deve essere esclusa una nuova manovra correttiva perche’ il pareggio bilancio e’ stato raggiunto strutturalmente, ciò non vuol dire che si possa allargare la spesa pubblica o tagliare le tasse senza un’adeguata copertura. Il pareggio va mantenuto.

La crescita è dunque per Squinzi la priorità assoluta. C’era già da prima della crisi e su di essa occorre investire in tempi rapidi, quei tempi che prima non sono stati sfruttati a dovere.

Squinzi sottolinea che per avere piu’ crescita bisogna ripristinare a pieno la competitivita’ del Paese: si possono fare cose che non costano e che sono quelle che alla lunga portano maggiori benefici: piu’ flessibilita’ piu’ concorrenza, meno burocrazia piu’ merito. Riconfigurare lo stato rendendolo piu’ snello fa scendere spesa pubblica e incoraggia iniziative imprenditoriali: e’ questa vera spending review. Ma occorre anche fare altri interventi che costano come quelli sulle infrastrutture e sull’agenda digitale e a sostengo dell’innovazione e della ricerca come quelli sulla promozione all’estero dove l’Italia spende una frazione di quello che fanno Francia e Germania”.

Italia e Spagna fuori dall’accordo sul brevetto unico europeo

Nasce il brevetto unico per l’Unione europea. Ci sono voluti anni di dibattiti, se si pensa che se ne parla già dal 1973, per realizzarlo.

Ora, finalmente, il Parlamento di Bruxelles ha approvato una legislazione che consentirà di solidificare ulteriormente il mercato unico, fornendo alle imprese regole uniformi in un campo fondamentale come quello della registrazione dei brevetti.

Un accordo che, momentaneamente, esclude Italia e Spagna, che non hanno approvato l’aspetto linguistico del provvedimento.

Il nuovo brevetto unico europeo, offrirà la possibilità di registrare licenze a protezione di invenzioni con un solo atto in tutti i Paesi, ma l’atto potrà essere redatto solo in inglese, francese o tedesco. I due Paesi hanno presentato ricorso.

Così gli esperti:

“Nell’approvare la legge, che prevede anche la nascita di una Corte di giustizia specializzata, l’aspetto linguistico è stato il più difficile da superare: l’Ue ha 23 lingue ufficiali e ognuno degli Stati membri, preoccupato per i costi di traduzione delle imprese, ha cercato di includere anche la propria lingua nel provvedimento, ma non è stato possibile”.

La Commissione europea ha spiegato che le nuove regole potranno ridurre i costi per le aziende sui singoli brevetti di circa 30 mila euro. Se almeno 13 Paesi avranno ratificato l’accordo entro novembre 2013, il primo brevetto europeo potrebbe vedere la luce nell’aprile 2014

Nel frattempo, il presidente di Confindustria Squinzi ha dichiarato:

“L’Europa fa un deciso passo in avanti verso un sistema più semplice, più efficiente e meno costoso. Finalmente i paesi dell’Unione europea colmano la distanza con gli Usa e il Giappone, dove brevettare costa dieci volte meno, e si dotano di meccanismi, sicuramente perfettibili ma che consentiranno di ottenere un brevetto valido in 25 Paesi con un’unica procedura, a costi molto più ridotti degli attuali e, soprattutto, di avere una giurisdizione unica in caso di controversie, senza doversi rivolgere a un tribunale diverso per ogni Paese. Se la Corte di Giustizia Ue seguirà le conclusioni odierne dell’avvocato generale, che raccomanda di bocciare i ricorsi presentati da Italia e Spagna, è importante e urgente che in tempi brevi il nostro Paese aderisca pienamente al nuovo brevetto unico europeo, come le imprese chiedono da tempo”.

In calo i prestiti alle famiglie

Calano i prestiti bancari. Questi i dati resi noti da Bankitalia:

“Ad ottobre, gli impeghi all’intero settore privato sono scesi dell’1% rispetto a settembre, registrando il terzo calo consecutivo. I prestiti alle sole famiglie sono scesi dello 0,1% registrando il primo calo da 13 mesi a questa parte, mentre i finanziamenti alle imprese hanno segnato il sesto calo consecutivo scendendo del 2,9% rispetto al mese precedente dopo il -3,2% registrato a settembre. Sul versante della raccolta, a ottobre si segnala un aumento del 4,7% sul mese precedente, quando l’incremento su base mensile era stato del 5,7 per cento. In lieve aumento le obbligazioni (+11,8% mensile). Per quanto riguarda i tassi sui depositi si segnala un lieve aumento, dall’1,27 all’1,28 per cento, a cui si associa un incremento della remunerazione dei tassi sui conti correnti (dallo 0,54 allo 0,55 per cento)”.

