Jp Morgan rappresenta la banca più grande del mondo, tuttavia è seguita a breve distanza dalla cinese Icbc.
JP Morgan
Jp Morgan, utili in crescita
Jp Morgan ha fatto registrare per il secondo trimestre consecutivo nel 2015 utili netti per un totale di 6,29 miliardi di euro o 1,54 dollari ad azione.
Si tratta di dati in crescita in confronto ai 5,98 miliardi o 1,46 dollari ad azione di un anno fa e alle aspettative degli analisti che parlavano di profitti per 1,44 dollari. I ricavi nel periodo sono diminuiti a 24,53 miliardi da 25,34 un anno ma sono leggermente sopra le attese che erano di un fatturato di 24,4 miliardi.
A far calare del 3% circa i ricavi nel secondo trimestre 2015 sono stati, secondo quanto comunicato dal gruppo, le minori entrate generate dalla divisione mutui e dalle attività di corporate investment banking mentre il comparto dell’asset management è risultato in crescita su base annua. I costi, al netto degli interessi passivi, sono scesi del 6% a 14,5 miliardi, grazie alla semplificazione della struttura aziendale, a minori spese legali e a minori costi nella divisione di mortgage banking. Gli accantonamenti per perdite sul credito sono stati pari nel trimestre a 935 milioni di euro, in crescita del 35% su base annua nonostante le minori svalutazioni iscritte a bilancio.
A dare i conti è stata anche Wells Fargo, che ha chiuso il secondo trimestre con un utile netto in lieve calo a 5,72 miliardi di dollari (pari a 1,03 dollari per azione) rispetto ai 5,73 miliardi (1,01 dollari per azione) riportati nell’analogo periodo dell’anno scorso. I ricavi sono aumentati a 21,3 miliardi di dollari dai 21,1 miliardi di dodici mesi fa. Gli analisti si aspettavano profitti per 1,02 dollari per azione e un fatturato di 21,7 miliardi. Il margine d’interesse è salito a 11,3 miliardi. Estremamente volatile il titolo nel pre-market; al momento cede l’1,32%.
Trimestrali Usa, ottimo avvio
Si avvia con il piede giusto la stagione delle trimestrali Usa nel comparto finanziario: Jp Morgan Chase ha riportato per il primo trimestre dell’anno utili pari a 5,91 miliardi di dollari o 1,45 dollari ad azione, a fronte delle attese degli analisti di profitti pari 1,40 dollari.
Hacker attaccano Jp Morgan
La Cina e Blackrock puntano sull’Italia
Continua a crescere l’interesse degli investitori esteri verso le grandi società italiane quotate in Borsa, anche in concomitanza con la recente espressione di JP Morgan Chase a favore del debito pubblico d’Italia (e Spagna) i cui tassi potrebbero prevedibilmente scendere di ulteriori 25-30 punti base.
In questo quadro si inserisce una nota emessa dalla Consob circa la partecipazione della People’s Bank of China al capitale di Eni ed Enel, società controllate dalla mano pubblica. Più in dettaglio la banca centrale cinese detiene il 2,102% del capitale della società petrolifera ed il 2,071% di quello della società elettrica.
► Cina, un rallentamento economico previsto
Benché le partecipazioni cinesi siano minoritarie rispetto alle quote in mano ai soci di controllo dei due enti energetici, esse rappresentano tuttavia un investimento superiore ai 2 miliardi di euro. È questo infatti il valore complessivo in Borsa del 2,102% di Eni (circa 1,36 miliardi) e del 2,071 di Enel (circa 785 milioni).
La partecipazione cinese da 2,1 miliardi in Eni ed Enel fa coppia con il recente investimento nel Monte dei Paschi di Siena da parte di Blackrock, il colosso statunitense del risparmio gestito: il fondo americano, con l’acquisizione del 5,67% è diventato il secondo azionista della terza banca italiana, dietro alla Fondazione MPS che detiene ancora il 15,07% del capitale e davanti ad Axa che ha poco meno del 4 per cento.
Con questo investimento le partecipazioni nel mercato italiano delle varie società facenti capo a Blackrock superano la soglia dei 20 miliardi di euro: Blackrock è infatti uno tra i primi azionisti istituzionali anche di Intesa SanPaolo, Unicredit, Telecom Italia, Azimut, Atlantia e altre blue chip.
Per Jp Morgan Euro e Costituzione italiana sono incompatibili
La società finanziaria Jp Morgan, che ha sede a New York e che è leader nei servizi finanziari globali, servendo più di novanta milioni di clienti ha espresso un parere del tutto ‘particolare’ sulla crisi e sulla sua valenza politica.
In un cominicato rilaciato dalla società si legge che il pensiero di quest’ultima all’inizio della crisi era che i problemi nazionali ereditati dal passato fossero sempre e solo di natura economica.
Col passare del tempo e con l’evoluzione della crisi, tuttavia, è stato impossibile negare la seguente evidenza secondo Jp Morgan: “Esistono dei problemi politici profondamente radicati nella periferia che a nostro avviso, devono cambiare se l’UEM dovrà funzionare correttamente nel lungo periodo”.
