L’economia italiana è più solida di quanto sembra, e questo il parere di un esperto

 Se l’Italia vuole essere considerata affidabile dai mercati internazionali, deve lavorare per ricostruire la sua immagine partendo da alcune statistiche che evidenziano un’economia più forte di quella spesso descritta. È questo il parere del noto economista Marco Fortis. In un’intervista a margine di una conferenza presso l’Associazione della Stampa Estera di Milano, Marco Fortis, docente di economia industriale presso l’Università Cattolica di Milano e vice presidente della Fondazione Edison ha affermato che l’Italia è ingiustamente percepita come debole in termini di competitività e di debito pubblico.

 

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Fortis ha sottolineato che l’industria italiana è altamente competitiva. In base alle statistiche elaborate dalla Fondazione Edison su dati Eurostat e dall’Istat, Fortis ha detto che l’Italia è una delle cinque economie del G20 con un avanzo strutturale nel commercio per i prodotti fabbricati. Nel 2012, l’Italia ha registrato il più alto valore commerciale netto di produzione della sua storia.

Fortis ha osservato che il prodotto interno lordo italiano (Pil) italiano è stato debole negli ultimi 20 anni. Questa tendenza, tuttavia, non è stato originata da una mancanza di competitività ma soprattutto dipende da un processo che si riferisce alle finanze pubbliche, con la tassazione in crescita, una riduzione del reddito disponibile delle famiglie e la conseguente bassa crescita dei consumi privati.

Inoltre, per Fortis in Italia la persistente instabilità politica è causa di gravi vincoli per le imprese, ma il settore manifatturiero del Paese resta il secondo in Europa e il quinto nel mondo in termini di valore aggiunto. L’Italia è il secondo Paese dopo la Cina per il maggior numero di prodotti non alimentari lavorati, con un valore commerciale netto superiore a quello della Germania.

 

Il 12% degli italiani non riesce a vivere con lo stipendio

 Solo in Romania e in Grecia, dove si toccano punte del 14%, la situazione è più grave. Sono questi i risultati più notevoli che emergono dal recente “Rapporto su occupazione e sviluppi sociali” presentato alcuni giorni fa da Lazlo Andor, Commissario Europeo al Lavoro.

Dal 2010 ad oggi le entrate di una grande maggioranza delle famiglie europee hanno subìto una diminuzione in termini reali, ma i cali sono stati mediamente più pesanti in Grecia, Spagna, Italia, Irlanda, Cipro e Portogallo con picchi a -5%.

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Più in generale tra il 2008 ed il 2012 in Europa le persone a rischio di povertà ed emarginazione sociale sono aumentate di 7,4 milioni, col risultato che ad oggi ben un quarto della popolazione europea, ossia 125 milioni su un totale di 507 milioni, vivono al limite o sotto il bordo dell’indigenza.

Lo scenario si è deteriorato più velocemente ed in maggior misura proprio in Italia, Grecia e Irlanda, che nell’arco di quattro anni hanno registrato un incremento del numero di persone in difficoltà economica del 5% e oltre.

A ciò si aggiunga che chi perde il lavoro in Italia ha scarse possibilità (14-15%) di trovarne un altro entro un anno, una delle percentuali più basse fra gli Stati membri dell’Ue.

Il Rapporto dell’Unione Europea esce in concomitanza con i dati Ocse che per la prima volta, da due anni a questa parte, segnalano una ripresa dell’occupazione, salita a quota 63,5% (+ 0,1%).

L’Italia registra invece un andamento in controtendenza: la percentuale di occupati tra la popolazione attiva è infatti scesa dal 55,6% del secondo semestre 2013 al 55,4% del terzo.

I tedeschi sempre più risparmiatori

 Ogni mese il 60% dei cittadini tedeschi riesce a mettere qualcosa da parte, anche se la media del risparmio non è elevatissima e si aggira sui 200 euro; di contro, il 14% rinuncia deliberatamente a risparmiare.

Secondo la Bank of Scotland, che ha commissionato un’apposita ricerca, i risparmiatori più costanti sono gli abitanti del Land orientale del Meclemburgo (69%), seguiti da quelli della regione di Amburgo e della Baviera, rispettivamente al 68% e al 66%.