Bankitalia ha anche fornito le ultime rilevazioni sui tassi dei mutui, nonché sul credito al consumo:

“Scendono, intanto, i tassi sui mutui e sul credito al consumo. A ottobre i tassi applicati sui prestiti per l’acquisto di abitazioni sono scesi al 4,06% dal 4,10% del precedente mese di settembre (e ai minimi dal novembre 2011). Più sensibile la flessione registrata per il credito al consumo: in questo caso il calo è stato dal 9,73% di settembre al 9,65% di ottobre”.

La Spending Review delle famiglie

Le famiglie fanno la loro personalissima Spending Review. Come? Risparmiando su telefono, benzina, gasoli per le automobili, casa, bar. Ad un anno di distanza dalla partenza dell’operazione i conti domestici iniziano a tornare e la pressione fiscale (salita di quasi due punti percentuali negli ultimi dodici mesi) è stata tenuta a bada. Il potere d’acquisto crolla e per risalire la china occorre fare un lavoro certosino. Tagliare le entrate e cambiare tutto nel proprio lifestyle. Ciò ha regalato agli italiani un taglio (mancata spesa) di 33 miliardi.

Unione Petrolifera sottolinea il taglio alle auto:

“L’auto è la vittima eccellente dell’austerity casalinga. Una scelta quasi obbligata: la raffica di aumenti delle accise (sulla verde sono salite del 22% tra gennaio e agosto 2012, sul diesel del 33%) ha fatto decollare i prezzi del carburante. E noi, difficile fare diversamente, ne compriamo sempre meno. Nei primi 10 mesi dell’anno abbiamo tagliato del 9,9% la spesa per il pieno. Nei nostri serbatoi sono entrati 3,4 miliardi di litri in meno, quanto basta per fare un milione di volte il giro della Terra – pari (in teoria) a un risparmio secco di 6 miliardi”.

Econometrica vede così le spese della famiglia:

“Peccato che l’aumento delle tasse si sia mangiato con gli interessi i sacrifici. Secondo Econometrica la spesa delle famiglie tricolori alla voce “benzina e gasolio” salirà quest’anno di 4 miliardi a 71,8 miliardi. Solo tra gennaio e ottobre le entrate dello Stato grazie alle tasse sui carburanti sono cresciute di 3,5 miliardi malgrado il crollo dei volumi. Nessuno si stupisce, visti i costi di gestione, se in tantissimi hanno rimandato l’acquisto dell’auto. Le vendite sono crollate del 20% rispetto a un anno fa e quest’anno gli italiani investiranno “solo” 28,7 miliardi per sostituire la loro quattroruote, 7 miliardi in meno del 2011″.

Il Governo prova a salvare l’Ilva

Sarà una corsa contro il tempo, se si vorrà salvare l’Ilva. Il Governo ci prova, mobilitandosi ancora una volta già ieri sera. La conferma del Consiglio dei Ministri arriva a tarda sera, però soltantoo due ore dopo l’annuncio della cassa integrazione per altri 1400 dipendenti dell’Ilva:

«Il Consiglio dei ministri ha deciso che il Governo presenterà un emendamento interpretativo al decreto salva-Taranto». Lo ha annunciato martedì a tarda sera una nota del ministero dell’Ambiente. L’ azienda potrà commercializzare quanto prodotto prima del decreto. Con l’emendamento si chiarisce che la facoltà di commercializzazione dei manufatti da parte dell’Ilva, riguarda anche quelli prodotti prima dell’entrata in vigore del decreto salva-Taranto e attualmente sottosequestro. Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, domani mattina presenterà alla Camera l’emendamento governativo».

Intanto l’Ilva annuncia in una nota:

“In conseguenza del ‘no’ del Gip di Taranto al dissequestro dei prodotti, si fermeranno a catena gli impianti di Novi Ligure, Genova Racconigi e Salerno, dell’Hellenic Steel di Salonicco, della Tunisacier di Tunisi e di diversi stabilimenti presenti in Francia. L’azienda ricorrerà al tribunale del Riesame contro il no del gip di Taranto al dissequestro dei prodotti finiti e semilavorati. Naturalmente l’azienda ricorrerà al Tribunale del Riesame confidando cha la situazione possa essere sbloccata al più presto per evitare oltre al danno derivante dalla mancata consegna dei prodotti già ordinati e non rimpiazzabili in alcun modo, anche il danno relativo all’eventuale smaltimento di tali prodotti che, l’azienda ricorda, sono prodotti deteriorabili”.