Jp Morgan allude a quei sistemi organizzati successivamente alla dittatura. Il problema, dunque, sorge dal punto di vista costituzionale quando le Costutizioni sono ‘figlie’ della suddetta modalità di ‘controllo’ del popolo. Jp Morgan, dunque, rileva che
“Tali Costituzioni tendono a mostrare una forte influenza socialista, che riflette la forza politica che i partiti di sinistra guadagnarono in seguito alla sconfitta del fascismo”.
Secondo la società, queste sono le caratteristiche rappresentate dai sistemi politici in questione: “un potere esecutivo debole, uno Stato centrale debole rispetto alle regioni, la tutela costituzionale dei diritti del lavoro, sistemi di costruzione del consenso che alimentano il clientelismo politico, e il diritto di protestare se vengono apportati cambiamenti sgraditi allo status quo politico”.
Caratteristiche che, dunque, si rifletterebbero nell’Italia di oggi, rea di averle ereditate. Caratteristiche tornate in auge con la crisi.
Secondo Jp Morgan, a dimostrazione di ciò “Le nazioni della periferia dell’eurozona hanno conseguito solo un parziale successo nell’adottare quelle riforme economiche e di bilancio che erano in programma, con governi vincolati dalle costituzioni nazionali (Portogallo), dalla forza delle regioni (Spagna), e dall’ascesa di partiti populisti (Italia e Grecia)”.
Esito e conseguenze delle elezioni italiane secondo le principali banche di affari
Se Mediobanca ha calcolato il costo delle promesse elettorali dei vari partiti e indica come altamente impossibile che possano essere mantenute, anche le maggiori banche d’affari internazionali hanno messo il nostro paese sotto la lente di ingrandimento, per riuscire a capire cosa potrebbe accadere in base alla coalizione che uscirà vincitrice dalle elezioni.
Alcune divergenze di opinione tra i tanti che ci stanno a guardare, anche se c’è un argomento che mette tutti d’accordo: l’Italia necessita di un governo forte, stabile su di una maggioranza solida. E’ solo questo che il modo in cui l’Italia può uscire dalla recessione e riconquistare la fiducia degli investitori.
► I programmi elettorali per i quattro temi caldi dell’economia
L’appuntamento è per il prossimo lunedì, giorno in cui si inizieranno ad avere dei dati certi sull’esito delle elezioni che influiranno anche sull’andamento delle borse. Cosa vorrebbero che succedesse le grandi banche d’affari? Vediamo le opinioni di alcune delle rappresentanti più importanti del settore.
L’opinione di Jp Morgan
Qualsiasi scenario che veda uscire dalle urne un successore di Berlusconi non è positivo per l’Europa.
Ecco qui che il pensiero della JP Morgan è più che riassunto. La banca americana auspica una vittoria della sinistra, magari di una coalizione al cui interno sia presente anche il premier uscente Mario Monti. Perché se il PDL tornasse a governare l’Italia, i mercati metterebbero sotto pressione il paese per via del suo debito.
Da qui la questione dello spread. L’Italia sarebbe costretta a chiedere l’aiuto della BCE per accedere al fondo salva-stati e abbassare così il differenziale, ma questa richiesta dovrebbe essere vagliata e accettata in primis da Angela Merkel, sicuramente non favorevole a concedere prestiti ad un’Italia con al governo di nuovo Silvio Berlusconi.
► Obiettivo occupazione: le proposte dei partiti in lizza per le elezioni
L’opinione di Nomura
La banca giapponese teme che la coalizione che vincerà le elezioni possa essere come le precedenti, ossia basata su deboli alleanze tra piccoli partiti, il che porterebbe, nella migliore delle ipotesi, ad un governo che va avanti per scelte bipartisan o, nella peggiore, ad una totale ingovernabilità del paese.
Una vittoria della destra in Italia capitanata da Silvio Berlusconi potrebbe portare a grandi problemi per tutto il continente europeo e potrebbero esserci molti altri che vorranno emulare le promesse -assolutamente non mantenibili- dell’abolizione/riduzione delle tasse, con effetti disastrosi sul già precario equilibrio dell’economia europea.
► Obiettivo Welfare: le proposte dei partiti in lizza per le elezioni
L’opinione di Citigroup
Altra banca d’affari americana che si scaglia, senza tanti mezzi termini, sulla poca lungimiranza dell’elettorato italiano, che sarà portato a votare il partito che ha dato maggiore risalto alla situazione interna del paese e alle proposte per risolverla, piuttosto che dare i voti ad una coalizione che, invece, guarda più lontano, verso l’Europa e oltre.
Quindi, secondo Citigroup, l’esito delle elezioni sarà un’arma a doppio taglio: se la coalizione -la banca prevede che sarà di sinistra- potrebbe anche essere un modo per risollevare la situazione economica interna, la conseguenza sul piano internazionale sarebbe quella di cedere ancora maggiore sovranità:
Sfortunatamente in mancanza di una forte maggioranza difficilmente si creano i giusti presupposti per portare avanti le riforme e rilanciare l’economia, viceversa potrebbe aumentare la possibilità che l’Italia trasferisca più sovranità all’estero.