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In assoluto, i risparmiatori più diligenti sono gli abitanti dell’Assia e della Renania-Palatinato, che, nella percentuale del 12%, riescono ad accantonare più di 500 euro al mese, sopravanzando di molto i residenti del Nord Reno- Westfalia i quali mediamente depositano in banca un contributo mensile di 50 euro al massimo.

Per il prossimo futuro, il 60% dei tedeschi ritiene che sarà in grado di mettere da parte una cifra analoga a quella attualmente accantonata, mentre il 20% pensa che vorrà o dovrà diminuirla. Il 17%  della popolazione tedesca è invece orientata a risparmiare quest’anno una cifra superiore a quella attuale, riducendo le spese per i generi alimentari e frequentando di meno locali pubblici e ristoranti.

Anche in Italia, tradizionale paese di risparmiatori, il 66% dei cittadini ritiene che gli accantonamenti mensili siano un obiettivo fondamentale per le famiglie, ma nel 2013 solo il 39% di essi è riuscito effettivamente ad accantonare in banca cifre di entità significativa.

Un atteggiamento che dipende in parte dalla crisi e dalle difficoltà economiche, ma che è anche frutto di una crescente tendenza a mantenere sotto mano una maggiore liquidità.

Investimenti in istruzione a -1,2% in Italia

 I Paesi in Europa che nel 2013 hanno abbassato la quota di investimenti in istruzione sono pochi. Lo dimostra l’agenzia Eurydice che ha pubblicato un dossier sugli investimenti nell’istruzione dei Paesi europei.

Il rapporto considera il confronto tra il 2012 e il 2013. Il dato medio è di un aumento dell’1% degli investimenti in istruzione in Europa.

Quali sono i Paesi dove si sono avuti tagli all’istruzione?

L’Italia è tra questi Paesi e quindi in controtendenza rispetto al dato medio di crescita di fondi messi a disposizione dell’istruzione. Oltre all’Italia, i tagli ci sono stati in Irlanda, in Croazia, a Cipro, del 15,8%, a Malta, nel Regno Unito e in Finlandia. In Italia i tagli sono stati dell’1,2%.

 

Nessun taglio a scuola, istruzione e ricerca

 

I minori investimenti in Italia hanno riguardato soprattutto il numero di insegnanti, le infrastrutture e le attrezzature e software. Tre ambiti che sono un po’ l’emergenza del sistema di istruzione italiano. Gli insegnanti precari sono in numero tra i più alti d’Europa. Le infrastrutture sono vecchie e non sicure. L’innovazione è fondamentale ma ancora non molto presente.

 

Gli insegnanti non dovranno restituire i 150 euro al mese

 

Tra gli altri Paesi europei, significative contrazioni del budget per l’istruzione in Croazia e nel Regno Unito con il -4%. A Malta e in Finlandia il taglio è stato di quasi il 3%.

Nel confronto tra il 2012 e il 2013, il Paese in Europa che ha mostrato dati di maggiore crescita in termini di investimenti in istruzione è il Belgio. Un aumento di circa il 27% che arriva dagli investimenti in edilizia scolastica e nell’apertura di nuovi istituti con progetti che vedono la collaborazione tra pubblico e privato.

Eurozona, inflazione bassa, Draghi pronto a nuove misure

 La Bce ha «sottolineato con forza» che la politica monetaria resterà accomodante per tutto il tempo necessario. E, in base ad uno scenario di inflazione bassa «per un prolungato periodo di tempo» nell’Eurozona, Draghi ha messo l’accento con vigore sull’impegno a conservare i tassi ai livelli attuali – lo 0,25%, confermato nell’ultimo incontro- o perfino più bassi, per un lungo periodo di tempo – avvalorando così la cosiddetta “forward guidance” scelta in autunno.

Gli italiani sono di nuovo risparmiatori

 Negli ultimi 12 mesi, gli italiani hanno ripreso il gusto di risparmiare che si era affievolito a partire dal 2009. Negli anni della crisi, una delle virtù degli italiani, che in un certo senso teneva in piedi l’economia, era la capacità di risparmiare che sembrava essere andata persa.

Secondo uno studio di Acri-Ipsos nel 2013 la percentuale di nostri connazionali che è riuscita ad accantonare un’aliquota del proprio reddito è salita al 29% dal 28% del 2012.

Simmetricamente, le famiglie  con un saldo finanziario negativo sono diminuite dal 31% al 30%, mentre la maggioranza dei nuclei familiari (40%) ha continuato a consumare per intero il proprio reddito, per necessità o per scelta.