Perdono il lavoro altri 1.400 dipendenti Ilva

Arrivano altre brutte notizie da Taranto. In una nota l‘Ilva ha annunciato:

«Da ora e a cascata per le prossime settimane circa 1.400 dipendenti, appartenenti prevalentemente alle aree della laminazione a freddo, tubifici e servizi correlati, rimarranno senza lavoro. La decisione è legata al ‘no’ del Gip al dissequestro dei prodotti giacenti sulle banchine. Il numero di 1.400 dipendenti rimasti senza lavoro si andrà a sommare ai già 1.200 dipendenti attualmente in cassa integrazione per le cause già note, quali la situazione di mercato e le conseguenze del tornado che ha investito lo stabilimento di Taranto lo scorso 28 novembre».

L’Ilva dunque, continua a mandare intere famiglie per strada. E, sulla produzione, i dirigenti aziendali dicono:

«Tutta la produzione giacente in stabilimento, generata prima e dopo la data del 26 luglio 2012 e fino al 2 dicembre 2012, non potrà essere inviata agli altri stabilimenti del Gruppo per le successive lavorazioni o consegnata ai clienti finali. La quantità di prodotti e di semilavorati interessati dal provvedimento di sequestro risulta pari a circa 1 milione e 700mila tonnellate, per un valore economico di circa 1 miliardo di euro. E anche le conseguenze di carattere commerciale, riguardanti, ad esempio il settore tubi e altri settori strategici, saranno gravissime in quanto clienti di rilevanza mondiale, subiranno pesanti ritardi nella loro produzione dovuta alla mancanza di approvvigionamenti».

 

 

Ancora nulla di fatto sul patto Italia-Svizzera

 Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Vittorio Grilli ha aggiornato la Camera sugli sviluppi delle trattative tra Italia e Svizzera per quanto riguarda gli accordi fiscali che dovrebbero permettere all’Italia di tassare i capitali che i cittadini portano nelle banche elvetiche.

Sono ormai mesi che le trattative vanno avanti, ma

I tavoli di lavoro tra i due governi sono ancora aperti, ma ancora non c’è una conclusione. C’è un interesse reciproco, ma ribadisco il no a una soluzione a tutti i costi: ciascuno ha i suoi princìpi di trasparenza e sulla reciprocità delle informazioni. Sono cose su cui stiamo lavorando.

Qualche tempo fa sembrava che l’accordo fosse davvero alle porte, ma poi una brusca frenata, dovuta anche alle parole del presidente del consiglio Mario Monti che ribadiva l’esistenza di alcuni ostacoli nelle trattative, come successo anche per la Germania, che ha bloccato le trattative fono a che non si chiarirà la questione dell’anonimato dei correntisti.

Nel suo intervento, infatti, Grilli ribadisce

Lo schema di Rubik (questo il nome che è stato dato all’accordo proposto dalla Svizzera) ha bisogno di qualche piccola revisione, visto che anche la Germania ha avuto qualche ripensamento.

Piazza Affari e il dopo Monti che spaventa

 Il fine settimana della politica italiana è stato segnato dall’annuncio del premier Monti: dopo la palese sfiducia dimostratagli da Alfano in aula, il Professore alla guida del gabinetto tecnico incaricato di traghettarci fuori dalla crisi, ha deciso di gettare la spugna.

Monti, applaudito da molti cittadini, dice di dimettersi dopo l’approvazione della Legge di Stabilità. Il documento è ancora in fase di discussione e approvazione ma si preannuncia una tornata elettorale per la fine di febbraio o nella prima settimana di marzo.

Il fatto che Monti abbia deciso di andare via non piace affatto alle borse che temono il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del Belpaese. Il Ftse Mib risente molto della crisi di governo e chiude al -2,2% dopo una giornata molto altalenante in cui l’indice ha perso anche il 3,8 per cento.

In rialzo il Dax di Francoforte che cresce lievemente e va bene anche il Cac 40 di Parigi. Resta invece molto esposta al debito la Spagna che quindi perde terreno, registrando il -0,56%.

L’unico titolo che a Piazza Affari si tiene a galla è quello Mediaset che guadagna il 2 per cento e sembra che l’entusiasmo legato alla nuova discesa in campo di Berlusconi. Male, poi, tutti i bancari che perdono oltre cinque punti.

Riguardo allo spread c’è da registrare il ritorno del differenziale sopra la quota limite di 350 punti.