Una sentenza della Corte d’Appello del luglio 2015 dimostra che in caso di suicidio, si può anche far valere l’effetto del mobbing. La sentenza che ha preso in esame un caso specifico, dimostra che il mobbing può essere rovinoso per tanti lavoratori.
Mobbing
Cosa è lo straining
Che sia tutti i giorni, due volte alla settimana o una volta al mese, il mobbing, ossia i comportamenti vessatori contro i lavoratori, rimane tale e come tale è punibile.
► Le cause e conseguenze del mobbing
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2860 del 3 luglio 2013, grazie alla quale ha reso lo straining, ossia il mobbing attenuato in quanto meno prolungato nel tempo, ma non differente dal mobbing vero e proprio nei modi e negli scopi, un reato nei confronti del lavoratore e per questo, punibile per legge.
Lo straining è stato definito come una situazione di stress forzato all’interno dell’azienda, che si manifesta anche con una sola azione denigratoria o persecutoria nei confronti del lavoratore, i cui effetti negativi si protraggono nel tempo.
In sostanza, quindi, la differenza tra il mobbing e lo straining è temporale e di frequenza: un’azione vessatoria o punitiva nei confronti del lavoratore viene definita mobbing quando ha carattere di sistematicità, mentre, per lo straining, è l’effetto dell’azione compiuta da superiori, inferiori o pari a stabilire la presenza o meno della conflittualità.
► Le principali forme di manifestazione del mobbing
Harald Ege in Oltre il mobbing. Straining, Stalking ed altre forme di conflittualità sul posto di lavoro definisce lo straining come
una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un’azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre a essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante.
Le principali forme di manifestazione del mobbing
Essere vittima di mobbing può portare a delle conseguenze anche molto gravi per il lavoratore che, trovandosi vittima di comportamenti vessatori da parte di colleghi o dello stesso datore di lavoro, possono sfociare in depressione e, come dimostrano alcuni casi avvenuti recentemente, anche nel suicidio.
In questo ultimo caso si tratta di situazioni estreme, ma è comunque importante saper riconoscere il mobbing fin dal suo primo manifestarsi in modo da poter tutelare il proprio posto di lavoro e se stessi come previsto dalla legge italiana.
Il mobbing può assumere diverse forme e non tutte sono facili da riconoscere, ma la Corte di Cassazione ne ha individuate 13. Eccole.
Le forme di mobbing più diffuse
– Pressioni o molestie psicologiche
– Calunnie sistematiche
– Maltrattamenti verbali e offese personali
– Minacce o atteggiamenti miranti ad intimorire ingiustamente od avvilire, anche in forma velata e indiretta
– Critiche immotivate e atteggiamenti ostili
– Delegittimazione dell’immagine, anche di fronte a colleghi e a soggetti estranei all’ambiente di lavoro
– Esclusione od immotivata marginalizzazione dall’attività lavorativa
– Attribuzione di compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale
– Impedimento sistematico ed immotivato all’accesso a notizie ed informazioni inerenti all’attività lavorativa
► Le cause e conseguenze del mobbing
– Marginalizzazione immotivata del lavoratore da attività formative, qualificanti o di aggiornamento
– Esercizio esasperato di forme di controllo sull’operato atte a produrre disagio
– Atti vessatori correlati alla sfera privata del lavoratore
– Attribuzione di compiti esorbitanti od eccessivi
Le cause e conseguenze del mobbing
Il mobbing è una condizione sempre più diffusa in Italia, ma non sempre i lavoratori che ne sono vittime riconoscono questa forma di vessazione nei loro confronti come tale e, quindi, non mettono in atto le giuste strategie per difendersi.
Le principali cause di mobbing, che può essere messo in atto sia dal datore di lavoro, che da un superiore che, ancora, dai colleghi stessi, sono delle forme di gelosia nei confronti del lavoratore che portano alla manifestazione di comportamenti vessatori nei suoi confronti con il chiaro intento di eliminare il lavoratore dalla realtà aziendale tramite il suo licenziamento.
Nella maggior parte dei casi il mobbing viene messo in atto come forma, ovviamente non sana, di competizione, che si dovrebbe risolvere, nelle intenzioni di chi la mette in pratica, con il licenziamento del lavoratore da parte del datore di lavoro o con le dimissioni spontanee del lavoratore.
Ma sul lavoratore il mobbing può avere delle conseguenze diverse come la comparsa di problemi psichici o di disturbi psicosomatici che possono sfociare nella depressione e, nei casi più gravi, nel suicidio del l lavoratore vittima di mobbing.
► Le principali forme di manifestazione del mobbing
Solitamente i lavoratori maggiormente soggetti al mobbing appartengono a due categorie molto distanti tra di loro: da un lato ci sono i nuovi assunti, in modo particolare se sono in una condizione di precariato, e, dall’altro, i lavoratori più dotati o quelli che godono di una ottima reputazione nei confronti dei datori di lavoro.
Cos’è il mobbing?
I lavoratori sono sempre più spesso vittime di mobbing sul lavoro, ma non sempre sono consapevoli di quanto sta accadendo intorno a loro o, peggio, non denunciano il fatto in quanto temono che la loro reazione possa portarli a perdere il lavoro.
Ma il mobbing non deve assolutamente essere tollerato per questi motivi perché il suo perdurare può portare anche a danni gravi e irreversibili per la salute psico-fisica del lavoratore.
► Le cause e conseguenze del mobbing
Ma come si fa a riconoscere ed identificare il mobbing?
Secondo la sentenza n. 528 del 31 marzo 2011 del TAR Puglia Bari Sezione I, per poter parlare di mobbing è necessario che si verifichino queste condizioni:
1. molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o leciti quando considerati singolarmente, posti in essere con intento vessatorio e in modo sistematico nei confronti del dipendente;
2. tali comportamenti devono essere lesivi della salute o della personalità del dipendente;
3. deve sussistere un nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore;
4. l’intento persecutorio deve avere carattere di oggettività.
► Le principali forme di manifestazione del mobbing
In merito a questa sentenza, la Corte di Cassazione civile (Sez. lav. n. 3785 del 17 febbraio 2009) ha precisato che si può parlare di mobbing quando
la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psichico e del complesso della sua personalità.