 

Calo dei consumi e meno risparmi per le famiglie italiane

 

La crisi  incide sensibilmente anche sulle abitudini e sulle forme del risparmio: se nel 2006 il 70% delle famiglie riteneva che l’investimento più solido e sicuro fosse  il “mattone”, oggi solo il 29% del campione è rimasto dello stesso parere (contro il 35% del 2012).

Tra le cause di questo “divorzio”, il campione indica la stretta sulla concessione di mutui, la tassazione crescente e mutevole, i costi di gestione immobiliare.

Il periodo di difficoltà economico- finanziarie  induce un numero crescente di famiglie (ben il 34%, massimo storico per l’Italia) a puntare su forme di accantonamento ritenute più  sicure e garantite come il risparmio postale, i bond ed i titoli di stato (anche se questi ultimi segnano un lieve calo dal  9% al 7%).

La scelta azionaria, anch’essa in lieve discesa interessa oggi il 7% della famiglie contro l’8% del 2012, mentre la prassi di tenere i risparmi in liquidità prevale, come sempre, su tutte le altre forme di accantonamento e riguarda il 66% delle famiglie.

Asta Btp tre anni fa il tutto esaurito

  La discesa dello spread ha influenzato positivamente le scelte degli investitori che oggi ritengono più sicuro investire in Italia. E lo ha dimostrato l’asta odierna del Btp triennale con scadenza dicembre 2016 che ha raggiunto il valore massimo di vendite preventivate.

Calo dei consumi e meno risparmio per le famiglie italiane

 La crisi economica che ancora permane in Italia sta portando i cittadini a un cambio di abitudini. La prima cosa che sembra cambiare sono i consumi, in calo un po’ tutti con gli italiani che stanno imparando a riciclare in molti ambiti.

Le famiglie hanno tagliato i consumi anche per quanto riguarda alimentari e benzina per ridurre le spese. Quello che stanno facendo le famiglie è un po’ come quello che accade nel governo, con la regola che è l’austerity e il risparmio sulle spese superflue.

Nel 2012, i dati mostrano una ricchezza che è calata di 51 miliardi di euro. Lo ha mostrato la banca d’Italia nel rapporto presentato a dicembre. La ricchezza netta delle famiglie nel 2012 è di circa 8.542 miliardi di euro, lo 0,6% in meno nel confronto con l’anno precedente che corrisponde appunto a circa 51 miliardi di euro. Il dato in termini reali mostra un calo che è maggiore del 2,9% e che considera l’aumento dei prezzi.

 

I consumi tornano a calare

 

La ricchezza delle famiglie italiana è scesa del 9% nel periodo che va dal 2007 al 2012. Nel primo trimestre del 2013 si prevedono ulteriori cali.

Nel 2012 è calato anche il risparmio delle famiglie italiane in termini nominali. Questi è di 36 miliardi di euro, mentre circa 10 anni fa era di 100 miliardi di euro. Il rapporto ricchezza netta/reddito disponibile è a 7,87 contro l’8,14 dell’anno precedente. Il rapporto è sempre buono se confrontato con quello di altri Paesi come la Germania, con il rapporto a 6,27, e gli Stati Uniti, con il rapporto a 5,25. Il rapporto tra le attività finanziarie e il reddito disponibili in Italia è invece meno sviluppato che negli altri Paesi. In Italia è a 3,22, negli Stati Uniti a 4,38 e in Giappone a 5,27.

La discesa dello Spread aiuta i Titoli di Stato italiani

 Oggi, con la ripresa sempre lenta dell’economia, il clima sembra più disteso e lo spread che misura la fiducia dei mercati internazionali ne prende atto. «Una grande notizia – ha commentato il presidente Enrico Letta al Tg1- che testimonia la bontà dell’azione di governo.

Borsa, la discesa dello spread aiuta i listini

 Ancora in difficoltà la borsa di Tokio che non riesce a superare l’enpasse nonostante Il consolidamento dello yen dopo i attuali rialzi, dopo la corsa del 2013, mentre in Europa i listini procedono nervosi ma volgono al meglio dopo i dati sul mercato del lavoro in Germania che vedono il tasso di disoccupazione rimanere abbastanza stabile al 6,9% a dicembre, in linea con quanto ci si attendeva.