La contrazione del credito aumenta nel Sud Italia

 Diventano sempre più tangibili in Italia gli effetti del credit crunch, cioè della contrazione del credito, ai danni delle famiglie italiane. Queste ultime, infatti, a causa dei livelli di occupazione, che ancora stentano a salire a causa della crisi e a causa della ridotta disponibilità finanziaria, sono sempre più spesso costrette a fare i conti con le dita. E quando ciò non è possibile, si instaura il rischio di usura

Confcommercio contro le FS privatizzate

 Privatizzare le Ferrovie dello Stato per rendere il trasporto su rotaia più efficiente e, perché no, meno costoso. E’ sicuramente questo quello che pensano i comuni investitori davanti all’ipotesi che le Ferrovie dello Stato non siano più dello Stato. In realtà una trasformazione della struttura di questa società non è considerata universalmente “la cosa giusta”.

I bond delle FS piacciono agli investitori

L’ultimo parere negativo, a riguardo, è stato fornito da Confcommercio. Il vicepresidente dell’Associazione ha spiegato che l’ingresso di un attore privato nel settore dei trasporti ferroviari, potrebbe tradursi in una colonizzazione di un settore strategico, con la progressiva riduzione della coesione socio economica e della competitività dei territori italiani.

Italia recupera terreno ma i fondi UE sono a rischio

Portare in campo la coesione socio-economica del paese per spiegare quello che succede alle Ferrovie dello Stato è senz’altro ad effetto ma Confcommercio ci tiene a precisare che la rinuncia alla statalità dell’azienda sarebbe un autogol. Confcommercio, si mette così contro lo stesso Mario Moretti, Amministratore Delegato di Ferrovie dello Stato che, invece, dichiara la sua società pronta al cambiamento di stato.

La paura, tra l’altro fondata, di Confcommercio, è che passando nelle mani di un privato, il trasporto su rotaia si concentri sulle tratte più trafficate e remunerative, trascurando quelle meno gettonate, con una riduzione del servizio e delle possibilità di sviluppo dei flussi commerciali.

Italcementi cede alla crisi

 Moltissime aziende, in Italia e nel resto del mondo, hanno scelto di delocalizzare la produzione, al fine di avere un maggior rendimento e di redimersi dalla crisi. Eppure ci sono delle strade che, intraprese in un momento economico profittevole, si rivelano assai accidentate. Basta guardare a quello che sta succedendo ad Italcementi.

Credit crunch? Le imprese rispondono con i Bond

L’azienda in questione si è vista ridurre “il rating” dagli esperti d’investimenti della Crédit Suisse. La banca d’affari elvetica ha definitivamente bocciato questa realtà industriale ed ha dichiarato di aspettarsi il 30 per cento in meno sull’ebitda egiziano. L’ebitda è il margine operativo lordo. La Crédit Suisse pensa anche che ci saranno delle riduzioni del 3 e del 5 per cento sui margini operativi lordi del 2013 e del 2014.

Le Borse di ieri

L’azienda bergamasca non è stata penalizzata per la qualità del lavoro, quanto piuttosto per il deterioramento della situazione politica e sociale in Egitto dove la violenza e l’instabilità politica sono diventate parole d’ordine. L’azienda italiana, rispetto a quello che sta succedendo in Egitto, si è scontrata anche con Moody’s.

L’agenzia di rating, infatti, non appena sono ricominciati gli scontri in Egitto ha tagliato il rating di Italcementi che ha risposto giudicando la scelta dell’agenzia come affrettata. In realtà è vero che Italcementi in questo paese del nord Africa, produce circa il 20 per cento dei suoi margini operativi.

Un piano da 280 mila posti di lavoro per l’edilizia

 Per l’ edilizia, uno dei settori economici italiani più colpiti dai rovesci della crisi, potrebbero aprirsi nuove opportunità di occupazione. Uno studio realizzato dalla Confederazione Nazionale degli Artigiani in collaborazione con Cresme ha infatti elaborato un piano che potrebbe apportare ben due vantaggi:

  • creare nuovi posti di lavoro – 280 mila – nel settore edile
  • utilizzare le risorse già stanziati ma ancora non utilizzati, che giacciono dispersi tra i vari enti locali e i fondi statali.

Quanto si deve pagare per la tassa annuale sulle unità da diporto

 Che cos’è la tassa annuale sulle unità da diporto

Tra le numerose tasse di cui l’ Agenzia delle Entrate richiede il pagamento vi è anche la tassa annuale sulle unità da diporto. La  tassa annuale sulle unità da diporto è infatti la tassa che sono tenute a pagare tutte le imbarcazioni e le navi che hanno una lunghezza superiore ai 10 metri.

Poche stabilizzazioni e molti tagli nella Pubblica Amministrazione

 Sarà presentato al Consiglio dei Ministri di venerdì prossimo, 23 agosto, la bozza del decreto legge che il ministro della Funzione pubblica Giampiero D’Alia ha preparato per risolvere le questioni ancora in sospeso relative all’ organico della Pubblica Amministrazione. 

Come e quando pagare la tassa annuale sulle unità da diporto

 Che cos’è la tassa annuale sulle unità da diporto

La  tassa annuale sulle unità da diporto è la tassa che sono tenute a pagare ogni anno all’ Agenzia delle Entrate tutte le imbarcazioni e le navi che hanno una lunghezza superiore ai 10 metri.  

Nuove norme per la tassa annuale sulle unità da diporto

 L’ emanazione del decreto legge n. 69 / 2013 ha apportato delle modifiche e rimodulato il tributo che ogni anno deve essere conferito allo Stato dai proprietari di imbarcazioni e di navi. Si tratta della cosiddetta tassa annuale sulle unità da diporto, che d’ ora in avanti si pagherà quindi secondo diverse modalità.

Gli effetti del blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici

 All’ incirca una settimana fa il Consiglio dei Ministri ha approvato il provvedimento che, sulla base di nuovi tagli alla spesa pubblica, impone il blocco degli stipendi di tutti i dipendenti statali per i prossimi anni, fino a tutto il 2014. Per questi lavoratori, quindi, non ci saranno né rinnovi contrattuali, né scatti di anzianità a breve.

In calo le assunzioni di giovani sotto i 30 anni

 Il mondo dei giovani sembra essere destinato ad allontanarsi ancora di più da quello del lavoro. E’ questo, infatti, che prevedono i dati di una indagine realizzata da Unioncamere in collaborazione con il Ministero del Lavoro, secondo i quali nei prossimi mesi del 2013 il numero degli occupati italiani con una età inferiore ai 30 anni sarà destinato a calare ancora.